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Storie. Nel secolo scorso pił di 30 milioni di italiani si sparpagliarono nei quattro angoli della terra in cerca di lavoro

Post n°6868 pubblicato il 31 Agosto 2012 da cile54

L’Italia: Paese “sfigato” per emigrati “sfigati”?

 Successe qualche anno fa, durante un mio ritorno in Marocco, che l’agente incaricato di controllare i passaporti mi chiese da dove arrivavo. Gli risposi che ritornavo dall’Italia. Un po’ incuriosito un po’ indagatore mi domandò : “- Cosa fai in Italia?”. All’epoca studiavo, sicché gli dissi che ero uno studente. Lui di rimando sorpreso e con un ghigno ironico: “- Perché in Italia si studia?”

 Questo dialogo nella sua surrealità non mi sorprese più di tanto. Sapevo perfettamente ciò che i marocchini rimasti in patria pensavano dell’Italia e soprattutto dei loro concittadini immigrati lì.

Nessuno dei due godeva di un grande prestigio.

I residenti marocchini in Italia sono considerati nella loro patria come immigrati di seconda categoria.

Probabilmente stupisce che ci sia una classifica anche nel dramma della migrazione, in quanto il sentimento di sradicamento e nostalgia è uguale sia per chi ha scelto la Francia, il Canada o la Germania sia per chi ha scelto l’Italia come paesi ospitanti. Come uguale dovrebbe essere la solidarietà degli altri marocchini nei confronti di tutti i loro connazionali espatriati.

Ma per delle considerazioni endogene ed esogene questa classifica in Marocco esiste ed è abbastanza accettata.

Le considerazioni endogene sono legate all’archetipo dell’emigrato marocchino nel Bel Paese.

La storia del fenomeno migratorio marocchino in Italia è recente rispetto a quelle grandi ondate di migrazione degli anni cinquanta e sessanta che portarono i cittadini del paese nord africano verso altri stati europei, soprattutto la Francia, L’Olanda, il Belgio e la Germania.

A dir la verità al suo albore questa migrazione non prese mai le sembianze di un’ ondata, bensì di partenze sporadiche di individui maschi sopratutto di provenienza rurale che o non avevano le competenze e gli agganci per accedere ad altri paesi molto più appetitosi dal punto di vista delle opportunità lavorative, o si erano svegliati troppo tardi.

Assai tardi per trovare i suddetti paesi già sbarrati per via di politiche di migrazione molto restrittive.

Comunque , che si tratti della prima o della seconda ragione, alla fine gli rimaneva solo l’Italia e la Spagna.

Le prime partenze si registrarono alla fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta e riguardarono soprattutto contadini dell’entroterra del Marocco (El Kelâa Des Sraghna, Tadla, Fkih Ben Saleh e Bni Mskin) esausti dai lunghi anni di siccità, dal crollo dei sistemi di agricoltura tradizionale e dalla mancanza di lavoro nelle città, questi contadini sceglievano l’espatrio in Italia. Paese che all’epoca non si era ancora dotato di una legislazione per la regolamentazione dei flussi migratori.

Dalle campagne, senza nessun passaggio iniziatico e formativo nelle città, prendevano il volo per l’Italia.

In quell’epoca nacque l’epiteto del vù comprà. Trattandosi di persone sovente analfabete era scontato che avessero dei problemi con la lingua, che nemmeno consideravano necessario imparare, poiché si trattava di “progetti” di immigrazione stagionali senza nessuna intenzione di trasformarli in una permanenza stabile.

Stavano in Italia quattro o cinque mesi, vendevano nelle spiagge e nelle città e poi ritornavano in patria. Moglie e figli rimanevano a casa.

E’ chiaro che con tali presupposti, questi immigrati non svilupparono mai una vera conoscenza del paese ospitante da poter diffondere nel loro paese d’origine. Cosa ne potevano sapere, nel loro passaggio breve e travagliato sul suolo italico, di Michelangelo e della Cappella Sistina, dei Futuristi e di Marinetti, di Leopardi e di Pasolini, della Dolce Vita e del Miracolo italiano, della Riviera Adriatica e del Mar Ligure?

Ora vi racconto un aneddoto di cui mio padre fu testimone.

Avevo un lontano parente che negli anni settanta venne in Italia seguendo la stessa prassi che ho appena descritto. Durante uno dei suoi soggiorni in Marocco, in una delle classiche sedute di famiglia, qualcuno gli chiese se in Italia c’era il mare. Lui rispose categorico: “In Italia neanche conoscono l’odore del mare”.

Questo mio lontano parente prendeva il pullman a Casablanca e sbarcava a Firenze dove faceva l’ambulante. Per più di vent’anni, la durata della sua avventura italiana, mai andò oltre Firenze e mai seppe che l’Italia è una penisola.

Probabilmente egli fu l’ultimo testimone di un’ immigrazione “buona” che pagò il prezzo dell’improvvisa decisione dell’Italia di opporre il visto per chi desiderava entrare nel bel paese, correva l’anno 1990. Non avendo mai avuto né una residenza fissa né un contratto di lavoro, poiché faceva l’ambulante, vide le porte dell’Italia sbarrarsi davanti a sé, senza possibilità di ricorso.

