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« Le dittature orientali e...Lager, peggio del carcer... »

Le vittime di tratta Odissea nel Cie di Roma. Nel 2012 da Ponte Galeria sono partite 16 denunce per sfruttamento

Post n°7598 pubblicato il 07 Aprile 2013 da cile54

Da schiave a detenute

Rita, 26 anni, nigeriana, cercava aiuto ha trovato solo il rimpatrio. Come lei tante donne si trovano strette tra lo sfruttamento e una legge ingiusta annalisa ausilio (reporter nuovo)

 Gli ultimi minuti in Italia li ha passati incollata al cellulare cercando rassicurazione, sfogando paura e rabbia. Ma soprattutto impotenza difronte alle ragioni che la obbligavano a salire su un aereo in partenza da Roma Fiumicino e diretto a Lagos, Nigeria.

Trecento chilometri da Benin City, la città da dove tre anni prima aveva iniziato il viaggio inseguendo l’eldorado europeo. Una traversata che l’ha incatenata alla violenza dello sfruttamento sessuale: costretta a vendere il suo corpo per saldare un debito inestinguibile. Rita, ventisei anni, non è più padrona della sua vita, è una schiava. Una vittima di tratta che in Italia cercava protezione ma ha trovato la clandestinità: prima rinchiusa in un Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) e poi rimpatriata in Nigeria.

A denunciare pubblicamente la storia di Rita è la cooperativa Be Free, che dal 2008 ha attivato uno sportello di consulenza psicosociale e legale nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, a favore delle schiave del sesso. È alle operatrici della cooperativa, conosciute dietro le sbarre del Cie, che la ragazza nigeriana telefona prima che decolli l’aereo di linea diretto a Lagos. Chiamate che Francesca De Masi, sociologa di Be Free, non dimenticherà: «Prima dell’espulsione avevamo presentato la denuncia-querela per il traffico di esseri umani presso la Procura di Roma ma le autorità italiane non hanno riconosciuto lo sfruttamento sessuale perché avvenuto in Grecia contravvenendo alle Convenzioni internazionali che riconoscono questo crimine come transnazionale».

Un ping-pong di responsabilità che hanno determinato l’espulsione della ragazza che, dopo due mesi nell’inferno della prostituzione, era riuscita a scappare da Atene e raggiungere Padova. A poche settimane dal rimpatrio, Rita, grazie all’intervento dell’Usmi (Unione delle superiori italiane) diretto da Suor Eugenia Bonetti, si trova in un centro di accoglienza di Lagos che accompagna le ragazze sfruttate nel percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Ma l’impegno di Be Free continua: «Non smetteremo di seguire Rita – promette De Masi – intraprenderemo azioni legali affinché possa rientrare in Italia e trovare la protezione e il riconoscimento che le sono stati negati».

Questo gruppo di mediatrici culturali, sociologhe, psicologhe e avvocate assiste le vittime di violenza senza documenti e per questo, in linea con i dettami della legge Bossi-Fini, rinchiuse nei Cie. Da cinque anni, una volta a settimana entrano nel centro per favorire l’emersione dello sfruttamento. «Cerchiamo di instaurare un rapporto di fiducia e dialogo con le ragazze – spiega De Masi – ma non è un contesto facile». Soprattutto fra le nigeriane, che subiscono più di altre i rimpatri, aleggia costantemente il terrore dell’espulsione e a volte le vittime sono recluse con le loro sfruttatrici, le madame.

La denuncia è il primo passo per accedere ai programmi di protezione e reinserimento garantiti dall’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione (dlg 286/98 legge Turco-Napolitano). Un gesto non facile per le migliaia di ragazze arrivate in Italia con il sogno di una vita migliore ma costrette a battere il marciapiede sotto minacce fisiche e psicologiche. Le nigeriane temono più di qualsiasi altra cosa il rito vodoo, il patto contratto con la loro sfruttatrice che non può essere sciolto pena la morte o la follia. Merci di un traffico internazionale che, secondo l’UNODC agenzia Onu per la lotta al crimine organizzato, costringe alla prostituzione in Italia sei mila ragazze nigeriane ogni anno per un giro di affari oltre 220 milioni di dollari.

«Dietro le sbarre del Cie cerchiamo di spingere le ragazze a denunciare. Dopo la denuncia – continua De Masi – si attende il parere favorevole del pubblico ministero per il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario di sei mesi, rinnovabile fino a un anno, che permette alla donna di lasciare il centro e di inserirsi in una struttura protetta».

Nell’ultimo anno da Ponte Galeria sono partite 16 denunce per sfruttamento. Ma nel Cie di Roma, uno dei più affollati d’Italia dato che da qui decollano gli aerei che rimpatriano gli irregolari, finiscono anche donne che si sono già rivolte alla polizia. «Un anno fa è stata detenuta una ragazza nigeriana che arrivava dall’ospedale di Palermo: 40 giorni di ricovero dopo che la sua sfruttatrice l’aveva cosparsa di olio bollente», spiega la sociologa. Ma non è un caso isolato, anche per una giovane nicaraguense che aveva denunciato i maltrattamenti da parte dell’ex partner si sono aperti i cancelli di Ponte Galeria.

In poco tempo la ragazza nigeriana ha ottenuto il permesso per uscire dal Cie e accedere al programma di protezione ma dalla cooperativa continuano a chiedersi il motivo per il quale le vittime di tratta devono essere trattenute nei Cie e, come le caso di Rita, addirittura espulse. Una domanda che riaffiora con insistenza ogni volta che conoscono una ragazza reclusa che ha già denunciato, un interrogativo che le accompagna nel loro lavoro quotidiano: permettere alle schiave del sesso o alle vittime di maltrattamenti di lasciarsi alle spalle il Cie e beneficiare dei percorsi istituiti dalla legge Turco-Napolitano.

5/7&2013 Fonte: www.vocidiroma.it

 
 
 
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