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Fermiamo gli schiavisti in Italia. Numero Verde nazionale contro la Tratta 800 290 290
Post n°3555 pubblicato il 07 Luglio 2010 da cile54
Tratta, sfruttamento, tutela delle vittime: uno sguardo sul presente Con il termine tratta si definisce lo spostamento di persone dal luogo di appartenenza, in modo forzato, contro la loro volontà, o attraverso condizionamenti di vario tipo, quindi anche con l’inganno e le false promesse, allo scopo di farne commercio, trarne profitto, sfruttarne il corpo o il lavoro. La tratta è un fenomeno che nella storia dell’umanità esiste da sempre, e si è manifestato nelle varie epoche in forme diverse a seconda del periodo storico e delle civiltà coinvolte. In genere torna a far parlare di sé in coincidenza di grandi cambiamenti epocali. Uno dei riferimenti più antichi al commercio di persone, e in particolare di donne, lo troviamo, quasi inaspettatamente, nella Bibbia. Nel libro dell’Esodo, lo stesso dove Mosé introduce i Dieci Comandamenti, leggiamo: “Quando un uomo venderà la figlia come schiava (…) non può comunque venderla a gente straniera agendo con frode contro di lei” . Evidentemente si trattava di una pratica diffusa, che nel testo sacro si cerca di “regolamentare”. Un esempio più recente è costituito da quel fenomeno che si manifestò tra fine ‘800 e inizio ‘900, che è noto come tratta delle bianche, per il quale molte donne bianche appunto, cioè europee, venivano rapite, trasportate e vendute per lavorare nei bordelli dei paesi coloniali. È l’epoca della seconda rivoluzione industriale, che produsse enormi cambiamenti economici, sociali e culturali, per i quali centinaia di migliaia di uomini furono spinti ad emigrare verso le colonie. Negli ultimi vent’anni si è tornato a parlare di tratta come di un fatto attuale, il fenomeno ha di nuovo attirato l’attenzione della società civile, delle istituzioni, dei media, a partire da quando, negli anni novanta, abbiamo cominciato a vedere sulle nostre strade innumerevoli donne straniere, provenienti dall’Africa, dai paesi dell’ex blocco sovietico, che esercitavano la prostituzione. Ciò che risaltava ed era visibile a tutti sulle prime era questa nuova ondata di prostituzione, ma poi a ben guardare emergeva che dietro alla prostituzione c’era ben altro: forme di pesante sfruttamento e tratta ad opera di organizzazioni criminali efferate e transnazionali. In quegli anni lo sfruttamento si connotava attraverso forme di coercizione e violenza anche eclatanti, ed era esercitato soprattutto nei confronti delle donne, anche minori. Col passare degli anni le modalità di sfruttamento sessuale connesse alla tratta si sono diversificate e per così dire “raffinate”. Le reti criminali che gestiscono questi affari dimostrano di avere grandi capacità di adattamento, e di essere rapide nel modificare i propri assetti a seconda di come cambia il contesto. Per cui se inizialmente la strada era la “vetrina” per antonomasia, col passare degli anni la prostituzione ha trovato anche altri luoghi, più nascosti, meno accessibili a forze dell’ordine e operatori sociali, come appartamenti e locali. Anche un fenomeno così riconoscibile come la prostituzione ha iniziato ad assumere connotati di maggiore invisibilità. Oltre a ciò sono cambiate anche le forme di reclutamento con cui i trafficanti inducono le donne a lasciare il paese di appartenenza per migrare verso i nostri paesi ricchi. Se inizialmente era frequente che le donne arrivassero qui del tutto ignare di cosa le attendeva, ingannate da promesse di un lavoro regolare, talvolta ingannate dagli stessi fidanzati o genitori, e più raramente persino rapite, oggi per fortuna le informazioni circolano molto di più anche nei paesi di origine e sono sempre meno coloro che non hanno idea di cosa accade una volta in Europa. Sempre più spesso esiste una sorta di contrattazione, di patto iniziale, in cui si accettano alcune condizioni in cambio della logistica per emigrare e della promessa di un certo tipo di guadagno. Oggi la tratta può essere considerata quasi una patologia dei processi migratori, che tuttavia non va confusa con l’immigrazione clandestina, anche se è indubbio che sono fenomeni contigui e con molti punti di contatto. Le persone che entrano in questi circuiti sono soggetti di ogni età e di entrambi i sessi, e di fatto si trovano esposti a gravissime violazioni dei diritti umani, che vanno dallo sfruttamento sessuale (prostituzione, pornografia, matrimoni forzosi) a quello lavorativo (nell’agricoltura, nell’edilizia, nella manifattura tessile, nel badantato), all’accattonaggio coattooc e persino al commercio illegale di organi. Un’attenzione particolare, nel corso degli ultimi anni, ha meritato lo sfruttamento in ambito lavorativo, perché modificando e distorcendo il mercato del lavoro va ad incidere pesantemente sulle strutture economiche e sociali. Si può considerare il lavoro paraschiavistico come il segmento più estremo del lavoro nero, che comprende in sé situazioni più o meno “grigie”, che però si differenziano sostanzialmente dal mero lavoro nero perché l’assenza di libertà decisionale ne è caratteristica fondamentale, le