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LasciateCIEntrare: una rabbia sorda e senza speranza vissuta anche da agenti e gestori del centro con rassegnazione

Post n°7398 pubblicato il 12 Febbraio 2013 da cile54

«Quelle grida tra le sbarre del Cie»

Ogni volta che si entra in un centro di identificazione ed espulsione per migranti si avverte il bisogno di un periodo di decantazione. A forza di vedere grate aprirsi, gabbie e agenti, discorsi triti e ritriti, verrebbe voglia di lasciarsi andare a facili e sterili ingiurie. Ma non basterebbero e non cambierebbero il senso di impotenza che si prova entrando e uscendo da queste "galere etniche". Il potere è da una parte con i suoi mille volti (umanitario e cinico, algido ed efficiente); gli ultimi e le ultime dall’altro, dietro le gabbie e privati di nome, volto e storia.

Nell’ultima delegazione di LasciateCIEntrare, che è entrata lunedì 4 febbraio a Ponte Galeria, alla periferia di Roma, in occasione (beffarda) dell’anniversario della firma della “Carta di Goree” con cui si chiede libertà di circolazione per donne è uomini migranti, tutto è sembrato normale ma tutto lascia il sapore di assurdo. Il centro tirato a lucido come non mai, pronto per le grandi occasioni di gala, i giornalisti, in minima parte preparati e in gran parte alla ricerca del bersaglio sbagliato, gli operatori e le operatrici con un po’ di esperienza che ponevano le domande più adatte a mettere in difficoltà il personale dell’ente gestore (Cooperativa Auxilium) e della prefettura. E mentre i componenti della delegazione, soprattutto i neofiti, cercavano di carpire notizie, piccole o grandi novità, veniva voglia di scappare da quelle sbarre alte 4 metri e ricurve, da quella infernale monotonia. E se nel settore delle donne, una cinquantina le presenti, in gran parte asiatiche e nigeriane, tutte giovanissime, quasi bambine, il silenzio e la rassegnazione cozzavano con i canti di preghiera, con una convivenza vissuta forse con rassegnazione e speranza, era il passaggio al settore maschile a portare in un girone più profondo dell’inferno. Lì, «per la nostra sicurezza» ci dicevano, era impossibile entrare. E allora li sentivi urlare dalle gabbie, urlare dell’assenza di acqua e di sapone, del cibo immondo e della violenza subita, urlare di rabbia e di disperazione.

Il settore maschile, dopo la rivolta del luglio 2011 che portò alla semidistruzione di alcune ali del centro, è stato reso ancora più inaccessibile. Sopra le sbarre ricurve sono state poste strutture in plexiglass per impedire ai reclusi di salire sui tetti, di tentare rivolte, di provare a saltare le mura. Qualcuno però ha già provato a sfondarle, tracce nere stanno a indicare ciò che resta di piccoli fuochi. Una rabbia sorda e senza speranza vissuta anche da agenti e gestori del centro con rassegnazione. Incidenti che sono capitati e che ricapiteranno, la sola via è fare in modo che i rimpatri proseguano senza sosta, per non intasare la struttura. Niente può migliorare il centro; lo stesso gestore, il dottor Di Sangiuliano, dice a registratore spento «andrebbero asfaltati, non servono a nulla», ma guai a dichiararlo pubblicamente, guai ad assumere impegni, soprattutto in questo vuoto politico. Dietro ci sono gli appalti, la gestione di un meccanismo remunerativo e inutile, quanto costoso per la collettività e doloroso per chi vi incappa.

E i ragazzi, per lo più nigeriani e magrebini, urlavano, urlavano e ci indicavano con le dita, urlavano e nei loro occhi prevaleva a tratti un odio profondo, l’odio di chi si sente tenuto in cattività. Poche parole all’uscita, nella delegazione due candidati alle prossime politiche: Ilaria Cucchi per Rivoluzione Civile e Roberto Natale per Sel. Ambedue sono usciti con dichiarazioni nette che non lasciavano spazio a tentennamenti. Ilaria Cucchi era tesa e provata nel ritorno a casa: «Ancora una volta vedo cosa succede ad essere gli ultimi – ha detto a voce bassa – Penso a questi ragazzi e penso agli ultimi giorni di mio fratello, alla maniera con cui è stato trattato prima e dopo. Se entrerò in parlamento mi batterò fino alla fine perché posti di questo tipo, dove restano in un tempo senza tempo persone che non hanno neanche commesso reato, non debbano più esistere».

Stefano Galieni

resp. nazionale immigrazione Rifondazione Comunista

11/02/2013 www.rifondazione.it

 
 
 
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