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Violenza contro le donne: un servizio come modello per la sanità pubblica a Roma

Post n°5902 pubblicato il 28 Gennaio 2012 da cile54

lo Sportello Donna h24 al Pronto Soccorso del San Camillo

 

E di questo Sportello si è parlato al convegno: due anni di attività, un’esperienza straordinaria che ha visto lavorare insieme professionisti dell’ospedale e operatrici della cooperativa sociale. Un incontro fecondo, che ha rappresentato un’esperienza del tutto nuova per l’Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini, ma anche del tutto inedita nel panorama della sanità pubblica, non solo nel territorio della regione Lazio ma anche in quello nazionale.

 

Lo Sportello nasce da un progetto dell’ex Ministro della Salute Livia Turco e in particolare dal lavoro della Commissione Salute delle Donne (che nel 2008 ha prodotto un Report dei suoi sette gruppi di lavoro, di cui uno era appunto sulla violenza di genere).

 

Questo progetto partiva da alcune precise evidenze (tanto significative quanto non adeguatamente considerate dalle politiche sanitarie rispetto alle conseguenti decisioni da assumere): la violenza contro le donne – che ha un impatto diretto sulla loro salute, con conseguenze a breve e lungo termine fisiche, psichiche e sociali- è questione che chiama direttamente in causa la sanità pubblica, le scelte di programmazione e di organizzazione dei servizi sanitari; il non riconoscimento della violenza come causa di malattia è uno dei fattori che favorisce l’incidenza degli esiti a distanza; le donne maltrattate ricorrono ai servizi sanitari con una frequenza da 4 a 5 volte maggiore rispetto alle donne non maltrattate e il numero di vittime che si rivolge al Pronto Soccorso è nettamente superiore a quello delle donne che si recano alla Polizia, ai consultori, ai servizi sociali e ai servizi messi a disposizione dal volontariato; l’autore delle lesioni solo raramente viene riportato dal medico di turno al Pronto Soccorso (più frequentemente risulta dalle schede cliniche una generica definizione di “violenza da persona nota”), per cui è difficile rilevare la reale consistenza del fenomeno.

 

L’obiettivo era quindi individuare nel Pronto Soccorso il luogo dove - oltre all’intervento sanitario sull’emergenza della violenza sessuale - si potesse far emergere la violenza domestica e si avviasse una organica risposta, anche sul piano psico-sociale, costruendo la rete con il territorio, i distretti, i medici di medicina generale, i consultori, coinvolgendo anche il privato sociale e l’associazionismo femminile.

 

L’intento della Commissione Salute delle Donne era quello di far discutere in Conferenza Stato Regioni le conclusioni del Rapporto in materia di violenza contro le donne, per far adottare alle regioni un modello di percorso, che tutte le raccomandazioni internazionali suggerivano come buona pratica per l’assistenza alle donne vittime di violenza. Poi il governo cadde e non se ne fece più nulla.

 

Al San Camillo abbiamo allora ripreso quel percorso, ma questa volta partendo “dal basso”, iniziando da un grande ospedale per poi riuscire a implementare un progetto pilota negli ospedali del Lazio. E’ stata finanziata dall’azienda ospedaliera una convenzione per due anni con lacooperativa sociale Be free ed è stato aperto uno Sportello aperto 365 giorni l’anno, per tutte le ore del giorno e della notte, con un preciso approccio: costruire azioni “di sistema” capaci di incidere nelle culture organizzative oltre che professionali e contribuire a modificare i percorsi assistenziali oltre che i comportamenti degli operatori, grazie alla stretta integrazione tra l’attività dello Sportello – affidato alla Cooperativa Sociale Be free – e l’attività di triage del Pronto Soccorso ospedaliero e di quella di tutte le altre unità operative aziendali.

 

Non tutto è stato subito semplice o facile. Innanzitutto la scelta di aprire lo Sportello proprio all’interno del triage del Pronto Soccorso ha dovuto inizialmente incontrare le difficoltà di un’organizzazione del lavoro pensata per l’emergenza, scandita dai tempi dell’emergenza. Difendere un luogo “speciale” in cui fossero privilegiati i tempi necessariamente lenti dell’ascolto delle donne non era scontato. E neppure scontata era la collaborazione dell’equipe dei medici e degli infermieri, che per la prima volta condividevano con figure professionali “atipiche” la prassi assistenziale quotidiana.

