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Il caso Englaro e il folle accanimento terapeutico imposto dalla chiesa e dal governo

Foto di cile54

la pietà del giudice e l’ideologia del politico (che comanda)

Vi è anche una sorta di accanimento terapeutico nella discussione sul caso di Eluana Englaro. Serve al potere sviare l’attenzione dai problemi quotidiani, ovvero dal peggioramento delle condizioni di vita delle persone più deboli, ma anche della gran parte dei cittadini italiani. Il problema esiste è giuridico, etico, ideologico.

Il giudice interpreta la legge, per primo la Costituzione. Non si può imporre un trattamento sanitario obbligatorio se non per legge. Il diritto ad accettare o rifiutare le cure è una libera scelta del soggetto interessato. Il giudice pertanto afferma che Eluana Englaro ha espresso chiaramente la sua volontà  a chiudere la sua situazione di non vita. Le strutture sanitarie pubbliche, comprese quelle lombarde, devono poterlo garantire.

Se nessuno dice niente il togliere la spina nelle rianimazioni di fronte a malati gravi senza speranza di guarigione  non è eccezionale. Le persone anziane malate croniche  ricoverate in RSA vivono meno di quelle che sono al proprio domicilio; in alcuni casi (denunciati  anche sulla stampa) muoiono anche in condizioni  di abbandono. sia nelle strutture che in solitudine nelle loro abitazioni oppure per strada. 

Ancora il giudice, questa volta penale, è intervenuto (sta intervenendo) di fronte al togliere la vita (o al metterla pesantemente in discussione)  per motivi di tornaconto tramite pratiche terapeutiche ingiustificate e scorrette. Casi nei quali si deve fortemente dubitare che nessuno ha visto nulla e nessuno sapeva nulla a partire da chi doveva controllare e verificare.

Che si dia la possibilità a Eluana Englaro di interrompere in pace la sua non vita. Il potere su questo taccia, si occupi piuttosto di non lasciare morire di stenti o di infiniti disagi chi è povero, malato mentale, immigrato o nomade o si sollevino i lavoratori dalla possibilità oggi sempre più concreta e quasi conclamata di non sapere più come tirare avanti per vivere.

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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