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La migliore gioventù: ragazzi scesi a centinaia al sud da tutte le parti d'Italia per costruire diritti con i migranti

Post n°3738 pubblicato il 28 Agosto 2010 da cile54

Il piccolo passo di Nardò nel mondo grande e terribile

Riportiamo questo interessante articolo scritto da Stefano Galieni per Liberazione in cui viene riassunta l'esperienza del campo di accoglienza di Nardò dove operano le brigate della solidarietà attiva e l'associazione Finis Terrae. Ieri noi di controlacrisi.org abbiamo chiamato i ragazzi che sono partiti da Nardò per arrivare nella zona del foggiano e del potentino, nel confine tra la Puglia e la Basilicata per raccontarci la loro giornata. Ci hanno descritto una situazione molto differente da quella di Nardò riportata nell'articolo che troverete di segutio. In quei territori i lavoratori vivono senza acqua, senza nessun servizio, alla mercee dei caporali in un territorio spopolato e privo di interventi in cui le istituzioni locali non hanno saputo costruire niente di positivo. Il cammino intrapreso dall'esperienza di Finis Terrae e delle Brigate è importantissimo perchè rompe una retorica stantia degli interventi sul tema incapace di costruire risposte chiare ed efficaci. Questi ragazzi scesi a centinaia da tutte le parti d'Italia hanno dimostrato a tutti e tutte, che dopo Rosarno è possibile mettere in piedi esperienze positive tra accoglienza e diritti sociali. La costruzione di una rete di autorganizzazione che utilizzi il modello del campo di accoglienza di Nardò come pratica spendibile per intervenire nel fenomeno del lavoro bracciante segna senza dubbio un punto importante da cui partire nel sud del nostro paese. Buona lettura  www.controlacrisi.org

Nella masseria di Nardò dove si investe sull’accoglienza

La stagione delle raccolte a Nardò, nel Salento, sta per terminare. Già una parte dei lavoratori stagionali, migranti, rifugiati, titolari delle diverse forme di protezione umanitaria, si sono spostati verso altre zone per continuare il lavoro. Una umanità varia, c’è chi ha sempre lavorato in agricoltura e chi si è ritrovato senza lavoro perché la fabbrica in cui lavorava, al nord, ha chiuso i battenti e lo ha messo in mezzo ad una strada. Storie che si incrociano, tunisini che vanno e vengono ormai da oltre 10 anni, sudanesi e ghanesi con vicende diversissime, si incontra chi ha un accento lombardo o veneto e magari avrebbe maturato già il diritto per la cittadinanza ma invece deve lavorare per non essere espulso, e chi è giunto da poco, ha superato o sta ancora affrontando la trafila dolente per vedersi garantiti i diritti di protezione sussidiaria e cerca di arrangiarsi.

Capita da tanti anni, ma questa stagione potrebbe segnare l’inizio di una svolta positiva. Prima dell’inizio della raccolta infatti, su iniziativa del Comune, soprattutto del vice sindaco Carlo Falangone, dell’associazione Finis Terrae e delle Brigate della Solidarietà, si è ristrutturata una vecchia masseria abbandonata, un po’ fuori dal paese. Il Comune (di centro sinistra) ha speso circa 70 mila euro, la Provincia (centro destra) 25 mila euro in tende. Risultato: un campo di accoglienza per chi lavora come non si era mai visto. Tende certo, 28 da 8 posti ciascuno, ma con materassi sollevati da terra, e poi docce, servizi igienici, un presidio Asl, uno sportello di assistenza legale, mediatori culturali.

Un investimento nell’accoglienza, insomma, che ha prodotto risultati superiori alle aspettative. Racconta Gianluca Nigro, coordinatore del “Progetto Amici”: «Rispetto agli anni passati si è affrontata la battaglia contro il lavoro nero e si sono costruite alternative reali di accoglienza. 152 lavoratori sono stati assunti in regola (lo scorso anno furono meno di una ventina) sui circa 400 che sono transitati nel campo. La maglietta che abbiamo dato a chi lavora, con la scritta “Ingaggiami contro il lavoro nero” voleva trasmettere proprio la necessità ristabilire rapporti di lavoro dignitosi». Non è che non siano mancati i problemi, ma chi è arrivato a Nardò si è ritrovato in una condizione unica per il panorama meridionale. In due mesi ad esempio sono state eseguite oltre 870 visite mediche, sono proseguite le pratiche per i permessi di soggiorno e per le diverse forme di protezione umanitaria, insomma chi alla sera tornava stremato, dopo aver raccolto pesanti angurie, magari per 10 ore, non solo si ritrovava in tasca una paga corrispondente ai canoni sindacali, ma si vedeva trattato come persona, scopriva di avere diritti e di poter vivere in condizioni umane.