 

Questa collaborazione invece c’è stata ed è cresciuta nel tempo: dimostrazione, da una parte, della disponibilità che gli operatori della sanità pubblica dimostrano comunque - pur nella fatica dei carichi di lavoro sempre più pesanti dovuti alla riduzione degli organici - nell’acquisire nuove competenze e professionalità; dimostrazione, dall’altra, della loro consapevolezza a non essere sufficientemente formati rispetto alla complessità del tema violenza.

 

E infatti i corsi di formazione che abbiamo organizzato – con le Forze dell’Ordine, rappresentanti della Procura, giuriste, medici legali e altri specialisti della materia – sono stati partecipatissimi. Dagli stessi infermieri è nata l’iniziativa di chiedere alle donne seguite al Pronto Soccorso per problemi di abuso e violenza, cosa del servizio andava cambiato, quali carenze nell’organizzazione andavano affrontate, quali errori nei comportamenti andavano superati - sfatando il luogo comune che i dipendenti pubblici siano per definizione autoreferenziali, pigri rispetto all’innovazione, restii alla verifica del loro operato.

 

Integrazione delle competenze e delle attività, condivisione degli obiettivi sono state le parole chiave di una progettualità innovativa, che ha prodotto cambiamenti nell’organizzazione del servizio e negli strumenti operativi, fino alla stesura di un vero protocollo assistenziale per la presa in carico globale delle donne vittime di violenza domestica, che è stato anche discusso come possibile modello di intervento ai Tavoli di lavoro del Comune di Roma, dei Tribunali Penale, Civile e per i Minorenni, delle Aziende Ospedaliere, delle Forze dell’Ordine e del Privato Sociale.

 

In queste sedi abbiamo sempre sottolineato la necessità di condividere non solo i principi, ma anche concretamente gli approcci metodologici, con l’individuazione di indicatori di efficacia dell’attività svolta. Uno tra questi – purtroppo quasi mai considerato – è la presenza delle mediatrici linguistico culturali allo Sportello, perché tante sono le donne straniere che si presentano al Pronto Soccorso con segni evidenti di percosse e abusi e che solo grazie ad uno Sportello multietnico possono cercare di uscire dal silenzio e dall’invisibilità.

 

I risultati dell’attività dello Sportello sono descritti nel Report che abbiamo presentato al convegno: sono risultati che devono far riflettere, che dimostrano non solo la rilevanza di questo servizio, ma soprattutto che il fenomeno della violenza resta una drammatica realtà sociale.

 

L’esperienza dello Sportello Donna h24 al Pronto Soccorso del San Camillo è stata quindi una storia importante. Importante per la sanità pubblica; importante soprattutto per le donne.

 

Ora questa esperienza si è interrotta. O meglio, la convenzione è scaduta, i finanziamenti sono finiti, anche se le operatrici di Be free continuano a restare in servizio per difendere non solo un patrimonio di lavoro comune, ma l’idea stessa di un servizio. Una resistenza professionale, una testimonianza civile.

 

Serve allora rilanciare il tema della violenza come grande questione della sanità pubblica, chiedendo risorse, servizi, competenza, professionalità. E soprattutto, coerenza e innovazione.

 

Se la battaglia contro la violenza è ancora tutta da vincere e ancora da conquistare resta la concreta possibilità per una donna di essere autonoma e libera nelle sue scelte di vita, è dalla sanità pubblica che possiamo promuovere una vera strategia di politiche pubbliche contro la violenza di genere.

 

Infatti il diritto alla salute - costituzionalmente esigibile - resta il “diritto forte” che riconosce e promuove tutti gli altri diritti: sociali, civili, di cittadinanza. Infatti il diritto alla salute di una donna vittima di violenza riguarda non solo la cura e l’assistenza sanitaria, ma anche la sua possibilità di avere un lavoro, un reddito, una casa, servizi per i propri figli, scuole dove si insegni che una donna è una persona - indipendentemente dal suo paese di origine o dal suo status giuridico di permanenza nel nostro paese - e che i ruoli di genere non sono “naturali” ma costruiti dalla società, imposti da una cultura patriarcale.

 

Maura Cossutta

25|01|12

 

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