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Ad esempio: le fiction si producono in Argentina e Romania e Cinecittā č violentata da reality, ciao Darwin e Amici

Post n°3530 pubblicato il 28 Giugno 2010 da cile54

Se la cultura è un bene voluttuario...

L'attacco al mondo della produzione culturale parte ben prima della manovra finanziaria e della crisi generale, grazie ad un approccio del tutto ideologico di questo governo, basato sull'assioma "cultura uguale bene voluttuario". E' un'impostazione ideologica ben precisa, ed è anche la trama tracciata in questi anni dall'attuale esecutivo.

La crisi strutturale che ha colpito tutti i settori produttivi, nel settore culturale, infatti, ha dovuto subire anche i tagli ai finanziamenti pubblici di circa il 35% a livello nazionale, ai quali si sono aggiunti ulteriori tagli alle Regioni pari al 40%.

Quando si parla di occupazione nel settore cultura-spettacolo si intende una platea di circa 400mila addetti, di cui solo 30mila a tempo indeterminato, e include la prosa, la musica, la danza, il cinema, lo spettacolo viaggiante, i circhi e l'industria dell'intrattenimento. Questi lavoratori rappresentano un unicum di eccellenze sia artistiche sia artigianali non facilmente riproducibili. Per questo stupisce come il taglio delle risorse a questo settore venga vissuto come una riduzione degli sprechi.

Prendiamo il Fus: viene vissuto da questi nuovi barbari come un finanziamento a fondo perduto, utile al divertimento di qualche regista, magari di sinistra, che con i soldi pubblici dà sfogo alle sue represse ambizioni artistiche. Si dimentica che la legge 163, istitutrice del Fondo unico dello spettacolo, avrebbe dovuto essere accompagnata da riforme settoriali, mai avviate, e da finanziamenti decentrati (Regioni, Province, Comuni) e che il Fus, quindi, è compreso in quel ridicolo 0,16-0,20% del Pil con cui siamo ultimi in Europa in tema di finanziamenti alla produzione culturale.

Parlavamo di unicum riferendoci a questi lavoratori, purtroppo, questa particolarità e questa ricchezza non li fa accedere ad un trattamento privilegiato, tutt'altro. L'unico fattore della produzione colpito è anche qui il costo del lavoro.

Anche in questo settore assistiamo, infatti, al tentativo di scaricare sull'anello debole della catena produttiva il costo di politiche pubbliche e industriali sbagliate. Quindi si delocalizza il lavoro laddove la mano d'opera costa meno, con notevole danno in termini di occupazione e contribuzione. Se ci limitiamo al solo caso delle produzioni cinematografiche vediamo che nel 2009 sono state realizzate circa 100 settimane di lavorazioni estere con la presenza in media di solo 10 lavoratori italiani. Questo ha significato la perdita di 18/30mila giornate lavorative con il conseguente danno all'industria cineaudiovisiva italiana per il mancato utilizzo per 100 settimane di strutture, come i teatri di posa, nonché il sottoutilizzo di strumentazioni e mezzi tecnici con relativo grave danno a tutti i fornitori di materiale tecnico. Ad aprile 2010, le settimane lavorate all'estero erano già 159.

L'approccio alla crisi in questo settore è pari, quindi, a quello degli altri settori produttivi: si cerca di massimizzare il profitto, non investendo in qualità, ma agendo sui costi. Così andiamo a produrre fiction in Argentina e Romania e lasciamo gli studi di Cinecittà alle produzioni di reality e intrattenimento ( Ciao Darwin e Amici ).

Il dramma è che quando si abbassa la qualità del prodotto culturale a rimetterci non sono solo i lavoratori, ma anche il livello generale di una nazione.

Si parla da anni della nascita di una legge di sistema, mai avviata, di una rete legislativo-protettiva per le figure artistiche sul modello di quella francese, che consideri questi lavoratori, non come persone particolarmente dotate che si divertono, ma come professionisti con una vita lavorativa molto breve.

Paradossalmente ci accorgiamo della crisi del lavoro in questi settori solo quando tocchiamo la parte stabile e visibile di questo mondo: teatri e fondazioni, dimenticandoci che il grosso è fuori dalla stabilità e che semplicemente, in momenti di forte crisi come l'attuale, resta a casa aspettando che squilli il telefono.

Fabio Scurpa

Slc-Cgil

24/06/2010 d

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