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Il mondo sporco del calcio è l'immagine più fedele allo stato di degrado che regna nel mondo della politica. Fiat docet

Post n°6755 pubblicato il 05 Agosto 2012 da cile54

Le regole per i padroni non valgono mai. Nemmeno per i padroni del calcio

Credo che sbaglino quei compagni e quelle compagne (in verità sempre meno) che ostentano un sovrano disinteresse per le vicende del calcio: senza considerare qui l’assoluta bellezza del calcio (sia in quanto sport che in quanto spettacolo), basta riandare all’uso politico che del calcio è stato sempre fatto, dal sindaco monarchico di Napoli Achille Lauro fino a Silvio Berlusconi, per capire che si tratta di una cosa importante, molto importante, che non si può trascurare, e che fra l’altro ci aiuta a capire che razza di classe dirigente (o meglio: dominante) ci ritroviamo; e capire è sempre necessario per poter combattere.

Prendiamo ora, per esempio, la vicenda di questi giorni della Juventus, di Agnelli e dell’allenatore Conte. Quest’ultimo è stato coinvolto, come tantissimi giocatori, nella vergognosa vicenda del calcio-scommesse; per chi non lo sapesse, si tratta di partite il cui risultato era truccato, con il consenso dei giocatori stessi e dell’allenatore. Ora, come in tutte le accuse, la regola base di ogni consesso civile è che chi deve decidere la colpevolezza o l’innocenza degli accusati è la Magistratura, in questo caso quella sportiva. Ma le regole per i padroni, cioè in questo caso per la Juventus, non debbono valere mai. Conveniamone: sarebbe un precedente pericoloso ammettere che si può giudicare, e per ipotesi condannare, la FIAT e i suoi uomini. Se oggi si lascia giudicare dalla giustizia sportiva l’allenatore Conte poi potrebbe perfino succedere che domani la giustizia penale giudichi l’allenatore Marchionne, e come potrebbe accettare una eventuale condanna di un suo uomo la FIAT chi si rifiuta anche di applicare le sentenze di reintegro dei lavoratori di Pomigliano? Così la Juventus ha tentato la via della “conciliazione”, cioè concordare una minisqualifica di soli tre mesi per il suo allenatore Conte, accompagnata da un offensivo versamento di “beneficienza” per i terremotati; naturalmente una tambureggiante campagna di stampa cercava di sostenere che patteggiare non significa affatto riconoscersi colpevole (e allora, se si è innocenti, chissà mai perché si patteggia accettando una condanna, e si preferisce non andare in giudizio?). Ma la Commissione giudicante ha osato decidere che questo patteggiamento era del tutto sproporzionato (“non congruo”) rispetto alle gravissime accuse: apriti cielo! Lo stesso Agnelli è sceso in campo, parlando di “sistema dittatoriale” di “giustizia vetusta e contraddittoria”, che continua “a operare fuori di ogni logica di diritto e di correttezza”, e così via delirando. Non solo, ma la prima richiesta della Juventus è stata di…cambiare la Commissione giudicante. Se il giudice non dà ragione al potente va cambiato. Questo comportamento vi ricorda qualcosa?

Si potrebbe anche notare che diventa sempre più chiaro perché mai nella linea di successione al trono FIAT sia stato saltato questo Agnelli qui, che di nome fa Andrea e che (come gli Interisti-leninisti hanno dimostrato nel loro imperdibile sito: www.interistileninisti.org) è caratterizzato da una impressionante somiglianza con il gatto di Alice nel paese delle meraviglie di Walt Disney. E’ lo stesso Agnelli che si rifiuta di accettare la revoca di due scudetti per il merdaio emerso nello scandalo “Calciopoli” o “Moggiopoli”, del 2006 e che si ostina a parlare di “30 scudetti vinti sul campo” (e non 28 quanti risultano negli annali), scrivendo anzi questa cifra falsa di 30 scudetti vinti nelle mura dello stadio Juve di sua proprietà e nel pullman e perfino sulle maglie e ovunque, e costringendo il giocatore nuovo acquisto Lucio (ex Inter) a leccare le scarpe dei suoi nuovi padroni facendogli dichiarare pubblicamente che la Juve ha vinto davvero 30 scudetti.

