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E se i giornalisti fossero oggettivi e non angosciosi? Stereotipi, luoghi comuni, inesattezze clamorose e tanta pesantezza
Post n°6095 pubblicato il 12 Marzo 2012 da cile54
Come (dis)informare sulla cecità Pietismo, musiche strappalacrime, continue imprecisioni, persone definite come "finte cieche" solo perché si sono "permesse" di scansare il camion che le stava investendo... Nonostante i progressi fatti registrare qua e là, negli ultimi anni, continua purtroppo ad essere desolante il panorama dell'informazione - che sarebbe ben più corretto chiamare "disinformazione totale" - proposta in televisione, alla radio e dai giornali, sulle persone cieche e ipovedenti. Vediamo perché
Stereotipi, luoghi comuni, inesattezze clamorose e tanta pesantezza: ecco come vengono rappresentate le persone con disabilità in genere, e i ciechi in specie, dagli organi d'informazione, televisiva, radiofonica e della carta stampata. Molto spesso mi sono chiesta la ragione del perdurare di tanti pregiudizi nei confronti della nostra categoria, nonostante i numerosi sforzi finalizzati a far comprendere che la cecità è una condizione e non una "disgrazia immane". Una delle risposte che mi sono data è che i media non compiono alcuno sforzo per far luce sul significato di disabilità, anzi, alimentano stati d'animo ansiogeni e reazioni errate, con servizi o articoli lacrimevoli, dove regna il buio, l'angoscia e la tristezza più totale, il tutto condito da un bel sottofondo musicale strappalacrime o da commenti tanto imprecisi quanto pietistici. Attorno alle persone con disabilità viene creato uno squallido sensazionalismo e spesso si viene rappresentati come dei «supereroi che ce l'hanno fatta nonostante le enormi difficoltà e le tante prove che la vita ha voluto infliggere». E tutto questo ai biechi fini di fare più ascolti! Preferirei che - in televisione o sui giornali - apparissero storie di semplice normalità, in cui si raccontano le difficoltà del quotidiano e le rispettive soluzioni adottate o adottabili. Gradirei che fossero trasmesse pubblicità progresso in cui si spiega in modo semplice l'uso del bastone bianco, il funzionamento di uno screen reader [programma che legge tutto quanto appare sullo schermo di un computer, N.d.R.] o il perché dei caratteri ingranditi. Vorrei che i commenti dei giornalisti fossero oggettivi e non angosciosi o che le musiche di sottofondo nei servizi fossero meno lugubri e lamentose. Desidererei che fossimo considerati semplicemente dei Cittadini, dei consumatori, dei contribuenti, in breve, delle persone. Insomma, mi aspetterei che la condizione di disabilità non venisse considerata come una questione annosa ed esclusivamente foriera di "scomodi problemi da risolvere", ma che fosse affrontata normalmente e trattata come possibile risorsa, dato che molte persone con disabilità sono professionisti competenti e fanno attivamente parte integrante della società e non certo come degli assistiti.
Un altro elemento antipatico è costituito dalle numerose imprecisioni che circolano sulla disabilità visiva e che sono alimentate da tanto cattivo giornalismo. Poniamo il caso dei "falsi invalidi". Quante volte si è gridato al "falso cieco" - non sempre con ragione - scrivendo che egli o ella si muoveva con disinvoltura e senza accompagnatore, attraversava sulle strisce pedonali, fermava un autobus con la mano, dava informazioni ai passanti, faceva la spesa da solo, curava il suo giardino, piantava un ombrellone in spiaggia, apriva e chiudeva a chiave il cancello di casa sua, riconosceva le monete - perfino i centesimi - praticava sport o, come in un caso clamoroso di linciaggio mediatico, guidava un treruote nel suo orto? Orbene, forse che un cieco o un ipovedente - categoria, quest'ultima, che sfugge troppo spesso ai giornalisti che non si documentano - non è in grado di fare tutte queste cose e anche di più? Una persona con disabilità visiva più o meno lieve è in grado - se si trova nel suo ambiente o se è ben addestrata dal punto di vista dell'autonomia personale - di compiere tanti gesti che paiono inconsueti o impossibili alla platea ignara dei lettori e di chi li informa. Azioni come camminare con sicurezza, occuparsi della propria casa o del proprio giardino, praticare sport o, guarda un po', riconoscere monete o tanti altri oggetti, sono, per noi, all'ordine del giorno e non dovrebbero ingenerare reazioni di stupore e meraviglia. Senza contare che alcune patologie consentono di leggere alcune scritte o di orientarsi con un colpo d'occhio, se la luminosità è buona o, al contrario, non eccessiva. In un articolo, ad esempio, mi è capitato di leggere che il "finto cieco" in questione si era scansato per evitare che un camion lo investisse… Lascio ai Lettori le considerazioni che riterranno più opportune! In un altro articolo, invece, ho letto che si accusava il cieco di non appoggiarsi al bastone bianco, come se stessimo parlando di un bastone da passeggio o da appoggio! Chiaramente il giornalista era, e ha voluto restare, ignaro di come si utilizza l'ausilio fondamentale per la mobilità autonoma dei ciechi, altrimenti non avrebbe emesso la sua sentenza con tanta leggerezza. Anche servirsi delle strisce pedonali è un'azione obbligata per i ciechi, in quanto non solo l'attraversamento è adeguatamente segnalato con i percorsi tattili, ma, in un corso di orientamento e mobilità, veniamo addestrati a utilizzare ogni elemento a disposizione per muoverci in piena sicurezza. Nel caso del "finto cieco" che guidava il trattore, infine, non si trattava altro che di un buon ipovedente che ha compiuto, senza pericolo per alcuno, un piccolo tratto nel suo orto, tutto qui. Eppure si è gridato subito allo scandalo, in luogo di documentarsi sul tipo di disabilità da cui era affetta la persona in questione, disabilità che lascia molte più abilità di quante possa credere la gente comune che, giustamente, non conosce i diversi gradi di una patologia oculare. Spetterebbe appunto ai media portare l'audience a conoscenza delle tante sfumature causate da un disturbo visivo, ma, per mancanza di preparazione, voglia, od onestà intellettuale, è infinitamente più comodo lanciare il sasso e vedere i danni d'immagine che provoca, quasi sempre, ahimè, impunemente.
Mi auguro, quindi, che questa mia umile e breve dissertazione, non certo scritta da una penna autorevole, ma composta con cognizione di causa, faccia riflettere e, perché no, contribuisca a cambiare lo spirito con cui le persone con disabilità vengono raccontate.
Ada Nardin |
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Roma, 12 maggio 1977
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