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Grandi opportunisti, forti di una rozzezza e aggressività faziosa, aggrappati al regime, servili e impudichi

Post n°3728 pubblicato il 25 Agosto 2010 da cile54

LA FORZA DELL'INTELLETTUALE DI DESTRA

Se si discute seriamente degli intellettuali, la prima cosa che conviene osservare è che è il dibattito sugli intellettuali che si è logorato, non la loro funzione. Anzi. L'efficacia degli intellettuali di destra è evidente a tutti. Nessuno di loro è un genio, sono rozzi anche quando sono colti, spesso sono servili e impudichi. Ma ci sono. Contano. Possiamo disprezzarli, non possiamo sottovalutare l'efficacia della loro funzione. Servono, appunto. Hanno la grande opportunità di potersi appoggiare a un regime, al potere, a una realtà strutturale, insomma, e questo li rende forti. I nostri sarcasmi non li scalzano. Conviene, anzi, riflettere sulla loro funzione, prima di discutere della funzione degli intellettuali di sinistra.

Il potere e il denaro. Essere organici, più che a un partito, al potere conferisce una forza e un'efficacia molto rilevanti, essenziali. Perché il potere di cui parliamo non è un potere metafisico. È una struttura nel senso di Marx, è un potere strutturale, strutturato. È fatto di giganteschi conflitti di interessi, di continue violazioni delle leggi e delle regole, di corruzione, di impunità. È fatto di un'enorme, pervasiva, penetrante capacità mediatica. È fatto di istituzioni corrotte e corrompibili, di grandi industrie, di sindacati docili quando non servili. E di danaro, molto danaro. A questa struttura cosa può contrapporre la sinistra? O meglio, cosa possono contrapporre gli intellettuali di sinistra, ché di questo posso e voglio parlare.

La sovrastruttura. Incominciamo con l'osservare che gli intellettuali di sinistra sono sovrastrutturali, non solo nel senso che la loro opposizione investe o piuttosto può investire soltanto, come è ovvio, delle realtà sovrastrutturali, ma anche nel senso che essi possono essere organici soltanto a organizzazioni partitiche, per di più esigue, fragili e litigiose, a una cultura, a delle idee, o meglio, se non si ha paura della parola, a delle ideologie. Possono essere organici, insomma, a qualcosa di immateriale. Mentre, oggi, è la materialità che conta, anche per chi finge di nutrire soltanto ideali.

Il punto che mi preme sottolineare, e che, credo, dovrebbe essere al centro di un dibattito, è l'organicità e la disorganicità dell'intellettuale. La disorganicità, elogiata da Umberto Eco, è facile da assumere e da praticare, può essere preziosa sul piano culturale, ma sul piano politico, o meglio sul piano strutturale, ben difficilmente produce risultati apprezzabili. L'intellettuale disorganico possiede di solito un'intelligenza lucida e penetrante, una cultura raffinata, è brillante, versatile, ironico, a volte sarcastico, spesso scettico, non di rado sfiora il cinismo. È libero e soprattutto si sente libero e si compiace della propria libertà. Vanta la propria funzione sociale e culturale, non manca di esibire i propri meriti.

La funzione dell'apparire. Esiste anche una disorganicità di sinistra, e non è meno raffinata di quella di destra. Sono gli intellettuali disorganici di sinistra che sostengono che gli intellettuali non esistono più, o sono diventati inutili, non contano, così come non serve discutere, perché non se ne può più di proposte astratte, sganciate dalla realtà, in conflitto fra di loro, che lasciano il tempo che trovano. Ma intanto loro discutono, sono presenti, non rinunciano a prendere la parola e ad apparire. E mostrano di aver ragione. Perché intellettuali come loro sono davvero inutili. Ma ha più ragione Massimo Raffaeli che invita a tener conto dell'esempio di Brecht e propone la via dell'umiltà. Sono le domande semplici e apparentemente ingenue che possono imbarazzare e mettere con le spalle al muro una cultura aristocratica e cinica.

Fiducia e coraggio. L'ottimismo è degli imbecilli, la fiducia è di chi ha coraggio, non si arrende e soprattutto non tradisce. Perché chi si vergogna o esita a dirsi comunista o marxista o di sinistra, tradisce. È fatta anche di tradimenti, di molti tradimenti, l'agevole ascesa di Silvio Berlusconi.

Ma, prima di concludere, non possiamo trascurare l'intellettuale organico. L'intellettuale organico chi è, oggi? Prima di tutto: esiste ancora? Certo che esiste, o che può esistere. Non può più essere organico a un grande partito di sinistra, ma può essere organico a una determinata cultura, a una determinata ideologia.

Serietà e coerenza. Una cultura non solo non conformistica, ma radicalmente antagonistica. Un'ideologia ben strutturata, razionalmente contestativa. Può essere organico, in primo luogo, a una classe sociale, se non crede alla favola fatta circolare dagli intellettuali reazionari secondo la quale le classi non esistono più. Gli operai di Pomigliano, e non solo loro, stanno a dimostrare il contrario. Organicità implica serietà, implica coerenza, implica fedeltà. A volte implica anche rinunce e sacrifici.

Per quanto mi riguarda, non ho paura a dire, o, se si preferisce, a ripetere, che organicità chiede disciplina intellettuale e morale. E chiede impegno. Saranno i sarcasmi degli intellettuali disorganici a disarmarci e a metterci a disagio? Chi ha detto che una cultura organica è incapace di ironia? Noi, che abbiamo perduto tutto, o quasi, noi, pessimisti organici, abbiamo imparato da tempo che è attraverso l'ironia che va guardato il mondo alla rovescia in cui ci tocca vivere.

Fausto Curi

24/08/2010

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