Siccome questo è un Paese che dimentica, ricordo brevemente che cosa emerse dallo scandalo del 2006: Moggi e la Juventus (compreso il Presidente di allora) avevano messo in piedi una vera e propria organizzazione che controllava gli arbitri (e, non dimentichiamolo mai, i giornalisti sportivi), che decideva le carriere degli arbitri, li ricompensava stabilmente (ad esempio con macchine cedute con “sconto Juventus” del 40%), decideva chi doveva arbitrare le partite, i risultati delle partite stesse, le ammonizioni e squalifiche dei giocatori avversari e quant’altro, compreso cosa doveva essere visto e detto in TV a proposito dei rigori dati e negati. Per comunicare cogli arbitri e coi designatori arbitrali suoi – chiamamoli così – “dipendenti”, Moggi aveva perfino comprato e distribuito telefonini non intercettabili, mentre per chi si ribellava c’era l’emarginazione e la fine della carriera; un arbitro che disobbedì dando un rigore contro la Juventus fu non solo insultato e minacciato ma anche chiuso a chiave da Moggi in uno stanzino (senza che il malcapitato osasse denunciare). L’ “Espresso” pubblicò al tempo in due fascicoli speciali le intercettazioni emerse dall’indagine (di cui si raccomanda la lettura integrale a chiunque, magari perché juventino, avesse ancora dei dubbi): il quadro di illegalità, prepotenza, violenza che ne emerge è davvero agghiacciante. I continui e sistematici illeciti compiuti dalla squadra della FIAT, e dimostrati al di là di ogni possibile dubbio, erano così gravi che si profilava al processo del 2006 lo scioglimento del Club bianconero e la decadenza del suo diritto a partecipare ancora ai Campionati (è da ricordare che in passato era bastata una telefonata del presidente del Verona Garonzi a un giocatore avversario la vigilia dell’incontro per condannare quella squadra alla retrocessione in serie B!). Fu allora (si noti bene questo punto!) che proprio la difesa della Juventus chiese la mite condanna che fu poi deliberata a sentenza, cioè la perdita di soli due scudetti truffaldini (uno rimasto non assegnato e uno dato all’Inter a mo’ di risarcimento) e la retrocessione della squadra in serie B con un po’ di punti di penalizzazine. E la Juventus non propose neanche ricorso, soddisfatta di quella benevola sentenza che accoglieva le sue richieste.

Ma, appunto, così si violava la regola di ferro, quella secondo cui i padroni non possono essere giudicati, e tantomeno condannati. Mai. Perché – lo ripetiamo - se si comincia a giudicare la squadra della FIAT poi, chissà, si si può arrivare a giudicare perfino al FIAT, e magari anche altri padroni e ladroni. E il popolo invece deve essere educato che i padroni non si condannano, e nemmeno si giudicano, e deve essere educato anche e soprattutto attraverso il calcio; sennò a che serve per i padroni spendere tanto per le loro squadre di calcio? Così, pochi anni dopo quello scandalo (che è stato definito dalla FIFA il più grave mai verificatosi nella storia del calcio mondiale) tutto deve essere riportato all’ordine: e mentre Moggi, nonostante le sue ripetute condanne, continua ad avere rubriche nelle TV private “amiche” e nel giornali di Berlusconi (coinvoltissimo anche lui, col suo Milan, nello scandalo) il nuovo Presidente Andrea Agnelli, l’Agnelli con la fronte bassa, quello (giustamente) “saltato” nella linea di successione al trono FIAT, ha ora ripreso in mano la questione degli scudetti revocati e ne invoca perfino la restituzione affinché siano 30 e non 28.

Il grande Zeman (l’uomo che denunciò l’uso del doping anabilizzante da parte dei giocatori Juve, pagando questa colpa con lunghi anni di emarginazione) ha detto che secondo lui anche 20 scudetti alla Juve sono troppi, non diciamo 28 o 30! Poiché la mancanza di memoria è – come sempre – la cosa su cui conta la prepotenza dei potenti, sia permesso al vecchio tifoso di calcio che scrive ricordare perché la frase di Zeman debba essere presa alla lettera, e forse sia nei fatti anche troppo generosa.

Fra i primi ricordi calcistici di chis crive c’è uno Juventus-Inter (del 1961?) che, a poche giornate dalla fine del campionato erano separate da un punto o due: ebbene, quella partita non potè svolgersi perché la squadra ospitante, la Juventus, aveva venduto troppi biglietti e la folla era tracimata ai bordi del campo, rendendo impossibile giocare. In tutti i casi come questo, dico tutti e senza eccezione, questa situazione comporta la sconfitta a tavolino per 2 a 0 della squadra ospitante, in questo caso la Juventus. Ma, alla faccia del conflitto di interessi, il Presidente dell’organizzazione calcistica del tempo era Umberto Agnelli, il padre dell’attuale Andrea; così per la prima e ultima volta nella storia del calcio fu deciso che non valesse la regola del 2 a 0 a tavolino per l’invasione pacifica di campo e che quella partita dovesse essere rigiocata. Per la cronaca, anzi ormai per la storia, l’Inter in segno di protesta mandò in campo i suoi “pulcini”, e fu l’esordio di un certo Sandro Mazzola, allora ragazzino, che segnò anche il suo primo gol; ricordo che in base allo “stile Juventus” la squadra della FIAT mandò in campo la sua squadra titolare, vinse 9 a 1, e anzi Sivori cercò perfino di battere il record dei gol segnati in una partita (peraltro senza riuscirvi). E’ lo stesso “stile” che condusse la Juventus a vincere una Coppa dei Campioni sul campo dell’Heysel, esultando e facendo giri di campo con una quarantina di morti ancora stesi per terra a pochi metri (e grazie a un rigore dato per un fallo commesso 5-6 metri fuori dall’area, ma questo è il meno).

