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« Intervista a Maria C. Fe...Un personaggio contro un... »

La quasi totalità della violenza maschile arriva dai familiari. Molte donne, prima di arrivare a essere uccise, si suicidano

Post n°6465 pubblicato il 04 Giugno 2012 da cile54

Parenti serpenti, parenti assassini

 

Il 70% dei «femminicidi» è preceduto da richieste di aiuto delle donne ai servizi sociali. Ma le istituzioni ignorano questa strage non silenziosa

 

Ancora una e un'altra ancora. Soltanto nelle ultime settimane a Tivoli Andrej Scirpcariu, appena 23 anni, ha sgozzato la sua ex (sempre di 23 anni), Claudia Bianca Benca, in macchina davanti al figlio di due anni; a Brusciano, in provincia di Napoli, Salvatore Velotto, 35enne, ha ucciso la moglie, Vincenza Zullo di 33 anni, con un colpo di pisola in faccia; a Biella un uomo di 91 anni ha ucciso a martellate in testa la moglie mentre era a letto; a Cesena un uomo di 60 anni ha ucciso Sabrina Blotti di 44 anni, con cui aveva avuto una breve relazione; a Ferrara Giuliano Frezzati di 66 anni, ha strangolato Ludmila Rogova, 43 anni, con cui aveva una relazione.

 

Dati che non possono non allarmare Barbara Spinelli, avvocata esperta a livello europeo sul femminicidio e coordinatrice del gruppo di studio sul genere di Giuriste democratiche, che fa parte della Piattaforma «Lavori in corsa: 30 anni di Cadaw». Secondo Spinelli «se il femminicidio è un atto di violenza ultimo sul corpo della donna, il rischio aumenta quando la donna decide di separarsi dal marito o dal fidanzato».

In particolare in Italia il femminicidio più che un fatto di cronaca nera, è un fenomeno che tende ad aumentare progressivamente con un numero che quest'anno ha già superato le 60 vittime in cinque mesi.

Il dato paradossalmente più preoccupante, però, è che secondo i casi raccolti da Spinelli «il 70% dei femmicidi in Italia è stato preceduto da un intervento dei servizi sociali, da una denuncia, da una chiamata al 113, ognuna in relazione a una violenza domestica che era in atto e in cui la donna poteva essere salvata. Sembra chiaro che il femminicidio ha un evidente legame con la violenza domestica». L'omicidio di genere in Italia colpisce soprattutto le over 46 e viene effettuato in media con armi da fuoco ma anche con armi bianche, soffocamento e strangolamento, e con modalità e scenari degli di un film horror.

«Quando accade un femmicidio in famiglia - dice Spinelli - si tende a occultare la situazione di controllo e di violenza nell'intimità della coppia, e il fatto che se una donna non rispetta le regole del maschio, rischia la vita. Un fenomeno transnazionale che va al di là della cultura, della religione, e del paese in cui avviene il femmicidio, perché la questione è il controllo e il possesso che l'uomo pensa di avere su quella donna che sta con lui. L'indiana uccisa dal marito vicino Piacenza (Kaur Balwinde, 27 anni e incinta di 3 mesi, strangolata dal marito, Singhj Kulbir, ndr) - afferma Spinelli - non è morta perché vestiva all'Occidentale come molti giornali hanno scritto, ma perché non stava alle regole del marito, una cosa che può mettere in pericolo una donna in ogni parte del mondo».

Quando la Relatrice Speciale sulla violenza di genere delle Nazioni Unite, Rashida Manjoo, è venuta in Italia, ha chiaramente detto che la violenza domestica nel nostri Paese è «la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne italiane», cioè la più diffusa, in quanto «rappresenta tra il 70% e 87%» della violenza di genere (i dati non sono precisi perché i numeri ufficiali non coincidono con quelli delle associazioni che lavorano sul territorio). La rappresentante dell'Onu, che a giugno renderà pubblica la sua relazione sulla violenza in Italia al Palazzo di vetro a New York durante la 20a sessione del Consiglio dei Diritti Umani, ha osservato che le italiane «non denunciano e non segnalano» sia perché sono all'interno di un «contesto culturale patriarcale incentrato sulla famiglia con forte dipendenza economica della donna», sia perché le donne non si sentono protette dallo stato. Eppure Rashida Manjoo, oltre a visitare le strutture, ha avuto colloqui con ministri italiani e con gli organi di giustizia che non possono dire di non sapere o di non essere al corrente di quello che succede.

«In Italia - dice Spinelli - non si è stati capaci di prendere una posizione chiara e pubblica sulla natura di genere di questi omicidi in cui la donna viene uccisa in quanto tale e nel momento in cui dice No. Se manca un riconoscimento di questo tipo è una lotta contro i mulini a vento, e finora né le istituzioni né la ministra del lavoro con delega alle pari opportunità, Elsa Fornero, si è presa l'onere di dire pubblicamente che la matrice di queste morti è la violenza e la discriminazione sulle donne: un passo che avrebbe un impatto enorme a livello culturale e sociale, e sarebbe a costo zero». «Il problema - aggiunge - non sono solo i soldi perché è evidente che manchi proprio la volontà di affrontare la questione. Il politico o la ministra che firma petizioni non ha molto senso, se poi non interviene e un esempio di mancanza di volontà sono la mancanza di dati: cosa ci vuole a raccogliere dati in un modo rispetto a un altro? Cosa gli costa metterli insieme? Se pensiamo che in Italia non solo aumentano i femmicidi e non abbiamo un osservatorio di genere su questo, ma che i dati dei carabinieri e della polizia non sono congiunti, è come cercare di risolvere andando a sminare con gli occhi bendati».

Se una donna fa una denuncia alla polizia il marito o l'ex per violenza domestica e poi va dai carabinieri e fa un esposto alla procura, o l'avvocato li rimette insieme oppure risultano come fatti isolati che non danno il senso della violenza che la donna subisce, di quello che sta succedendo veramente, e di quanto la donna sia a rischio. «Qui - conclude Spinelli - manca totalmente la valutazione del rischio e la protezione per le donne, e se una donna denuncia le violenze in famiglia deve iniziare anche un percorso per uscirne fuori e in questo percorso deve essere protetta. Per questo i centri antiviolenza sono così importanti, ed è una follia strozzarli economicamente dando finanziamenti a singhiozzo».

Molte donne, prima di arrivare a essere uccise, si suicidano, perché una donna che denuncia una violenza tra le mura domestiche rischia un calvario, soprattutto se ci sono figli minori, perché davanti all'impreparazione di operatori, forze dell'ordine, avvocati, tribunali, giudici, quello che vince è una cultura che obbliga la donna a sopportare le violenze anche a rischio di morte, dove anche i minori presenti sono esposti e sono loro, in caso di femmicidio, le prime vittime collaterali di questa strage.

 

Luisa Betti

03.06.2012 www.ilmanifesto.it

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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