persone coinvolte sono fortemente condizionabili, vulnerabili, le retribuzioni sono minime o inesistenti, i ritmi di lavoro serrati, spesso la libertà di movimento è fortemente limitata. Il lavoro paraschiavistico comprende dunque tutti quei rapporti di lavoro che coinvolgono persone immigrate che per sopravvivere sono costrette ad accettare modalità di lavoro senza possibilità di contrattazione e sono impiegate in quei settori dell’economia in cui esiste scarsa regolamentazione e una forte richiesta di manodopera non specializzata, in tutte quelle situazioni in cui è possibile coniugare lavoro intensivo irregolare e forme di isolamento sociale. Le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani in genere reclutano le persone facendo leva sulla necessità di sopravvivenza, proprie o della famiglia e su manipolazioni psicologiche di vario tipo. Apparentemente, dunque, alla base della decisione di migrare c’è sempre più spesso una sorta di contratto, e quindi l’accettazione di condizioni anche vessatorie, in cambio della prospettiva di un certo guadagno. In realtà però, una volta a destinazione le persone si trovano prive di documenti, e dunque senza diritti né identità; scoprono che la condizione lavorativa prospettata non corrisponde alla realtà; hanno spesso la pressione di un forte debito da restituire, contratto per finanziare il viaggio, o di famiglie che sulla loro partenza hanno investito tutto quello che avevano; non conoscono la lingua né i sistemi di riferimento. Ecco quindi che si determina una condizione di enorme vulnerabilità, che espone le persone immigrate ad essere facilmente ricattabili e controllabili. A livello internazionale sono stati redatti nel tempo documenti fondamentali che testimoniano la volontà comune degli stati nella lotta contro la tratta e lo sfruttamento: basti ricordare il Protocollo di Palermo del 2000 che norma la prevenzione, repressione e punizione della tratta di persone, in particolare di donne e bambini, fino ad arrivare alla recente Risoluzione del Parlamento europeo del 10 febbraio 2010 sulla prevenzione della tratta di esseri umani. A livello nazionale inoltre ci si è dotati di un articolo di legge – l’art.18 del Testo unico sull’immigrazione D.Lgs.286/98 – che può essere considerato ancora oggi uno tra le norme più avanzate in Europa sulla tutela delle vittime di sfruttamento. Con l’art. 18, infatti, il legislatore ha riconosciuto la necessità di tutelare le persone vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale o lavorativo, in primo luogo rilasciando un permesso di soggiorno che ne riconosce la piena soggettività giuridica, sottraendole ai condizionamenti della clandestinità. Più recente è invece la legge sulla tratta di persone, la n. 228/2003, che all’art.13 prevede l’istituzione di uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati legati appunto alla riduzione e mantenimento in stato di schiavitù e tratta, che garantisce, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria. La stessa prevede altresì che qualora la vittima del reato sia persona straniera, restino salve le disposizioni dell’articolo 18 del citato testo unico. Questi due strumenti legislativi legittimano e costituiscono presupposti fondamentali per gli interventi a tutela delle persone vittime di tratta e grave sfruttamento che si sono sviluppati nel corso degli anni su scala nazionale e regionale. In particolare la Regione Emilia – Romagna, con il progetto Oltre la Strada rappresenta un esempio unico sul territorio nazionale di sistema regionale, che si declina in 11 territori attivi e dinamici su questi temi. Il Numero Verde nazionale contro la Tratta si inserisce in questo sistema di azioni integrate, che vanno dalla presa in carico all’attuazione di percorsi di autonomia e regolarizzazione giuridica per le persone che vogliono sottrarsi a situazioni di grave sfruttamento; da strumenti per favorire l’emersione del fenomeno, al monitoraggio e alla ricerca su un tema che ha mille sfaccettature ed è in continua evoluzione. La sfida di chi oggi lavora per la tutela delle vittime di tratta e sfruttamento è sempre più legata alla riconoscibilità delle vittime, che non può essere disgiunta dalla consapevolezza della persona coinvolta. Spesso, infatti, le persone vittime arrivano a considerare “normale” la condizione servile in cui sono costrette a lavorare. Questa difficile riconoscibilità, del resto, è connaturata al nostro approccio culturale, che è piuttosto portato a guardare i lavoratori migranti irregolari attraverso una lente xenofoba e securitaria, e a percepirli quindi come massa minacciosa. Se si punta, quindi, a far crescere la consapevolezza, a evitare facili e inutili semplificazioni, se si vuole tentare di aggredire questo fenomeno con una certa efficacia, l’unica via praticabile è quella che esce da logiche settoriali, per mettere in atto azioni sempre più integrate e interistituzionali, che vedano coinvolti tutti gli attori sociali e le istituzioni che a vario titolo entrano in contatto con datori e lavoratori. A cura di Laura Benzoni e Simona Centonze Fonte: www.meltingpot.org |
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