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Sull’occupazione femminile, raffronto analitico tra Italia e Olanda. Le politiche degli incentivi per il lavoro part time

Post n°8060 pubblicato il 28 Agosto 2013 da cile54

Un altro genere di spread

SPREAD è una parola che da qualche tempo si sente spesso e ormai sappiamo tutti benissimo che significa differenziale. Misurare un differenziale può essere utile per renderci conto che effettivamente esistono molte differenze tra noi che viviamo in Italia e i nostri vicini che vivono in altri paesi d’Europa.

Vorrei approfondire il tema dell’occupazione femminile, partendo dall’articolo che ho scritto poco tempo fa in cui confrontavo Italia e Olanda, il mio paese natio e il mio paese adottivo.

Commentavo che l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa in cui l’occupazione femminile è addirittura sotto il 50%, mentre in Olanda il tasso di occupazione femminile si avvicina al 70% insieme a un tasso di natalità più elevato (1,76 figli per donna contro 1,4 in Italia)

La domanda che mi ponevo è: come mai in Olanda si combinano più facilmente un tasso di natalità più alto e una maggiore occupazione femminile?

Mi sono risposta riassumendo così la situazione italiana: l’Italia osteggia in ogni modo l’occupazione femminile, senza ragioni economiche valide, ma solo per ragioni culturali e ideologiche. Viene promosso solo il modello tradizionale di donna devota alla casa e alla famiglia, sporcandolo con la nuova immagine della donna in versione velina, esibita ma mai soggetto attivo nella società e alla pari nel mercato del lavoro.

Invece in Olanda, dove la visione tradizionale della donna è molto meno radicata, lo Stato è intervenuto a sostegno dell’occupazione femminile in molti modi e con buoni risultati.

In particolare vorrei concentrarmi sul part time, che in Olanda è, sia per le donne sia per gli uomini, accessibile per legge e incentivato su due fronti: il primo è quello della convenienza fiscale per il datore di lavoro che assume dipendenti part time; il secondo è quello della politica dei contributi statali per le varie forme di accudimento dei bambini alle famiglie, che sono accessibili solo se entrambi i genitori lavoranoe calcolati in base alle ore lavorate dal genitore che lavora di meno. Questo si traduce in una convenienza per i datori di lavoro ad assumere dipendenti che lavorano a tempo parziale e in una maggiore convenienza per le famiglie con figli ad avere due genitori che lavorano un numero di ore meno sproporzionato per massimizzare il contributo statale per la cura dei figli.

Ecco cosa è successo in Olanda nell’ultimo decennio, secondo i dati CBS:

Nel biennio 2001-2003, le donne senza figli lavoravano quasi esattamente come lavoravano nel biennio 2010-2011: quasi la metà lavoravano almeno 35 ore la settimana, circa il 20% lavorava tra le 28 e le 34 ore e un altro 10% tra le 20 e le 28 ore; una piccola percentuale lavorava 12-19 ore e pochissime meno di 12 ore la settimana. Solo poco più del 15% non lavorava. In 10 anni, per le donne senza figli, la situazione è rimasta invariata: il tasso di occupazione è molto alto e in buona parte il lavoro svolto è a tempo pieno.

Cosa è successo invece alle donne con figli? Dal biennio 2001-2003 al biennio 2010-2011 è sensibilmente diminuito il numero di donne con figli ma senza lavoro, è aumentato anche se di molto poco il numero di donne che lavora full time, ma è raddoppiato il numero di donne che lavora tra le 28 e le 34 ore la settimana ed è aumentato sensibilmente il numero di donne che lavora più di 20 ore.

Complessivamente, la riforma dei contributi statali per la cura dei bambini ha portato le donne al lavoro, anche se a tempo parziale.

Già di per sé questo è un dato importante. Ma quello che lo rende solido è l’altro dato che lo accompagna: in Olanda il 22% degli uomini lavora part time e  nell’ultimo decennio sta aumentando costantemente il numero di uomini che lavora a tempo parziale, (soprattutto nella fascia 20-35 ore settimanali) facilitando così la ridistribuzione del lavoro non retribuito che in Italia grava del tutto sulle spalle delle donne.

Non siamo alla parità, non ancora. Ma passo passo ci si avvicina a una situazione decisamente più equa. Dove equa non significa che tutto deve essere rigorosamente diviso a metà, ma che tutti, uomini e donne, devono avere le stesse opportunità. Personalmente, ritengo che la redistribuzione delle ore di lavoro, retribuito e non, sia uno dei temi chiave. Redistribuzione, non necessariamente livellamento del lavoro delle donne al livello attuale di quello degli uomini e redistribuzione sia delle ore di lavoro retribuito sia NON retribuito. Lo preciso per chiarezza ulteriore.

E insisto sul tema dello SPREAD: se smettessimo di guardarlo solo dal punto di vista del rendimento dei titoli di Stato e cercassimo di colmare il differenziale che esiste in altre aree tra l’Italia e i paesi in posizioni migliori all’interno dell’Unione Europea, quella potrebbe essere la via verso un’Italia migliore. Non ci manca niente per fare di meglio, ma dobbiamo voltare le spalle ai modelli che non hanno funzionato e accettare la sfida del cambiamento; dobbiamo abbandonare stereotipi assurdi che ci tengono sì al caldo di una tradizione consolidata, ma che non si adattano alla nostra società e, soprattutto, non ci rendono felici.

27/8/2013

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