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Nel Paese post civile. Parla Yvan Sagnet "IIn Italia ancora tante Narḍ e Rosarno. La lotta non deve fermarsi"

Post n°6676 pubblicato il 18 Luglio 2012 da cile54

BRACCIANTI MIGRANTI RIDOTTI IN SCHIAVITU'

Circa un anno fa iniziava lo sciopero dei braccianti di Nardò, in provincia di Lecce. Centinaia di migranti impegnati nella raccolta del pomodoro incrociarono le braccia contro lo sfruttamento bestiale e la totale assenza di diritti. Tra i protagonisti di quella lotta, Yvan Sagnet che abbiamo intervistato.

Lo sciopero di Nardò è stata una esperienza importante nella battaglia dei migranti. Qual è la tua narrazione?

Lo sciopero è partito a causa dell’esasperazione. I lavoratori erano sfruttati e non potevano godere di nessun diritto e di nessuna contrattazione. Niente, nemmeno sul piano dei diritti sociali e dell’accoglienza. Ad un certo punto i lavoratori si sono ribellati. E la lotta ha portato comunque qualcosa di importante come la legge che contempla il reato penale del caporalato, e la legge regionale sulle liste di prenotazione presso i centri per l’impiego. E poi anche un risultato concreto, l’arresto, un mese fa, di ventidue caporali, tra i quali c’erano alcuni imprenditori, anche di un certo livello.

Perché è stata importante questa lotta?

Perché sta venendo alla luce quello che non si diceva, quello che le persone avevano paura di dire. Questa lotta ha fatto emergere questo infame sistema, ha dato più visibilità al problema dei braccianti. Oggi sono molte le persone, le istituzioni e le organizzazioni che si stanno occupando del dramma dei braccianti: lo Stato, che ha fatto la legge, la Cgil che sta lottando al loro fianco. In tutte le regioni si vede emergere una nuova sensibilità.

Oggi qual è la situazione?

La stagione della raccolta è partita, però le aziende continuano a cercare di mantenere lo stesso sistema di prima, nella paga e nel reclutamento, nonostante tutto quello che è accaduto a livello mediatico e con il varo della legge. Le aziende continuano ad essere nell’illegalità. E noi continuiamo la battaglia. Continuiamo ad attirare l’attenzione cercando di sfruttare tutto quello che abbiamo ottenuto, come anche la direttiva 52 della Ue, finalmente recepita anche dall’Italia., che prevede il permesso di soggiorno a chi denuncia il caporale. Useremo tutti questi strumenti per portare avanti questa lotta e speriamo di ottenere risultati ancora più importanti. In fondo c’è ancora una condizione materiale da migliorare, non dobbiamo dimenticarcelo. Vogliamo migliorare la nostra condizione materiale e fare in modo di veder applicati i nostri diritti, a cominciare dai contratti collettivi di lavoro. Siamo consapevoli delle difficoltà che ha questa agricoltura a livello mondiale. Però gli imprenditori non devono scaricare sulla nostra pelle difficoltà che alla fine sono loro a dover affrontare. Certo, dobbiamo lavorare insieme con lo scopo di ottenere delle cose positive.

Due elementi importanti hanno caratterizzato questa esperienza: i rapporti tra le varie comunità e l’intervento della società civile, ovvero delle Brigate della solidarietà.

A Nardò una delle difficoltà da affrontare per far riuscire lo sciopero era proprio la diversità delle etnie. Ogni comunità ha il suo approccio al lavoro. L’elemento unificante sono stati i diritti nel lavoro. L’intervento delle brigate della solidarietà è stato importante perché ha rotto l’isolamento della società e quindi, di riflesso, la fine del sentimento di esclusione provato dai migranti. Del resto, il lavoro nero e il caporalato si sviluppano proprio nella condizione di esclusione e di invisibilità di queste persone. Questo fa si che per soddisfare anche i minimi bisogni i migranti devono rivolgersi al caporale. Lo sciopero ha creato una relazione tra una parte della società e il lavoratore. Le associazioni hanno saputo creare una spazio e un ragionamento sui diritti e non solo sull’urgenza della condizione materiale. Alla fine l’esterno ha svolto un ruolo importante per mettere insieme i migranti, proprio in quanto elemento esterno. Per noi il sostegno di una rete nazionale è stato importante.

Come la crisi sta cambiando i flussi?

La crisi è bestiale, e fa si che molti lavoratori stanno tornando nel loro paese. Il gruppo di scioperanti ben quaranta veniva dal Nord, sospinti dalla crisi. Quelli che vengono qui sono quelli che non riescono ad avere una percezione della reale situazione. Chi torna però di fatto diventa un agente della sensibilizzazione. Ecco perché c’è una riduzione del 20%.

Quante Nardò e quante Rosarno esistono ancora in Italia che non si conoscono?

Sono migliaia di Nardò e Rosarno in Italia. Se voi andate nel foggiano ve ne rendete conto. A Nardò abbiamo avuto la fortuna di avere la presenza delle associazioni. A Rignano Garganico, ci sono fino a duemila lavoratori che vivono nel campo di Gheto dove le case sono fatte di cartone e plastica. Alle donne vengono trattenuti i documenti per non permettergli di fuggire. Tutto questo lo Stato lo sa. Si tratta di lavoratori che lavorano a tre euro il cassone, ovvero sessanta centesimi l’ora. Non c’è luce, non ci sono bagni. A Rosarno, dove d’inverno fa molto freddo i caporali vendono pneumatici ai migranti per riscaldarsi. Quando arrivano in Puglia d’estate hanno quasi tutti problemi di intossicazione polmonare. L’Italia è piena di situazioni del genere. La novità è che cominciano a comparire anche al Nord.

Fabio Sebastiani

18/07/2012 www.controlacrisi.org

 
 
 
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