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Solo nell’ultima settimana di giugno due ragazzi afghani sono morti nel porto di Ancona, due sono in coma

Post n°6751 pubblicato il 04 Agosto 2012 da cile54

Per i migranti non ci sono diritti

 Migliaia di profughi stanno attraversando l’Adriatico per scappare dalla Grecia e arrivano a Brindisi, Bari, Venezia. Dove le convenzioni internazionali sono sospese, nessun medico e nessun legale può vederli. E dove anche i minorenni vengono rinchiusi nei Cie o rispediti indietro, in barba ai trattati

 (30 luglio 2012)  Il vano del camion si apre sullo sguardo spento. C’è poca aria, puzza di benzina e sofferenza. Nessun bagaglio, nessun documento. Solo le mutande e un sacchetto di plastica infilato in testa. Un altro profugo fuggito dall’Afghanistan è morto soffocato in fondo alla stiva di un traghetto salpato dalla Grecia. Morto in un porto italiano per sfuggire alla Polizia di frontiera. La stessa che ti fa morire anche se respiri ancora. Perché ti respinge come merce da buttare.

Alì, Amid, Sayed, Zaher. Morti che avremmo potuto evitare semplicemente rispettando i trattati internazionali sui diritti dei rifugiati e la normativa italiana sui richiedenti asilo. Ogni anno in migliaia attraversano l’Adriatico, tentando di scappare dalla Grecia, un paese condannato nel gennaio 2011 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ‘per trattamenti inumani e degradanti’ nei confronti dei profughi. In molti casi si tratta di persone provenienti dall’Afghanistan, Iraq, Sudan, Eritrea, persone che avrebbero diritto ad una protezione internazionale. E invece ad Ancona, Bari, Venezia, Brindisi, tutti i giorni, nel silenzio, i diritti umani sono sospesi. Perché «se sei un rifugiato e muori nessuno fa domande, ma per vivere da qualche parte tutti ti interrogano».

Solo nell’ultima settimana di giugno due ragazzi afghani sono morti nel porto di Ancona, due sono in coma e uno è finito in ospedale in gravissime condizioni. Negli stessi giorni una nave con 84 rifugiati è approdata a Leuca. Otto persone sono disperse. I corpi di chi riesce a sopravvivere raccontano più delle parole. Corpi di ragazzi, spesso minori, su cui è impressa la carta geografica di un viaggio. Le ferite inferte dai talebani e il dito di una mano fatto saltare a colpi di manganello da un poliziotto greco. I lividi sulla schiena delle prigioni turche e le gambe che non ti sorreggono dopo oltre trenta ore di traversata dai porti di Patrasso o Igoumenitsa, rannicchiato dentro ad un container senza cibo, senza acqua, senza aria. E poi il sacchetto in testa da infilare quando la nave sta per attraccare perché la Polizia di frontiera italiana si è dotata di nuovi e potentissimi rilevatori sonori, capaci di individuarti anche dal solo respiro. Scanner a raggi X, banditi da altri Paesi come la Francia, perché dannosi per la salute. E la rabbia. Quella che esplode quando ti sbattono a forza in fondo a quella stessa nave con cui sei arrivato. Perché se ti trovano, nella maggioranza dei casi, ti rimandano indietro, affidandoti al comandante. Senza che sia possibile contattare un legale indipendente o farsi comprendere grazie a un interprete. Senza consentire agli operatori delle cooperative di poter operare con piena indipendenza, perché molti luoghi sono preclusi all’acceso di enti terzi per i pretesti più vari. Dai motivi di sicurezza alla natura extraterritoriale.

2/8/2012 Fonte: l'espresso

 
 
 
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