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Intervista a Luca Musella scrittore e regista sul suo ultimo libero, Avviso di vendita senza incanto

Post n°5743 pubblicato il 26 Dicembre 2011 da cile54

Raccontare un'Italia che cambia, in peggio

 

Giornalista, scrittore, fotografo, regista, libraio, Luca Musella è un artista e un intellettuale che ha utilizzato quasi tutte quelle modalità che consentono ad un uomo o ad una donna di descrivere la realtà attraverso la scrittura e la riproduzione del reale. Napoletano di nascita, ha vissuto e vive ancora oggi a Milano dopo aver trascorso un lungo periodo della sua vita nella provincia di Viterbo, prima a Montefiascone, sulle rive del lago di Bolsena, e poi nel capoluogo della Tuscia. Già autore qualche anno fa con Gaffi di Mitra&Mandolino e Tre disubbidienti Luca è tornato alla ribalta con una nuova pubblicazione fatta di interviste a personaggi tutti conosciuti appunto nei pressi del più grande specchio d'acqua laziale. Avviso di vendita senza incanto è il titolo del

suo ultimo libro, (Transeuropaedizioni, pp. 73, euro 15,00), corredato da un dvd dove le interviste e le fotografie sono raccontate dalla voce narrante della scrittrice Maria Pace Ottieri. Ed è sempre con lei che ha realizzato, quasi contemporaneamente, La neve e il fuoco. Giorgio Bocca si racconta, (Feltrinelli, pp. 142, euro 14,90, libro più dvd) con due introduzioni di entrambi gli autori e una lunga intervista fatta dalla Ottieri. Oltre al bel documentario filmato appunto da Luca Musella e da Michele Sordillo. Tante cose dunque, tante emozioni che si alternano in questi due lavori dello scrittore, che solo apparentemente sembrano distanti.

 

In questo libro dai tratti fortemente autobiografici, sei riuscito a descrivere molto bene i cambiamenti anche impressionanti che hanno di fatto stravolto il tessuto sociale del Paese. Dal vecchio partigiano comunista che di mestiere faceva il pescatore alla giovane estetista che si misura con una nuova clientela, segno dei mutamenti profondi della mentalità in questo caso dei giovani. Qual è il tratto che accomuna tutti questi personaggi che hai individuato, conosciuto ed intervistato nel libro e che sono poi visibili anche nel dvd?

Il tratto comune è la velocità, nel senso che mentre i ritmi della vita nelle grandi città sono cambiati enormemente ma non in modo così vistoso, in queste micro comunità c'è stata una accelerazione impensabile. Partendo dal dopoguerra, nel giro di pochissimi anni si è passati da una vita quasi di schiavitù, che ricordava quella dei neri d'America, come testimonia l'intervista ad una anziana signora che da bambina era costretta a vivere senza un posto per fare i bisogni e con poco cibo, al benessere del dopoguerra che in pochi anni ha portato gli italiani ad avere l'automobile, la casa di proprietà, la televisione, una terra loro. In una stessa esistenza vedevi dunque ere geologiche diverse. Ciò che più mi ha attratto è stata dunque la circolarità della storia che ha investito una o due generazioni. Invece ora che siamo arrivati alla terza stiamo tornando indietro pesantemente. Come testimonia la vicenda di Cariddi, alla quale sono più affezionato, un uomo che nasce in una grotta, cresce, frequenta la scuola fino alla quinta elementare, diventa pescatore, poi attraverso la lotta partigiana e quella per la terra contribuisce in modo significativo a quello che è stato lo sviluppo dell'Italia degli anni '60. Per poi tornare ad un oggi in cui quei lavori e quelle cose non valgono più niente. Per fortuna si erano comprati una casa ma, soprattutto per le generazioni future, si tratta quasi di ricominciare da zero. Le prospettive di lavoro non ci sono più, nessuno di noi può pensare con il proprio reddito di comprare una casa. Tolto l'1% della popolazione tutti gli altri sopravvivono e non si riesce più a creare il frutto. Invece quella degli anziani era una generazione che una volta uscita dalla guerra è riuscita a creare a se e ai propri figli un futuro.

 

Tu hai maturato uno scontro quasi fisico con questa Italia del XXI secolo. Ricordo quando abitavi nella Tuscia la tua profonda insofferenza per una classe politica locale fortemente corrotta e conformista…

C'è una mia difficoltà a capire la politica oggi. Ho difficoltà a capire il governo Monti o perché siamo stati vent'anni sotto Berlusconi. Insomma la mia è la difficoltà molto forte di un uomo qualunque nei confronti appunto della politica. Poi nei microcosmi ti trovi un po' come in un acquario. Come la piazza di un paese. Una volta che ne conosci le dinamiche, ti fermi in un bar, ne guardi i movimenti arrivi a capire tutti, compresi gli Scilipoti di turno. Sembrano dei pesciolini che si muovono spinti soltanto dai loro appetiti. La classe dirigente di questo Paese, e lo dico con grande amarezza, soprattutto quella di sinistra, non ha saputo rappresentare altro che gli interessi di alcuni gruppi. Basti pensare come è finito il mondo delle cooperative, una delle pagine più gloriose della storia politica italiana. O all'Ente Maremma e a tutti i meccanismi legati al riscatto della terra e poi alla grande distribuzione, che ha reso sempre più difficile dare un senso all'agricoltura e dove appunto seminare costa di più che non far niente. Il mondo del lavoro è stato smembrato grazie a tutta una serie di distinguo della sinistra rispetto ai diritti dei lavoratori fino ad arrivare ad un punto quasi di non ritorno per quanto riguarda appunto i diritti sindacali. Siamo dunque un Paese che ad un certo punto si è aggrovigliato su sé stesso perché non ha saputo più fornire delle linee guida. Per fare un esempio, se una volta i fascisti a Torino diventavano pericolosi, gli operai della Fiat lasciavano il lavoro, «scendevano in piazza e ristabilivano l'ordine democratico». Queste parole, che non sono mie, vogliono dire che in Italia le cose stavano così fino ad un certo punto, poi è finito tutto. Eravamo lo zoccolo duro della sinistra occidentale, oggi c'è solo una poltiglia indistinguibile dalla destra. A parte il fatto che i dirigenti del Pd non vanno con le minorenni per il resto non ci sono differenze.

