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E per casa le mura di una caserma, con tanto di sbarre, o il caldo torrido di una tenda, guardati a vista da militari
Post n°6149 pubblicato il 25 Marzo 2012 da cile54
Torna il lavoro nei campi per migranti, si riaprono le galere etniche Che bella continuità fra il governo Berlusconi e l'attuale! Ottemperando alle leggi del mercato degli schiavi, si spendono, in tempi di crisi e di lacrime sui sacrifici, 17,8 milioni di euro per aprire due nuove galere etniche, casualmente nelle vicinanze delle zone in cui si sfruttano i lavoratori migranti impegnati in agricoltura. La notizia giunge attraverso uno striminzito comunicato del ministero dell'Interno, dove non c'è più Roberto Maroni ma in cui dominano i funzionari che a lui obbedivano. Si avvicina la primavera, il bel tempo favorisce l'arrivo di nuovi barconi di richiedenti asilo che scappano da una Libia affatto pacificata e allora si trovano milioni di euro per riaprire due nuovi Cie, a S. Maria Capua Vetere, nel casertano e a Palazzo S. Gervasio, in Basilicata. Fatalità o coincidenza, fatto sta che le due nuove strutture, che dovrebbero avere carattere temporaneo (fino al 31 dicembre 2012) sorgono in zone del Paese dove lo sfruttamento del lavoro migrante nei campi è particolarmente diffuso. Dove il mercato delle braccia è ancora fiorente, dove si arriva e si resta spesso irregolari a vita, per spaccarsi la schiena 12 ori al giorno a 25 euro. Terra di caporalato e di schiavitù, terra in cui è normale che alla fine di una raccolta, non si venga pagati se non con l'arrivo in coincidenza di agenti di polizia che fino al giorno prima non avevano visto i lavoratori nei campi. Se non si accettano certe condizioni è normale che allo sfruttamento segua la denuncia per presenza irregolare e che quindi segua la detenzione o nella tendopoli lucana o nella dismessa caserma campana. Già lo scorso anno questi centri furono teatro di rivolte e di denunce, fummo in tanti a denunciare l'inaccettabilità di questa vergogna che dimostra in maniera sfacciata il legame fra detenzione amministrativa e sfruttamento. Che quest'anno si operi per impedire la loro riapertura, è la sola strada da perseguire. Per chi lavora occorre l'accoglienza, non le sbarre e le mura di una caserma o il caldo torrido di una tenda, guardati a vista da militari. Se questo accadrà dovremmo chiamarli per quello che sono, campi di lavoro di antica e cupa memoria. Che il movimento antirazzista, le forze democratiche e la società civile si sveglino, che dicano un maledetto NO, frapponendo i propri corpi e la disobbedienza civile all'ennesima applicazione delle leggi che regolano come catene l'intero mercato del lavoro, condite da ideologia razzista. Stefano Galieni 24 marzo 2012 |
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Roma, 12 maggio 1977
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