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Pubblicità e sviluppo adolescenziale. La domanda è se sia funzionale al pieno sviluppo psico-fisico di un* bambin*

Post n°8647 pubblicato il 28 Febbraio 2014 da cile54

Rocchetta e la bellezza venduta alle bambine.

Rocchetta, l’acqua di Miss Italia, che quindi probabilmente avrà lo scopo di sostenere il valore sociale della bellezza attraverso il suo advertising, non è nuova a rappresentazioni sessiste per pubblicizzare il suo prodotto.

Il sessismo era presente già ai tempi degli spot di Del Piero e Chiabotti, in cui il primo con l’acqua doveva digerire, mentre la seconda fare cascate di pipì per essere pulita dentro e bella fuori.

Per arrivare poi allo spot che nel 2009 metteva a paragone sempre Cristina Chiabotto con una ragazza meno alta e meno magra di lei, e probabilmente considerata per questo meno avvenente, indicando l’acqua bevuta quale causa della sua fisicità insoddisfacente.

Non è la prima volta, quindi, che Rocchetta veicola magrezza – e bellezza annessa – quale valore da proteggere, considerando le donne con una taglia superiore a quelle consentite nello show biz brutte e affermando, inoltre, un dato di non-realtà, poiché l’acqua non è un dimagrante.

Uno spot che risulta quindi senza riguardo alcuno nei confronti delle persone che soffrono di problemi alimentari, andando a consolidare erronee credenze.

Ecco, Rocchetta non si smentisce nemmeno questa volta, veicolando un messaggio ancora pericoloso, questa volta riservato alle bambine.

All’interno dello spot, Laura Chiatti offre una bottiglietta di acqua Rocchetta alla nipote:

 “Rocchetta per te e Rocchetta per me”

mettendo quindi sullo stesso piano lei, una donna adulta, con la bambina.

La nipote allora chiede a Laura:

 “Ma tu zia, perché bevi sempre Rocchetta?”

e lei risponde: “Perché è la mia acqua di bellezza, così mi depuro dalle scorie cattive e sono pulita dentro…”

 “…e bella fuori” completa la bimba.

Le scorie di Cristina Chiabotto diventano quindi “scorie cattive” per la nipotina di Laura, così da evocare un mondo infantile, e quindi più vicino alla piccola protagonista, intendendo l’acqua quale “depuratrice” atta ad eliminarle.

La domanda che viene spontanea è se sia funzionale al pieno sviluppo psico-fisico di un* bambin* associare qualcosa come la parola “cattivo” al proprio corpo, andando ad individuare qualcosa da eliminare, anche in ragione del fatto che la considerazione astratta del proprio corpo, o parti di esso, come “brutto e cattivo” e il bisogno indotto di eliminazione e purificazione sono spesso associati a problemi alimentari e di autostima.

La bimba, divenuta cupa e malinconica, prosegue: “Io da grande voglio diventare bella come te”

Forse non si reputa abbastanza bella, come la zia?

Laura, sorridendo per tranquillizzarla e arruffandole i capelli: “Ma tu sei già bellissima!”

Ecco che si rimarca quel bisogno indotto, per una bambina, di essere bella agli occhi di terzi anche in tenera età e che questo può valere anche riconoscimenti affettivi.

La radicazione degli stereotipi di genere, infatti, avviene fin dall’infanzia e i media veicolano quotidianamente rappresentazioni stigmatizzanti e discriminatorie.

La medesima rappresentazione femminile riservata alle donne adulte viene imposta anche alle bambine.

Uno spot dall’apparenza innocua e ingenua si trasforma così in un messaggio pericoloso che parla all’inconscio delle bambine, ancora una volta relegate al mito dell’apparenza e dell’avvenenza, quando durante l’infanzia si dovrebbe pensare a tutto fuorché alla bellezza.

dAlessia Liberiamo l’infanzia

26/2/2014 http://comunicazionedigenere

 
 
 
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