Qualche anno dopo, la “grande Inter” di Herrera finì perdendo a Mantova nell’ultima giornata (superata così dalla Juventus), pochi giorni dopo aver perso anche la finale della Coppa dei Campioni; il gol del Mantova fu uno dei più singolari della storia del calcio: un innocuo cross alto di Di Giacomo fu deviato in porta…dal portiere dell’Inter; lo stesso portiere fu poi acquistato a peso d’oro dalla Juventus, anche se non giocò mai. Il grande giornalista sportivo Gianni Brera raccontò da par suo (senza essere querelato) questa vicenda. Altrettanto singolare è la storia dello scudetto perso dal Milan, sempre a favore della Juventus, il giorno della cosiddetta “fatal Verona”: il Milan, che nell’ultima giornata era in testa con un punto di vantaggio sulla Juve e di due sulla Lazio, perdeva clamorosamente a Verona, mentre anche la Juventus perdeva a Roma con la Roma e la Lazio pareggiava a Napoli. Nell’intervallo di quelle partite però “successe qualcosa”, e la Juventus segnò due “strani” gol vincendo partita e campionato. Quattro giocatori della Roma furono “epurati” dalla loro società dopo quella partita, e praticamente smisero di giocare. Sempre a proposito di quella strana giornata, Gianni Brera (di nuovo: senza essere querelato) scrisse che al capitano della Lazio, che nell’intervallo aveva cercato a sua volta un accordo coi giocatori del Napoli, fu risposto che era troppo tardi dato che già “altri” erano passati.

Tutti sanno dello scudetto rubato alla Roma per il gol regolarissimo di Turone alla Juve annullato dall’arbitro (quello stesso che, forse per premio, sarebbe poi diventato…designatore degli arbitri), così come tutti sanno di uno scudetto rubato alla Fiorentina con due rigori-vergogna (uno dato alla Juve e uno negato alla Viola) nell’ultima giornata. Ma forse meno nota è la storia narrata in un suo libro (edito da Kaos edizioni) dal giocatore Petrini (purtroppo immaturamente scomparso) a proposito dello scandalo delle partite vendute emerso nel 1981 (che portò, fra l’altro, alle squalifiche di Paolo Rossi, Albertosi etc.). Secondo Petrini, al tempo giocatore del Bologna, la Juventus era dentro fino al collo e per mano di un suo massimo dirigente gli pagò direttamente una valigetta di milioni in cambio del suo silenzio; così, mentre altre squadre pagarono con la retrocessione, la posizione della Juventus relativa a un Bologna-Juventus fu “stralciata” e non se ne parlò più. Neanche a drlo: la pubblica e reiterata denuncia del povero Petrini non portò però alla riapertura dell’inchiesta.

Mi fermo qui perché il resto di questa storia, più recente, è probabilmente ben presente a chiunque si occupi un po’ di calcio, e qualsiasi ragazzino italiano che abbia visto almeno qualche partita sa come gli arbitri trattino abitualmente la squadra della FIAT (dal famoso fallo di Iuliano su Ronaldo in uno Juventus-Inter decisivo per lo scudetto fino al recentissimo, e di nuovo decisivo, gol di Muntari, mezzometro abbondante dentro la porta, ma “non visto” dall’arbitro, e così via).

Un’ultima osservazione però si impone: tutto questo castello si regge - come sempre - sul controllo ferreo dei media e della stampa, e non per caso anche nello scandalo “Moggiopoli” ebbero un ruolo decisivo una serie di giornalisti sportivi, alcuni dei quali furono sanzionati anche dall’Ordine dei Giornalisti per il loro comportamento servile e contrario alla deontologia. Ora anche nel “caso Conte-Agnelli” è scesa in campo con tutta la sua potenza di fuoco la “libera stampa”, a sostenere l’innocenza “a prescindere” (come direbbe Totò) e, soprattutto, a sparare sulla Giustizia sportiva, per educare le masse al disprezzo di qualsiasi altra giustizia. E siccome la questione – come si diceva all’inizio - è grave per l’immagine dei padroni e per i padroni dell’immagine, ecco che è sceso in campo perfino un pezzo da novanta come Pierluigi Battista detto “Battista”, del “Corriere della sera”, che di solito è addetto a ben altri servizi non sportivi. Il 30 luglio sul “Corriere della sera” (alla cui proprietà forse la FIAT non è del tutto estranea), un lungimirante “Battista” invitava Conte a non patteggiare: “…quell’atto di sottomissione resterà indelebile nella memoria collettiva, addenserà l’ombra del sospetto sul capo dell’allenatore della Juventus, alimenterà attorno ai bianconeri tornati alla vittoria l’ostilità beffarda degli avversari.”

Davvero ben detto, Battista! Chissà se articoli come questo gli saranno valsi almeno una telefonata da parte di un Agnelli (quello normale intendo).

Angelo Vussun

4/8/2012 www.controlacrisi.org

 
 
 
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