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Le maggiori forze politiche sono mute di fronte a fatti e giudizi penali abnormi. Anche questa è la loro democrazia!

Post n°7891 pubblicato il 19 Giugno 2013 da cile54

Indifferenti alla tortura: questa è la democrazia autoritaria 

 Un paese attento ai diritti fondamentali dei propri cittadini sarebbe scosso e sconvolto dal giudizio espresso dalla magistratura – in via definitiva – sulla vicenda dei maltrattamenti inflitti ai detenuti nella caserma-carcere di Bolzaneto a Genova durante il G8 del 2001. E per più di un motivo.

 Primo: la sentenza di Cassazione certifica che decine di persone furono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, cioè a tortura, nel chiuso di una caserma da parte di dipendenti dello stato.

 Secondo: l’evidenza storica di quanto accaduto a Bolzaneto – acquisita da oltre un decennio grazie a decine di testimonianze delle vittime e a quelle degli infermieri penitenziari Marco Poggi e Ivano Pratissoli – non ha mai spinto i vertici delle forze dell’ordine né le istituzioni elettive a intervenire per accertare le responsabilità amministrative e professionali a tutti i livelli e quindi mandare un chiaro messaggio di assoluto rigetto di simili abusi.

 Terzo: tutti gli imputati, in testa quelli riconosciuti responsabili penalmente degli abusi commessi, sono tuttora in servizio, incluso il personale medico, e non risultano azioni disciplinari in corso, né all’interno delle forze dell’ordine né per iniziativa dell’Ordine dei medici.

 Quarto: solo sette persone, sulle 40 riconosciute responsabili dei vari reati contestati, non hanno beneficiato dalla prescrizione, causata dall’assenza di un reato specifico di tortura.

 Quinto: la sentenza definitiva arriva a dodici anni dai fatti ma le forze politiche parlamentari non hanno in agenda alcun intervento di riforma volto alla prevenzione di abusi simili a quelli avvenuti a Bolzaneto.

 L’Italia non è un paese interessato alla rigorosa tutela dei diritti fondamentali, come dimostra la scarsissima attenzione prestata alla sentenza su Bolzaneto e a quella dello scorso anno sui falsi e le violenze alla scuola Diaz, che pure portò alla decapitazione del vertice della polizia di stato.

 Le maggiori forze politiche sono mute di fronte a fatti e giudizi penali abnormi, che in una sana democrazia sfocerebbero in decisioni amministrative e interventi normativi importanti: la sospensione/rimozione di tutti i responsabili; pubbliche scuse alle vittime dirette degli abusi e a tutti i cittadini; una profonda revisione delle attività di formazione; l’introduzione del reato di tortura con previsione della non prescrittibilità; l’istituzione di un organismo indipendente di protezione dei diritti umani.

 Niente di tutto questo avverrà, perché la cultura democratica nel nostro paese è oggi ai minimi storici: si parla di “riforme”, anche costituzionali, solo per garantire maggiore concentrazione dei poteri, in una logica leaderistica e autoritaria che ha travolto anche le tradizionali distinzioni fra destra e sinistra.

C’e’ da ricostruire una cultura dei diritti; va messa in cantiere, sia pure da posizioni minoritarie e sapendo d’essere al momento inascoltati, una profonda riforma morale e strutturale delle forze dell’ordine e delle istituzioni di garanzia.

 Siamo nel pieno di una stagione di democrazia autoritaria: come altro può definirsi la condizione di un paese che osserva con indifferenza la dichiarazione solenne, da parte dei giudici di Cassazione, che l’Italia è un paese nel quale si pratica la tortura?

 Un paese nel quale gli stessi mezzi di informazione faticano a mettere in connessione la tolleranza – potremmo dire la compiacenza – mostrata dalle istituzioni per le torture praticate a Bolzaneto nel 2001 con la morte di Stefano Cucchi, Federcio Aldrovandi, Giuseppe Uva, Aldo Bianzino, Franco Mastrogiovanni?

 Un paese nel quale chi osa mettere in luce le mancanze delle forze dell’ordine o proporre una riforma che le renda meno opache e più credibili sotto il profilo democratico, viene tacciato di estremismo?

Lorenzo Guadagnucci

18/6/2013 www.altreconomia.it

 
 
 
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Roma, 12 maggio 1977

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