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La perdita del potere d’acquisto con la cancellazione della contingenza è stato il primo passo verso i drammi sociali odierni

Post n°7345 pubblicato il 31 Gennaio 2013 da cile54

Non voglio cieli senza scale. C’era una volta la scala mobile

I dati Istat resi pubblici ieri sull’aumento dell’inflazione e la incredibile e inarrestabile perdita del potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni nell’ultimo quarto di secolo coincide con l’eliminazione della scala mobile e dimostra scientificamente in modo inoppugnabile come avessero ragione coloro che si sono battuti per evitare la cancellazione dell’automatismo. Prima il Pci di Berlinguer nel 1984, poi Rifondazione Comunista in due fasi diverse nel 1994 con la raccolta di oltre un milione di firme e poi nella primavera del 2006 insieme a un arco di forze sociali e sindacali con una proposta di legge che però il parlamento non discusse mai.

E’ un sintomo grave della perdita di autonomia della classe e della sinistra, di subalternità al pensiero dominante il fatto che oggi quasi nessuno metta in relazione la grave crisi economica, la perdita del potere d’acquisto con la cancellazione della contingenza.

Pubblichiamo a 7 anni di distanza un articolo scritto nel marzo 2006 da Giuseppe Carroccia del comitato nazionale per il ripristino della scala mobile. Almeno per ricordarci che avevamo ragione.

30/1/2013

Se proprio dobbiamo andare al governo con nostri ministri, perlomeno garantiamoci la certezza di poter rappresentare degnamente i suoi vitali interessi e cioè di avere i soldi per fare la spesa. Per questo è indispensabile mettere la scala mobile nel programma di governo facendo firmare ai lavoratori, pensionati, precari, disoccupati la petizione popolare per una NUOVA SCALA MOBILE.

…e dobbiamo riconquistarcela !

Durante l’assemblea dei cinquecento delegati metalmeccanici riuniti per valutare l’esito dell’accordo sul contratto, insieme alla giusta soddisfazione per aver diviso e sconfitto l’arroganza di Confindustria attraverso blocchi stradali e ferroviari riusciti grazie alla solidarietà popolare, serpeggiava fra i partecipanti, oltre alla preoccupazione per i limiti dell’accordo su flessibilità e apprendistato, la consapevolezza della sproporzione tra le forze messe in campo e l’esiguità dell’aumento salariale ottenuto rispetto all’inflazione reale e al carovita.

Un delegato così sintetizzava, meglio di qualsiasi studio e approfondimento, la necessità di reintrodurre un nuovo meccanismo di indicizzazione di salari e pensioni: “Ci fosse stata la scala mobile avremmo ottenuto il doppio senza nessuno sforzo e avremmo potuto utilizzare la nostra forza per conseguire reali miglioramenti come ci è riuscito a Melfi ”.

La storia degli ultimi 13 anni, da quando Trentin firmò senza il mandato dell’organizzazione di cui era segretario, la Cgil, ma su indicazione del suo partito di riferimento, il Pds, l’eliminazione della contingenza dimostra indiscutibilmente tre fatti ormai storici:

1) la concertazione, la politica dei redditi, il tasso d’inflazione programmata hanno impoverito i lavoratori di tutte le categorie e qualifiche;

2) l’inflazione reale ha galoppato più che negli anni settanta, quando c’era la scala mobile che aveva una funzione deflattiva perché imponeva ai poteri forti (Confindustria, Confcommercio Banca d’Italia, governo) di operare per arginare l’inflazione, mentre gia prima dell’euro e in modo più evidente dal 2001, c’è stato un uso cinico e consapevole dell’aumento incontrollato dei prezzi per abbassare i salari;

3) spostando di 10 punti in percentuale la ricchezza nazionale dai salari ai profitti e alle rendite si sono modificati i rapporti di forza e si sono pertanto indeboliti i lavoratori sotto ogni aspetto: orario, occupazione, turni, sicurezza, cottimo, straordinario e, intaccando la possibilità di praticare la contrattazione articolata e di difendere la funzione del contratto nazionale, si è infine prodotto un arretramento di tutti i diritti di cittadinanza a partire da quelli sociali.

Dobbiamo perciò imporre nel dibattito politico programmatico che in questi giorni sarà indispensabile per battere le politiche neo fasciste di Berlusconi, il tema di quale tipo di scala mobile abbiamo oggi bisogno.

