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Precariato: storie di un mondo del lavoro ai confini dello schiavismo, dove non c'č pių la frusta ma torture pių crudeli

Post n°7854 pubblicato il 09 Giugno 2013 da cile54

Tre storie di precari, nomadi per necessità

Un mondo a parte, quello di stagisti e tirocinanti. Lo testimoniano le loro storie. Come quella di Martina Serena Colazzo, 28 anni, dottoranda di ricerca in Letteratura e psicologia all’università del Salento, che ha trascorso sei anni da uno stage all’altro in cerca di lavoro.

 “La prima esperienza nel 2005, durante la laurea, presso il Quotidiano di Puglia, in qualità di praticante, a redigere articoli. Poi passo al ministero degli Esteri, ad occuparmi di documentazione storico-diplomatica, dando anche una mano in archivio e biblioteca. Esperienza interessante, durata quattro mesi, dopodiché cerco di fare il salto di qualità; e, attratta dall’ingannevole pubblicità che assicurava un posto di lavoro, inizio un master al Sole 24 Ore in comunicazione aziendale e affari pubblici, grazie all’aiuto della mia famiglia che copre i 14mila euro d’iscrizione. Nell’arco dei nove mesi di corso, finisco dapprima in una piccola agenzia di comunicazione, avendo a che fare con case farmaceutiche, sotto la guida di un individuo dalla dubbia preparazione professionale”.

 “Protesto e i responsabili mi spediscono a Mediart, un’agenzia di promozione culturale, a seguire un corso di scrittura creativa: sulla carta, tutto ok, oltretutto in linea con il mio campo di studi; in pratica, però, il lavoro era così scarso che dopo un po’, visto che si avvicinavano le feste, mi sono ritrovata a dover fare pacchi regalo e a copiare indirizzi per biglietti natalizi. Dopo un mese e mezzo passato tra spumanti e panettoni, di fronte alle mie obiezioni, mi cacciano e allora sono andata all’ufficio stampa di Greenpeace. Lì ho lavorato tre mesi, ricevendo per la prima volta un piccolo compenso per l’attività svolta, sotto forma di buono pasto giornaliero da 5 euro. Successivamente, ho vinto il dottorato di ricerca e sono tornata a Lecce. Attualmente vivo in Spagna per un periodo di pratica, stavolta retribuito, all’università di Valencia”.

Non meno significativa la vicenda di Andrea Tosi, 37 anni, che oggi lavora in un call center a Perugia, ed ha in curriculum sei stage, di cui due legati a percorsi formativi, seguiti da altrettanti contratti di lavoro, poi interrotti a causa della crisi: un’odissea, iniziata nel 2001, dopo il conseguimento della laurea in Scienze politiche. “Il primo stage l’ho fatto a seguito di un corso a Marghera su finanziamenti comunitari. Passano tre mesi e vado in un ente di formazione dell’associazione commercianti di Perugia, che fin dal primo giorno mi avverte: scordati di essere assunto. Poi ho iniziato a Bruxelles un tirocinio sul progetto Ue Leonardo, dopo essere stato selezionato da una Ong, con una borsa di studio di 5.000 euro per coprire le spese”.

 “Alla fine ci ho rimesso e ho dovuto fare pure l’aiuto segretaria. Tornato a Perugia, faccio un corso di formazione in politiche comunitarie, seguito da un tirocinio al Cnr in studi giuridico-istituzionali. In teoria tutto perfetto, solo che, arrivato a Roma, mi accorgo di non aver neanche una scrivania a disposizione. Ero un nomade che vagava da una stanza all’altra, per cui dopo un po’ ho chiesto chiarimenti ai responsabili, che, messi alle strette, mi hanno concesso almeno un computer su cui lavorare. Poi ho continuato a fare ricerca con un’altra borsa di 5.000 euro. In realtà, facevo da assistente alla segretaria, compito che esulava dalla mia preparazione professionale: unico fatto positivo, l’essere riuscito a pubblicare articoli su riviste internazionali. Nel 2004 arriva la prima esperienza lavorativa alla Regione Umbria, con un contratto legato a un progetto sull’agricoltura, poi naufragato assieme alla mia collaborazione. In seguito, sono stato all’associazione dei salesiani, dove insegnavo cultura generale agli studenti, poi a Reggio Emilia per un master di gestione d’impresa: prima periodo di formazione, poi tirocinio, che sembra preludere a un posto in un’azienda. Cosa che avviene, presso una multinazionale specializzata in ricambi per l’agricoltura”.

 “Mi dicono: prepara il passaporto che ti spediamo a Shanghai, per il fatto di sapere bene le lingue. In realtà, resto in Italia e mi ritrovo all’ufficio acquisti a fare da jolly per ogni evenienza. Scade lo stage gratuito e mi propongono un tirocinio a 600 euro, dove continuo a fare il lavoro di prima. Poi un altro anno di collaborazione, con contratto a 1.000 euro. Sembra fatta, ma arriva il 2008 e scoppia la crisi: mi convocano per dirmi che sono costretti a tagliare interinali, contratti a termine e a progetto. Così torno a Perugia per ricominciare daccapo. Finisco nel tessile, con uno stage nel mondo del cashmere e mi ritrovo al telaio, con i colleghi operai che mi guardano male perché non faccio i turni completi, in virtù del mio orario ridotto. Alla fine, mi mettono in ufficio a fare marketing, dove metto a punto anche il sito web e il logo aziendale che non avevano. Terminati i sei mesi, tanti saluti e arrivederci”.

Laura Cuzzocrea è la protagonista della terza storia che raccontiamo: in questo caso, tre stage alle spalle, più un altro rifiutato. “Laureata a Cagliari in Scienze politiche, a 22 anni mi sono trasferita a Vienna per un master. Al secondo anno sono stata presa all’Osce per un tirocinio, non pagato, di quattro mesi: un lavoro ‘variegato’, dove passavo dalla stesura di report e discorsi per l’ambasciatore al dover comprare la carta igienica per l’ufficio! L’anno seguente, sempre a Vienna, ho fatto un altro tirocinio al Parlamento europeo – stavolta vero e non sfruttamento gratuito mascherato come il precedente –, ad occuparmi della rassegna stampa estera. Ho lavorato tre mesi gratis, ma venivo trattata come una persona cui bisognava insegnare un mestiere. È seguita un’altra proposta allo Iom: esperienza terribile, dove i responsabili avevano letto a malapena il mio curriculum e pretendevano da me conoscenze nel campo della ricerca che non potevo avere, dovendo svolgere per l’appunto un tirocinio”.

 “Ho declinato l’invito e non avendo borse di studio sono tornata a fare la cameriera. Successivamente ho completato il master, poi il dottorato e ho iniziato a lavorare in un’azienda che commerciava con l’Italia. A gennaio ho lasciato quel posto, perché sono stata presa come tirocinante, pagata 1.000 euro, al ministero della Ricerca. Mi trovo bene, non vengo discriminata sul lavoro e anche per i giovani come me c’è rispetto. Alla fine, gli unici datori di lavoro schiavisti sono proprio gli italiani in Austria. Ora, per via della crisi, tutte le assunzioni sono state bloccate; spero solo che al prossimo colloquio non mi dicano che ho studiato troppo e ho fatto troppi tirocini!”.

Roberto Greco

8/6/2013 da rassegna.it

 

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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