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Elezioni con Rivoluzione Civile: un voto di massa è il presupposto per una vera rivoluzione sociale, politica e culturale

Post n°7257 pubblicato il 06 Gennaio 2013 da cile54

La differenza la fa chi difende il lavoro

Ma perché dite che Mario Monti è un ipocrita se “sale in politica”? Sapevamo benissimo che dopo la fine del suo governo avrebbe certamente avuto comunque un ruolo più o meno da protagonista nel proseguio della vita politica del Paese. Ipocrita? Se lo è, per il fatto di esserlo è già di per sè coerente. Molto coerente, soprattutto, con la missione di portare a termine il salvataggio del capitalismo italiano in crisi, tutelando le speculazioni finanziarie, i grandissimi possedimenti, i forzieri delle banche e i privilegi della Chiesa cattolica apostolica romana dalla quale ha ricevuto l’exequatur come ambasciatore della Banca centrale europea in Italia.

 Gli interessi del Vaticano sono di grande valore: lo Ior non è mica un’opera di carità e non sta lì tra le mura d’Oltretevere per nulla…

 Così Monti ora ha la sua “Scelta civica”, la sua lista di centro, che lui preferisce definire “non di centro”. Una lista liberale? Forse. Sicuramente liberista.

 Almeno il quadro va in via di definizione: partendo da destra abbiamo Storace, Lega e Popolo della Libertà; al centro Casini, Fini, Montezemolo e Monti; nel centrosinistra Partito Democratico, Psi e Sel; a sinistra Rivoluzione Civile di Ingroia; e collocato dove volete (vista l’altalenanza del programma grillino che corrisponde all’ultima sortita appunto di Grillo da questo o quel pulpito pubblico) il movimento 5 Stelle. Più o meno, lista più, lista meno, questo è il panorama che si presenta.

 Definito il quadro della situazione, bisogna dire due parole sulle prospettive e sulle aspettative. Che Monti abbia sconvolto i piani di vittoria assoluta del Partito Democratico è talmente evidente che nessun commentatore politico si azzarda a scrivere il contrario o a confutare questa tesi. Dopo le primarie il partito di Bersani ha raggiunto nei sondaggi il massimo del consenso.

 Effettivamente le primarie sono state un luogo della politica in assenza di una politica che essa stessa troppe volte si è rinchiusa nei suoi palazzi e si è allontanata dai cittadini per provare ad imbrogliare la carte, le regole del gioco.

 Questo falso mito partecipativo delle primarie, provieniente dalla Repubblica stellata d’Oltreoceano, è quindi assurto a modello di riconquista proprio del coinvolgimento singolare e plurare della popolazione nelle scelte.

 Poi la crisi del governo ha precipitato gli eventi: ancora una volta un esecutivo non cade su una mancata fiducia, ma per volontà della generale necessità dei mercati di dare stabilità ad un governo che deve avere una legittimazione popolare per poter governare ancora a lungo. Se fosse durato fino a fine legislatura, Monti si sarebbe logorato in consenso, forse anche presso quella borghesia alta e dominante che oggi lo sostiene e che ha abbandonato la causa persa del centrodestra berlusconiano.

 Non è nemmeno difficile capire, infatti, perché i voti dei grillini trasmigrino velocemente da uno scalino all’altro dell’odeon della politica: sono voti in parte di proteste, in parte slegati da qualunque ideologia o appartenenza culturale e quindi passano in un batter d’occhio dal movimento del comico genovese ad un altro partito che promette il massimo della demagogia possibile. Dalla cancellazione dell’Imu a, magari, un nuovo milione di posti di lavoro.

 Chi urla più forte, insomma, vince la bamboletta.

 I sondaggi (ammesso che ci si possa fidare dei soloni del calcolo delle probabilità e delle sensazioni dell’elettorato) dicono che Rivoluzione Civile, la lista di Ingroia che riunisce Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi, Italia dei Valori, Movimento Arancione e Cambiare si può, nel giro di una settimana sarebbe passata dallo 0,5% al 5% netto. Sarebbe un’ottima partenza, non c’è dubbio e vorrebbe dire accreditarsi anche al Senato su percentuali regionali di tutto rispetto, ottenendo una rappresentanza di una decina di senatori.

