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Un'altra donna che ha perso un suo caro, il fratello, a causa della violenza di uomini in divisa, orrendi servitori dello Stato
Post n°6588 pubblicato il 30 Giugno 2012 da cile54
La lettera di Ilaria Cucchi alla madre di Aldrovandi Noi eravamo presenti al momento della pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione. Lucia Uva, Domenica Ferrulli ed io. Perché noi in questi anni siamo diventati una famiglia. Noi sappiamo cosa significa lottare momento dopo momento per una giustizia che si da per scontata ma che molto spesso non lo è. Noi sappiamo quanto è importante per noi, e per quelli come noi, che finalmente e definitivamente coloro che hanno tolto la vita a un ragazzino che non aveva fatto niente di male siano stati giudicati colpevoli. Questa è la giustizia in cui vogliamo credere. Questo ciò che da a noi la speranza di andare avanti. Questo ciò che è riuscita a fare, da sola, Patrizia Moretti. Per la sua famiglia, per Federico che ora le sorride da lassù ma che mai nessuna sentenza potrà restituirle. Ma anche per l’intera collettività. E per noi, che senza il suo coraggio non avremmo mai trovato la forza necessaria per intraprendere battaglie di simili dimensioni. Patrizia lo ha fatto sapendo bene che quanto aveva di più prezioso non le sarebbe stato restituito da una sentenza di condanna. Nella quale ella stessa, pur sapendo benissimo come erano andate le cose, avendo imparato a sue spese a conoscere questa giustizia in tanti momenti non ha sperato. E lo ha fatto anche nell’illusione di poter cambiare una cultura. Quella terribile per la quale chi indossa una divisa ha ragione a prescindere. Ma contro il pregiudizio e l’ottusità a volte non basta nemmeno questo. Se oggi, di fronte all’evidenza delle atrocità che hanno fatto coloro che hanno ucciso Federico Aldrovandi, c’è ancora chi ha il coraggio di difenderli. E non solo. Purtroppo. Patrizia ha visto calpestata la vita di suo figlio, appena diciottenne e con tutta la vita davanti, ed oggi dopo tanto dolore aggiunto al dolore, quello di una lotta impari affrontata con lo strazio della consapevolezza che ormai la sua vita era finita nello stesso istante in cui era finita quella di Federico, vede calpestata anche la sua memoria. Ma che senso ha tutto questo? E la nostra realtà politica non ci aiuta. Troppo presi evidentemente a fare leggi su misura per loro. Ignorando quali sono i problemi veri della gente comune. Gente che per merito della nostra giustizia riesce a fatica a far emergere realtà scomode, grazie solo ed esclusivamente alle pubbliche denunce. Quelle rivolte alla gente normale. Quelle che fanno indignare il vicino di casa e l’impiegato dell’ufficio postale, che solo in quel momento assumono consapevolezza dei soprusi che avvengono ogni giorno nell’indifferenza generale. Perché fa comodo a tutti non parlarne. Così. Come se niente fosse successo. Perché parlarne vuol dire mettere in discussione l’intero sistema. Molto meglio chiedere a noi di farcene una ragione. Sfatiamo questo mito. La giustizia non è uguale per tutti. Cambiano le persone che comandano questo Paese, ma non cambia la mentalità. Se il ministro degli interni, piuttosto che tacere, ritiene opportuno esprimersi in maniera vaga anziché compiacersi per la vittoria della giustizia, quella vera, una volta tanto. Cosa dovremmo pensare noi? Che siamo soli. E ancora una volta qualcuno ce lo ha dimostrato. Ma niente e nessuno riuscirà a farci desistere dal nostro bisogno di giustizia. I nostri cari non sono morti per un puro caso, ma per colpa di chi avrebbe dovuto tutelarne i diritti. E nessuno può chiederci di far finta di niente. Lo sappiamo bene quanto è e sarà dura. E sappiamo anche bene che possiamo confidare solo su noi stessi, sul nostro avvocato e angelo. E sul coraggio di Patrizia. Che ha cresciuto un ragazzo fantastico, che sarebbe stato accanto a lei per tutti i giorni della sua vita, se quattro assassini non avessero deciso di portarlo lontano da lei. Ilaria Cucchi 29 giugno 2012 |
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
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