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« Oggi a Genova il tradizi...Il pianeta di fronte a v... »

Professionisti dell’altrui dolore? Il patriarca di Venezia: ho sperimentato come la gente sopporta la sofferenza fisica

Il cardinale Scola in un’intervista (Corriere della sera del 19 luglio 2009) afferma “un malato di Sla che muoveva solo le palpebre mi disse che era felice di vivere. Fare presto una legge giusta sul fine vita E bisogna investire sulle cure palliative». Cosa voglia dire per la gerarchia vaticana “legge giusta” lo sappiamo molto bene e ne siamo inorriditi per la crudeltà verso i malati alla base di ciò che è giusto per loro.

Siamo andati a riprendere un interessante articolo del Dr. Giorgio Trizzino, scritto nei giorni della caso Eluana Englaro e del forsennato attacco della chiesa, e dei politici integralisti cattolici, contro la libertà della persona in stato vegetativo. La crudeltà di questi individui che vivono e prosperano parassitariamente sulle sofferenze umane è indefinibile, Mi chiedo, quando i veri cattolici, in particolare quelli che vivono in mezzo agli ultimi in Africa, in America latina, si ribelleranno contro questa odiosa casta?

Ci hanno detto che la vita è un dono

Ma cosa è avvenuto in questi giorni in Italia?

Se Eluana fosse ancora qui, cosa potrebbe dirci su questo conflitto che,

traendo origine dalla sua tragica storia, si è scatenato tra istituzione e

società?

Dove ti aspetti la voce di professionisti della sanità che prendano posizione

davanti espressioni di fuoco, francamente eccessive quali: assassinio,

abominio, boia... maledizioni e anatemi che hanno increspato amaramente

l'onda dell'emozione popolare, c'è invece un silenzio tombale.

Dove ti aspetti una voce che dica che sono troppo pochi i medici e gli

infermieri che ogni giorno accompagnano quei corpi straziati dalla lunga

confidenza con la malattia e che soltanto negli Hospice italiani e nelle

strutture di cure domiciliari si offre ascolto e affetto per la solitudine di chi

affronta l'ultima curva della vita, c'è invece la paura di dichiarare la propria

posizione.

La tonalità di questi giorni per quanto concerne le cure palliative italiane

appare sempre più nella sua forma e cioè molto sfumata. Dov'è finito il

coraggio della parola?

L'abitudine alla morte può sfociare nel cinismo professionale. Nei nostri

reparti di cure palliative no: l'abitudine l'abbiamo bandita continuando ogni

giorno a svolgere il nostro servizio. Il vero scandalo è altrove: nelle

rianimazioni ad esempio, dove ci sono tanti pazienti in stato vegetattivo,

perfino bambini, abbandonati da anni e tenuti in vita solo perchè nessuno ha

il coraggio di chiedersi "perchè?". Soli, senza amore, senza parenti. Corpi

che si disfanno in un letto a poco a poco. Di questi nessuno si occupa. Per

loro non c'è spazio per "decreti d'urgenza" o per trasmissioni televisive.

Tutti dicono la loro: politici, opinionisti, attori, cantanti, giornalisti.... ma chi

quotidianamente assiste questi malati, accarezza quei corpi, pulisce quelle

piaghe, legge negli occhi il dolore per la vita che si spegne, perchè non trova

ascolto?

Bisogna guardare in faccia la zona estrema della vita, per capire, per aiutare

gli altri a comprendere che cos'è, al netto dell'ideologia e delle prese di

posizione.

Ci hanno detto che la vita è un dono.

Non vi è capitato, quando ci viene regalata una torta, di gettare via dopo

giorni l'ultima fetta perchè inacidita? Forse perchè "dono" bisogna mangiarla

tutta, anche a costo di star male? O siamo obbligati a farlo perchè è un dono?

Se quest'ultima fetta di vita può trasformare il "dono" in "condanna", è lecitopoter dire: no grazie..?

Per non creare dubbi dico che sono fermamente contrario a ogni forma di eutanasia. Tuttavia ritengo che bisogna evitare generalizzazioni. Nessuno può arrogarsi il diritto all'intolleranza!

Ecco allora che questa linea di confine dovrebbe riconoscere anche e

soprattutto la voce di chi si prende cura della sofferenza dei morenti. Eluana si è trovata nel baratro dello stato vegetativo permanente e come lei altre 2000 persone sono oggi nella stessa condizione ed a causa di questo accanimento mediatico, tutto italiano, sarà suo malgrado responsabile di una legge urgente che imporrà anche alle strutture di cure palliative ed agli Hospice di non sospendere le terapie e l’idratazione fino all’ultimo istante di vita. Esattamente il contrario di ciò che quella splendida ragazza avrebbe desiderato e l’opposto di quello che per noi tutti è il significato di dignità alla fine della vita.

Ho sempre avuto la convinzione che tre sono le parole d’ordine alla fine della vita: preservare dall’abbandono, impedire ogni forma di mortificazione, riconoscere che chi muore è persona sino alla fine. Tutti concetti che vorrei trovassero posto all’interno della prima legge nazionale sui diritti di chi muore.

Una legge che invece parlerà di altro, dell’obbligo del curante a somministrare terapie ed alimentazione forzatamente fino all’ultimo istante, del divieto per i medici a sospendere le cure. Proprio per questo noi, operatori di cure palliative, sentiamo il dovere di mettere in luce che, se dovesse essere approvata una legge che esplicitamente ed indiscriminatamente impone l'idratazione e l’alimentazione per tutti i pazienti, ci troveremmo di fronte a tale obbligo anche per coloro che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità, per le quali non si tratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnarle a una fine dignitosa con tutte le conoscenze e gli strumenti che la medicina oggi ci offre.

Dovremmo mettere in atto un trattamento clinicamente inappropriato aumentando la probabilità di un peggioramento di quei sintomi, di quella sofferenza, che noi stessi siamo chiamati a curare? Questo disegno di legge, è evidente, ci imporrebbe, in ambito palliativo, di attuare delle pratiche contrarie al bene dei pazienti.

Nel condividere e rispettare l'appello al silenzio dopo la morte di Eluana, su cui ci pare che da più parti si stiano travalicando i limiti del buongusto, chiediamo alla politica di ripensare il suo ruolo e di fermarsi di fronte a una decisione che potrebbe avere delle ricadute concrete e dolorose sulla fine, naturale e faticosa, di tante persone come conseguenza di malattie per cui purtroppo non c'è guarigione, ma per cui rimane possibile un percorso di cura che sappia dare senso anche agli ultimi giorni.

Dr. Giorgio Trizzino Direttore Hospice A.R.N.A.S Ospedale Civico Palermo. Coordinatore Sanitario Samot Onlus Palermo

Palermo 10 febbraio 2009 da www.timeoutintensiva.it

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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