 Le cifre contano per avere la dimensione della percezione che l’elettorato ha di una lista, di un progetto politico. E a questo vorrei arrivare ora. Ho letto e riletto i punti del programma di Ingroia e mi trovano fondamentalmente d’accordo. E’ un programma ancora abbozzato, per punti e che quindi va sviluppato.

 Io credo che sarebbe opportuno inserire in questo programma non un riferimento, ma un asse portante che si affianchi a quello legalitario che vi si trova già e che, giustamente, decide di fare della lotta alle mafie una delle pietre angolari di Rivoluzione Civile.

 Il lavoro come elemento inscindibile tra vita sociale e vita singolare, tra politica e cultura, tra piazza e palazzo. Il lavoro con la contraddizione capitalistica che lo relega a merce vendibile e spendibile, il lavoro come luogo di espansione della vita umana, come soggetto compatibile con la natura, come primo punto all’ordine del giorno di un programma di una lista che è di sinistra (con qualche pennellata di “centro”, vedasi Di Pietro) e che con orgoglio mette il Quarto Stato come simbolo del camminamento di quell’antico proletariato e moderno schiavismo del precariato e della disoccupazione a vita nel cerchio della sua proposta.

 Rivoltarsi civilmente vuol dire capovolgere, nel senso letterario del termine, ciò che oggi è stato portato avanti dalle politiche antisociali di Monti e che, senza un briciolo di critica, sono ancora rivendicate da un centrosinistra che oggi più di ieri non può rappresentare le istanze del lavoro e dei più deboli.

 Ma qui il diavolo ha beffato Faust: Monti ha usufruito dell’appoggio determinante del PD per garantirsi la costruizione di un consenso nelle fila della borghesia di alto bordo e darsi poi all’edificazione di un’area politica di centro dove comodamente stanno i liberali di destra di Fini, i cattolici di Casini e i rappresentanti del padronato guidati da Montezemolo.

 Confindustria ha trovato la sua casa politica nuova. I lavoratori e le lavoratrici ancora no. Ma possono averla. Devono comprendere che non c’è da salvare il Paese dal pericolo berlusconiano, non c’è più nessun terrore da schierare in campo per evitare che il consenso vada verso liste di sinistra vera. Oggi, se esiste veramente un pericolo, è affrontare la crisi dei bassi salari e delle alte speculazioni finanziarie con nuovi tagli allo stato sociale, con le ricette della Fornero sulle pensioni, con l’idea di scuola portata avanti dal ministro Profumo e che ricalca, pari pari, i corsi aziendali per sviluppare privatisticamente ciò che una università non può oggi dare a dei ricercatori: l’aggiornamento costante per poter avere nel proprio curriculum un attestato di idoneità, ad esempio, per entrare in un’industria di software informatici.

 Non è più solamente la Carta Costituzionale ad essere minacciata da un padrone arrogante prestato alla politica, ma è la connaturazione della società stessa ad essere in pericolo quando Mario Monti si permette di dire che vanno “silenziati” esponenti politici che lui giudica “conservatori” per il solo torto di avere come idea della società il progressismo e non il liberismo a tutto spiano che è la sua religione economica.

 Per questo Rivoluzione Civile deve avere un profilo nettamente discontinuo e alternativo a tutto questo, anche al centrosinitra che confusamente cerca di racimolare i pezzi di un anima che ha perso nella confusione delle convulse settimane che si sono succedute alle primarie.

 Per questo, è compito dei comunisti fare in modo che Rivoluzione Civile abbia tra le sue connotazioni ben chiara quella che il Quarto Stato bene evidenzia: la difesa e la lotta per l’alzamento dell’asticella dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Si tratta di una lotta sociale che è il presupposto per una vera rivoluzione civile di cui questo nostro povero Paese ha urgentemente bisogno.

Marco Sferini

5/1/2013 www.esserecomunisti.it

 
 
 
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