Innanzi tutto deve poter coprire tutte le nuove tipologie contrattuali, le pensioni e le indennità di sostegno al reddito e contribuire a unificare il frammentato mondo dei lavori partendo dalla difesa dei redditi più bassi che purtroppo ormai sono la stragrande maggioranza; a tal fine il modello migliore rimane quello del punto unico che entrò in vigore nel 1975.

Inoltre, ed è sicuramente il problema più complicato, nella giungla di prezzi e tariffe che ha sconvolto tutto il mercato di merci e servizi, bisogna individuare un meccanismo di rilevamento diverso dall’attuale paniere adottando, comunque, un criterio differenziato per fasce di reddito.

Infine,oltre a una riforma dell’Istat che restituisca autonomia e autorevolezza all’istituto commissariato, nel nuovo parlamento va istituita una commissione permanente su prezzi, tariffe e carovita che come primo atto promuova un’inchiesta sulla povertà.

C’è infatti una sottovalutazione della insostenibilità sociale che il processo di impoverimento ha determinato nel paese a cui si aggiungeranno le tensioni sociali derivanti dall’inevitabile aumento dei flussi immigratori.

Infatti, mentre attraverso una riduzione delle spese militari e una progressiva diminuzione dell’evasione fiscale si può risanare il bilancio dello stato aggravato in questi anni dal clientelismo populista della destra e dalle privatizzazioni del centrosinistra, risulterà più complicato risanare i bilanci delle famiglie proletarie, poiché, dopo che negli anni 90 si sono prosciugati i conti in banca e nel primo quinquennio del 2000 ci si è cominciati a indebitare, durante la prossima legislatura c’è il rischio concreto che una parte consistente della popolazione non sia in grado di pagare i mutui e i debiti contratti e faccia bancarotta.

Se proprio dobbiamo andare al governo con nostri ministri, non potendo mandarci la cuoca, perlomeno garantiamoci la certezza di poter rappresentare degnamente i suoi vitali interessi e cioè di avere i soldi per fare la spesa.

Per questo è indispensabile mettere la scala mobile nel programma di governo facendo firmare ai lavoratori la petizione popolare.

D’altronde, le masse con le spalle socialmente e politicamente rivolte verso il baratro dell’esclusione sociale, non potendo più arretrare, spontaneamente contrattaccano e reclamano un programma radicalmente alternativo per cui valga la pena lottare.

Dobbiamo saper imparare dai momenti più alti del conflitto: gli operai di Melfi che rispondono alla serrata bloccando gli accessi, gli addetti alle pulizie sui treni che occupano i binari, gli autoferrotranviari che scioperano senza rispettare la legge antisciopero, i delegati alla sicurezza che impongono alla commissione di garanzia di poter scioperare senza preavviso dopo l’incidente di Crevalcore, i lavoratori dell’Alitalia che praticano l’autocritica di massa e bloccano oggi le piste che non bloccarono l’anno scorso, e poi la Val di Susa, il ponte sullo stretto, l’infinità delle vertenze che il liberismo produce e che un programma di sinistra alternativa deve saper unificare.

Senza timidezza: non più un passo indietro ma avanti a sinistra.

Come stanno facendo i proletari di tutte le generazioni in questi giorni per le strade di Roma quando, di fronte agli sfratti esecutivi per morosità, organizzano picchetti per respingere l’ufficiale giudiziario e la forza pubblica e poi si fermano a discutere di fallimento dei patti in deroga, di case popolari, di equo canone.

Perché contrattaccando si può tornare a vincere, come con il referendum per estendere l’articolo 18 che ha licenziato il presidente di Confindustria D’amato per una giusta causa e che ha messo undici milioni di croci sul patto per l’Italia di Cisl Uil e Ugl.

Insomma non è la forza che manca, ma è la capacita di unificarla e concentrarla su proposte forti che come leve rovescino la logica dominante . Politicamente la scala mobile servirà a questo. D’altronde è la sua storia. Essa viene introdotta subito dopo la Resistenza sulla spinta e il prestigio della classe operaia del nord che aveva prima scioperato e organizzato il sabotaggio della produzione di guerra e poi aveva salvato le fabbriche dalla distruzione nazista.

I costituenti e fra essi i sindacalisti come Di Vittorio avevano ben chiaro che la borghesia italiana,la quale aveva inventato il fascismo, era abituata a non rispettare i patti e a usare l’aumento dei prezzi per costringere i lavoratori a una rincorsa continua per salvaguardare il potere d’acquisto.

Non è casuale che solo in Italia la scala mobile ha avuto una funzione così importante, mentre come già nel 1905 faceva notare Rosa Luxemburg a proposito delle Trade Unions inglesi, l’azione sindacale in genere riesce a mantenere una relazione stabile tra prezzi e salario.

