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« Lavoro e Salute a sosteg...Si dice che la speranza ... »

Questi professori al governo puntano sulla distruzione della cultura e della libera informazione. Berlusconi il loro Rettore

Post n°5720 pubblicato il 21 Dicembre 2011 da cile54

La vita incerta di Liberazione

 

Tra pochi giorni Liberazione non sarà più nelle edicole. Per lo storico giornale di Rifondazione Comunista le rotative si fermeranno a causa del mancato ripristino del fondo per l’editoria. Che da questo taglio alla spesa pubblica, deciso già dal governo Berlusconi e confermato dall’attuale governo Monti, il bilancio dello Stato ne tragga un grande vantaggio è piuttosto una favoletta per creduloni che una solida realtà economica. I numeri, come i fatti, hanno la testa dura e ci dicono che la messa in cassa integrazione di tutti i poligrafici e giornalisti delle testate sia cartacee che televisive (come la coraggiosa TeleJato che combatte in Sicilia contro la mafia) o radio o, anche, le semplici piccole agenzie di stampa, costa enormemente di più del rifinanziamento del fondo cancellato.

 Il problema non è economico ma squisitamente politico: se il lupo vuole avere un pretesto per divorare l’agnello, alla fine questo pretesto lo trova come ci insegnano Fedro ed Esopo. E il pretesto per cancellare le voci libere e dissenzienti è quello della grande crisi economica che deve far stringere i cordoni delle borse e, pertanto, far tirare la cinghia a tutti. La domanda è: come mai allora si investe nell’industria bellica degli F35 e non nella libertà di stampa e di parola? Come mai si tradisce ancora una volta la Costituzione e la si sfregia così apertamente pur mostrandosi altrettanto “liberali” nei modi e nelle parole? La pacatezza di Mario Monti, i suoi modi gentili e la sua “britannicità” politicamente corretta si scontra poi con le imposizioni che sta mettendo in campo sui terreni del lavoro, della riforma pensionistica e, non ultimo, sull’ostinazione a non rimettere mano ad un provvedimento liberticida che va ad inficiare anche molte migliaia di posti di lavoro.

 I detrattori dicono che se un giornale vende poco, per legge di mercato deve chiudere. Ma quando mai la democrazia, almeno quella realmente tale, deve sottostare ad ogni legge del mercato? Certo che siamo consapevoli (o almeno dovremmo esserlo) che dipendiamo da una struttura economica dominante e che ci detta anche le regole del nostro vivere comune, insieme, da persone e da cittadini, ma perdiana questa impostazione dovrebbe far rabbrividire anche i più liberal dei liberali quando si toccano le corde deboli del sistema istituzionale che garantisce la pluralità di espressione e, quindi, alla fine delle cose dell’essenza della democrazia stessa.

 Senza dissenso non c’è libertà e non c’è nessuna possibilità di dichiarare “democratico” un Paese e così le sue istituzioni. Per quanto piccole possono essere, le voci di Liberazione e de il manifesto, ad esempio, possono dare fastidio quando fanno inchieste che altri giornali trascurano per non sollevare imbarazzanti temi che riguardano la gestione del potere, il suo abuso e la violazione – ad esempio – dei più elementari diritti dell’individuo.

 Nelle giornate di Genova del 2001, così come nella morte di Federico Aldrovandi o di Stefano Cucchi, Liberazione e il manifesto hanno svolto un ruolo primario di denucia di tutti quegli abusi e quei reati commessi contro chi non aveva avuto altra colpa se non incappare in un posto di polizia o in un controllo della medesima.

 Anche altre testate, come l’Unità, che rischiano oggi la chiusura, si sono a lungo occupate delle storture del potere, delle ambiguità dei personaggi che sedevano a palazzo Chigi e delle deformazioni che si sono riscontrate nei rapporti tra i diversi organi dello Stato e i grandi gruppi economici che, dolenti o nolenti, condizionano la nostra vita sociale.

 L’assurda vicenda del taglio del fondo all’editoria mi ha riportato alla mente, ancora una volta, quella bellissima canzone di Ivan Della Mea intitolata “La mongolfiera”. Un tizio si affaccia alla finestra, stanco del martellamento televisivo e decide di darsi al pensiero libero: guarda il cielo e lascia volare in alto una mongolfiera. Altri si accorgono del suo gesto, della felicità che prova nel fare tutto questo e lo imitano.

 “E crollavano gli ascolti, la pubblicità e la nave dei consesi del regime già affondava”. Resta poca gente davanti alla tv e alla divulgazione di massa. Ci si distrae dal pensiero unico e allora partono i divieti: “E fu vietato costruire mongolfiere e affacciarsi alla finestra. Fu vietato darsi il tempo e lo spazio per capire che il nemico ce l’abbiamo nella testa”.

 Gli spiccioli del fondo all’editoria sono la mongolfiera che fa paura, che può aprire nella mente delle gente un desiderio di rivalsa sociale che diventi, a poco a poco, giustizia sociale e provochi a cascata una lenta ed inesorabile erosione di quella fiducia di cui un potere politico ha comunque bisogno se vuole godere almeno di una parvenza di legittimità.

 Ecco perché Liberazione rischia di non riprendere più le pubblicazioni dopo il 1° gennaio 2012. Ecco perché dobbiamo fare in modo che questa eventualità non debba essere tale, attrezzandoci con tutti i nostri poveri mezzi a disposizione per potenziare la nostra informazione, per rendere visibile il nostro dissenso, per manifestare la nostra libertà.

 Si potrà dire di tutto e di più anche de il manifesto, ma è indubbio che rappresenta una imprescindibile fonte informativa, culturale e sociale della sinistra e che la sinistra in questo Paese esiste e che non si può pensare di eliminarla eliminandone i simboli o i giornali che, da oltre quarant’anni, se ne fanno interpreti.

 Difendere Liberazione e il manifesto, così come tutte le altre testate a rischio scomparsa, è come difendere dall’estinzione una specie animale in pericolo. Da un punto di vista marginale e unilaterale potrà apparire poca cosa, ma nell’equilibio generale dell’ecosistema anche la sparizione del più piccolo organismo vivente è determinante per il proseguio della vita sul pianeta. Così, se i comunisti continueranno ad avere la loro voce cartacea, questo significherà che le cose non andranno mai perfettamente come lor signori pensano e vogliono. Ma ci sarà sempre qualcuno a scrivere e a dire che quella manovra economica è indecente perché colpisce i più disagiati, poveri e derelitti. E che non si può costringere alla vergogna le persone solo perché indigenti. E che, se non per la nascita del socialismo, almeno per la fedeltà ai princìpi costituzionali, si deve portare la nostra società al massimo dell’eguaglianza possibile finchè si troverà nella barbarie capitalista.

 Dopo questo riformismo, potrà anche venire la rivoluzione. Ma intanto, per ora, facciamo vivere Liberazione.

 

Marco Sferini

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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