Questi immigrati quando tornavano a casa, erano una presenza discreta, non tornavano con il chiasso estivo e il rombo delle macchine come i loro concittadini residenti in Francia, Belgio o Olanda.

Il loro ritorno , giacché non aveva una cadenza annuale precisa, non era un evento che scandiva le estati marocchine, e tranne le loro famiglie nessuno gli attendeva . Per via del loro andirivieni continuo e la loro “non-assenza” mai troppo prolungata non si registravano grandi cambiamenti nei loro abitudini o mentalità, per cui erano privi del fascino degli “Zmagria*” residenti negli altri paesi europei.

Meno ricchi degli altri immigrati, analfabeti , erano e rimanevano contadini.

Un altro fattore endogeno che contribuì a peggiorare la fama dell’Italia e dei suoi i immigrati marocchini si registrò all’inizio degli anni novanta, e questo sì che prese le sembianze di un’ondata di migrazione.

In questa ondata l’elemento cittadino fra i candidati all’immigrazione verso l’Italia conobbe una crescita considerevole. I ragazzi della periferia “casablanchese” e non solo, ”i cattivi”, scoprirono il fascino Bel Paese.

Ciò concise con il fatto che la prima categoria di immigrati capi che non poteva più rimanere tagliata fra il Marocco e l’Italia e cominciò a portare su anche la famiglia.

In questo calderone gli uni continuavano ad essere etichettati come contadini, gli altri come mafiosi.

In quegli anni il numero degli immigrati prese propensioni importanti e il fenomeno divenne molto sentito sia in Italia che in Marocco. Torino, Padova e Bergamo si riempirono di marocchini, e a Casablanca, Rabat e Khouribga si abituarono a scorrere macchine con la targa italiana.

Gli immigrati in Italia cominciarono a fare massa, ma era una massa sempre di poca qualità agli occhi dei loro concittadini.

L’archetipo stereotipato dell’emigrante era diverso: giovani, della periferia, con una scarsa formazione scolastica, inizialmente immigrati illegali che in Italia si davano al traffico di stupefacente e alla microcriminalità. Tornavano in Marocco durante le ferie estive con delle belle macchine da esibire e da vendere. Si cominciò a notare in loro dei cambiamenti anche mentali e comportamentali che tuttavia non conquistarono i loro connazionali.

Ancora una volta non riuscirono a migliorare né la loro immagine né quella del paese che gli ospitava.

Veniamo alle considerazioni esogene legate al paese ospitante

Si sa, l’Italia è stato un paese d’emigrazione. Fra la fine dell’ottocento e fino all’inizio del secolo scorso si assistette ad una vera emorragia umana, più di 30 milioni di italiani si sparpagliarono nei quattro angoli della terra. Spesso in condizioni drammatiche lasciavano la patria, in delle dinamiche che ricordano oggigiorno la fuga definitiva e senza nessuna possibilità di ritorno degli immigrati sub-sahariani che affluiscono sulle coste italiane. Poi arrivò la stagione più recente di migrazione verso la Francia, la Germania, il Belgio e la Svizzera. Un paese poco generoso perfino con i suoi cittadini lo sarà stato sicuramente anche con chi arrivava da lontano.

Con un meridione condannato, da l’unificazione forzata, all’arretratezza. Un’ agricoltura di sussistenza, un’ economia devastata dalla guerra. Con i suoi problemi di criminalità organizzata, di migrazione interna, di instabilità politica , di stragi e di disordini. Con la sua moneta debole, il suo tessuto economico basato sulla piccola e media impresa . L’Italia di certo non era considerato un lido felice per l’emigrazione.

Dal punto di vista culturale, la predominanza della Francia e dell’Inghilterra relegavano l’Italia non solo in ambito europeo ma anche negli occhi dell’intellighenzia e della classe media marocchina a livello di un paese provinciale e marginale. In Marocco nulla arrivava del suo cinema, della sua arte e della sua letteratura.

Quindi l’immagine di un paese “sfigato”, mafioso e debole economicamente, adatto ai soli emigrati “sfigati” veicolava indisturbata.

Ora diciamolo chiaro e tondo, nella varietà dei suoi componenti, nel loro dinamismo e voglia di riscatto, la realtà dell’immigrazione marocchina in Italia è ben lontana da questi giudizi riduttivi e stereotipati.

Prima o poi forse riusciremmo ad essere riabilitati agli occhi dei nostri concittadini, ma ciò semmai avverrà lo faremmo sicuramente accompagnare anche dalla riabilitazione dell’Italia.

Forse qui nessuno ci lo chiede, ma noi lo chiediamo a noi stessi. Non solo perché la reputazione degli emigrati dipende dalla reputazione del paese che gli ospita, ma semplicemente perché amiamo l’Italia.

 

*Zmagria: Storpiatura dialettale della parola Immigrés (immigrati) epiteto con cui i marocchini residenti all’estero vengono chiamati dai loro concittadini in Marocco.

Rabii El Gamrani

29 Agosto 2012

Fonte: collettivoalma.wordpress.com

 

 
 
 
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