Il rachitico capitalismo italiano, di cui Berlusconi è una moderna manifestazione, è abituato a giocare sporco e non ha mai voluto e saputo svolgere un ruolo progressivo nella storia nazionale, per questo Gramsci , quando solitariamente in carcere pensava l’assemblea costituente , immaginava gia per gli operai dei consigli del biennio rosso quel ruolo di classe generale capace di dirigere democraticamente il paese che prevede la possibilità di lottare per i diritti generali senza essere costretti alla continua rincorsa salariale.

E infatti il modello sociale che incarna la Costituzione del 1946 si basa sul protagonismo dei lavoratori e la piena occupazione e non può realizzarsi compiutamente, ne resistere agli attacchi che ha sempre dovuto contrastare, senza la scala mobile.

In questo momento è davvero singolare che, come una provvidenziale staffetta, quando il 15 febbraio verranno consegnate le firme per la difesa della Costituzione, inizieremo a raccogliere quelle per una nuova scala mobile.

Dalla fine del 1945 fino al 1975 gli accordi interconfederali che in diversi periodi modificano i punti di contingenza accompagneranno di fatto il progresso civile e culturale del paese eliminando in senso egualitario tutte le differenze, particolarmente odiosa quella che penalizzava le lavoratrici.

Il rischio dell’appiattimento salariale che per alcuni comportava l’accordo del 1975 in realtà fu una formidabile occasione per sviluppare una diversificazione della capacità di trattativa allargando la sfera dei diritti non monetizzabili: scuola professionale, 150 ore, riduzione dell’orario, lotta alla nocività ecc. e mise il Sindacato nella condizione di poter immaginare un diverso rapporto tra produzione della ricchezza e sua redistribuzione , contrattando grandi riforme generali e ponendolo nella condizione migliore per tenere testa alla sfida dell’automazione.

Protagonista principale di questa straordinaria stagione democratica fù il delegato di reparto, che dentro il consiglio dei delegati eletti su lista unica, tutti eleggibili e con la possibilità di esprimere più di una preferenza,costituiva il soggetto di un progetto di trasformazione che dalla vertenza contro l’amianto guidava poi la lotta per la riforma sanitaria, da quella per il pulmino aziendale il piano generale dei trasporti, e così via, inverando e innervando nella società il dettato della Carta Costituzionale.

La Confindustria percepì che la lotta ormai diventava oggettivamente per il potere e che il processo di democratizzazione andava fermato e scelse la strada dello scontro frontale, rinunciando di fatto a poter immaginare di reggere la competizione internazionale sul piano della qualità.

Fu uno scontro di civiltà e inevitabilmente ebbe come principale protagonista il Partito comunista allora guidato da Enrico Berlinguer. Oggi che dopo la recente vicenda Unipol vi è un unanime riconoscimento della validità della battaglia condotta allora da Berlinguer sulla questione morale, va chiarito che quella battaglia non può essere separata da quella per un modo di vita austero qualitativamente alternativa alla logica dello spreco e quindi dello sfruttamento imperialista, alla difesa del ruolo pubblico contro le privatizzazioni, al sostegno dato all’occupazione della Fiat nel 1980 e soprattutto proprio dal famoso referendum del 1984 contro il taglio dei due punti voluto da Craxi, che costituì un esempio di come una battaglia sociale possa metter in gioco l’intera vita di un paese.

Persino un personaggio schivo e del tutto alieno all’impegno politico diretto come Paolo Conte suonò in un concerto per sostenere quella battaglia referendaria e fu per questo carattere generale che nonostante la sconfitta numerica per poter eliminare la scala mobile i padroni hanno dovuto aspettare lo scioglimento del PCI, essendosi allora diffusa nel paese la consapevolezza dell’importanza di quello strumento.

Come scrisse allora Rinaldo Scheda, un autorevole dirigente sindacale: “Le battaglie che si combattono non si perdono mai”.

Nei prossimi mesi inizierà una lunga marcia per riconquistare con la raccolta delle firme, con un nuovo ciclo di lotte e con l’iniziativa culturale, con la forza e l’allegria, la possibilità di continuare la scalata al cielo che nessuna sconfitta potrà impedirci di tentare, perché come scriveva il grande poeta russo Esenin, negli anni della rivoluzione d’Ottobre: ”non voglio cieli senza scale”.

Giuseppe Carroccia (15 marzo 2006)

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