Mercoledì sera la portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, Laura Boldrini, si è recata nel campo per verificare direttamente quanto si diceva su questa esperienza. Si è ritrovata davanti uno spazio apparecchiato, al cadere del sole, seguendo i precetti del Ramadan, i lavoratori hanno mangiato e raccontato la loro esperienza. «Mi sono soffermata a parlare soprattutto con i sudanesi, in gran parte rifugiati, e i loro racconti mi confermavano quello che potevo vedere. Una esperienza unica, letti ordinati, lenzuola pulite, una atmosfera di serenità mai vista nei luoghi del lavoro agricolo. Un esperimento che ha funzionato perché ha coinvolto tutti, lavoratori, associazioni, istituzioni, Asl, forze dell’ordine». E su questo aspetto la rappresentante dell’Acnur è estremamente netta. «Buone pratiche come queste in cui cooperano istituzioni di diverso orientamento politico rendono nobile la politica. Quando le associazioni si impegnano per mantenere i legami ponendo al centro del proprio agire i diritti di chi lavora e impedendo che si creino condizioni di degrado e di tensione, quando le forze dell’ordine sanno comportarsi con discrezione per sostenere simili interventi, si investe nella convivenza e nell’inclusione. Di questo beneficiano tutti, lavoratori, imprenditori, cittadini. Credo che queste pratiche vadano sostenute e esportate. Quando si sconfigge il disagio si gettano le basi per prospettare un futuro. Tre concetti in fondo: senso di responsabilità, visione ed esempio di civiltà politica, una salutare boccata di ossigeno di cui c’era il bisogno».

E in effetti il tentativo di esportare tali pratiche è già in atto. Gianluca Nigro insieme ad alcuni ragazzi delle Brigate di Solidarietà era ieri a Palazzo S. Gervaso in Basilicata, dove da anni si cerca di percorrere la stessa strada. «Da Palazzo ci hanno chiamato per dirci che erano arrivati lavoratori con le nostre magliette indosso e ora siamo venuti qui per pianificare un intervento – racconta Nigro – Ci rendiamo conto che stiamo creando grosse aspettative ma sul lavoro agricolo nel meridione vogliamo costruire una vera e propria rete. Abbiamo bisogno di relazionarci con tutte le associazioni presenti nei diversi territori, ma vogliamo anche che siano coinvolte e responsabilizzate le istituzioni. L’intervento integrato è l’unico che può aprire sbocchi sapendo che la battaglia principale è la lotta al lavoro nero».

L’esperienza di Nardò è però servita anche a riflettere sull’intreccio fra questione richiedenti asilo, rifugiati ecc… e lavoro agricolo. Molti di coloro che hanno tale status trovano nelle raccolte l’unico sbocco lavorativo possibile e allora si tratta di rendere più efficaci i percorsi di accoglienza. «In questi giorni ci sono stati sbarchi, quasi tutti di potenziali richiedenti asilo dati i paesi di provenienza, Afganistan, Iraq, Iran, kurdi dei diversi paesi – ricorda Laura Boldrini – Non sono numeri da utilizzare per parlare di invasione. Piuttosto è possibile costruire per queste persone un percorso integrato, dall’intercettamento al soccorso in mare, alla prima accoglienza, alla identificazione, alla corretta informazione per accedere all’asilo». Dove si costruiscono forme di accoglienza, si pensi a Riace o a Caulonia in Calabria e di ingresso nel mondo del lavoro come a Nardò, forse si ricomincia a far vivere un po’ di civiltà.

Stefano Galieni

27/08/2010

 
 
 
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