 

Quelle parole che hai ricordato e che hai attribuito a qualcun altro, sono di Giorgio Bocca se non sbaglio….

Sì. E sono orgoglioso di aver realizzato qualcosa su di lui. Come hai ricordato La neve e il fuoco è stato scritto e girato insieme a Maria Pace Ottieni, la guida forte di questo lavoro che ha avuto grazie a lei un importante sbocco editoriale perché è appunto uscito con Feltrinelli nella collana Real Cinema.

 

Pur nella differenza generazionale e di esperienze di vita che c'è tra te e Giorgio Bocca, non è difficile intravedere dei tratti in comune, soprattutto per quanto riguarda il giudizio sull'Italia di oggi. Non mi sembra casuale che vi siate incontrati. Che cosa ne pensi?

A me interessava molto il personaggio e il suo essere sempre controcorrente. Anche se l'accusa che gli viene mossa con più vigore, anche a sinistra, è quella di essere razzista nei confronti del Sud. In realtà certe descrizioni che lui fa sono estreme, forti, ma razzista in realtà è chi ci nega un diritto costituzionale che gente come Bocca ci ha fatto ottenere, e non tanto chi parla di certe realtà. Se il Sud non è stato ricostruito ed è diventato un cancro non credo proprio che sia responsabilità di Bocca. I responsabili sono altri. Poi lui certamente avrà utilizzato delle descrizioni un po' forti ma detto questo non mi sento proprio di condividere l'accusa che gli fanno. Altrimenti essendo io un napoletano non avrei fatto questo lavoro.

 

Abbiamo anche parlato di Maria Pace Ottieni. Una scrittrice di prestigio, figlia di Ottiero Ottieri e nipote di Valentino Bompiani. Una sinergia la vostra non nuova, vero?

Sì, in realtà sono vent'anni che conosco Maria Pace e abbiamo spesso lavorato insieme, lei come giornalista e io come fotografo per vari giornali. Poi, in questa fase di transizione tecnologica in cui mi sto misurando con la videocamera, il nostro feeling è continuato in queste ultime opere, dove lei fa la voce narrante e nel caso di Bocca è certamente stata più autrice di me. Abbiamo fatto con lo stesso gruppo anche Blues & Roses, un lavoro su Paolo Ciarchi, musicista, autore di quasi tutte le musiche di Dario Fo, che poi è diventata una figura un po' ai margini della vita culturale milanese e che ha continuato la sua ricerca in solitaria. E questo lavoro, realizzato anche in questo caso insieme a Michele Sordillo, è diventato un po' uno specchio sulla città e su che cosa è diventata Milano. E' stato molto ben accolto dalla critica e selezionato da Filmmaker, un importante festival milanese.

 

Luca, tu sei stato anche libraio, sia a Montefiascone che, con più sfortuna purtroppo, a Viterbo. Un mestiere difficile in provincia come in città. Che cosa ne pensi?

Il problema principale, quello della distribuzione, è molto vasto. In una società dove troppo spesso le stesse persone occupano più punti di forza in tanti settori è difficilissimo immaginare una democrazia, che è fatta sì di voto ma anche di opportunità di lavoro, di vita e di scambio. In realtà lungo tutto lo Stivale dominano le oligarchie, e tutto è in mano a due o tre famiglie che detengono non solo la produzione ma anche la distribuzione, la promozione, fino alla vendita. In questo clima certo non si può parlare di concorrenza. Quando c'è un attore che più di altri può fare il prezzo e può gestire tutte le fasi della filiera di un prodotto si arriva ad un punto in cui non c'è più potere contrattuale. Questo avviene in tutti i settori. E le librerie appunto non sono da meno. Nel settore dell'editoria di grave, oltre all'aspetto economico, c'è anche quello culturale. Perché un paese senza voci e anche un paese meno libero.

 

Un discorso che si estende purtroppo anche a noi piccoli giornali…

Certamente. Ed è un problema che parte dall'edicolante che non può più essere un punto di riferimento nel territorio perché gli viene tolta questa prerogativa con i giornali che sono venduti altrove. E già in questo altrove qualcuno fa una scelta, anche politica magari, e così per esempio Liberazione non la trovo. Si crea dunque già a valle il problema. Poi c'è la questione dei finanziamenti: la cultura in qualche modo va sostenuta e un giornale che rappresenta una parte importante del pensiero politico di questo paese non può sopravvivere senza un sussidio perché non riesce ad avere la stessa pubblicità che hanno gli altri. Mi dispiace dunque per quei giornali che rischiano di non esserci più come per quei giornalai, una volta veri presidi nel territorio, che verranno spazzati via da una liberalizzazione che andrà solo a favorire i grandi gruppi. Alla fine ci saranno pochi giornali che verranno venduti nei bar e nei supermercati e non ci sarà più posto per il dissenso.

 

Vittorio Bonanni

24/12/2011

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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