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Due tragiche storie quotidiane che accomunano le donne perseguitate, violentate, massacrate, lapidate

Post n°3874 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da cile54
Foto di cile54

'Begm come Teresa, libertà e integrità sono inscindibili '

Begm come Teresa. La nazionalità dipende dal genere, non dal paese di nascita. E per Begm Shnez come per Teresa Buonocore è la stessa. Non è né italiana né pakistana. Come per le figlie. La figlia di Teresa, stuprata a 12 anni, e Nosheen, la figlia ventenne di Begm, ridotta con la testa rotta dal fratello. E Hina, la figlia sgozzata dal padre a Brescia. E ancora Evelina, sfuggita per miracolo a una morte sicura per mano del padre, per aver osato fidanzarsi con un albanese. Notizia di un anno fa, a Osimo. E tutte le donne che hanno avuto l’ardire di riprendersi la loro libertà. Che hanno detto no a un marito o a un fidanzato. Un’interminabile teoria di donne italiane, uccise dai loro mariti o fidanzati. La nazionalità dipende dal genere. Qui non si tratta di essere italiane o pakistane. La tragedia accomuna le donne perseguitate, violentate, massacrate, lapidate, alle donne che alzano la testa e dicono no, non ci sto. E che trovano solo altre donne a difenderle. Le loro madri,

oggi come ieri, e come sempre. Begm Shnez, 46 anni, pakistana, uccisa dal marito a Novi di Modena, perché difendeva la figlia nel suo rifiuto di un matrimonio imposto dal padre, come Teresa Buonocore, 51 anni di Portici vicino Napoli, uccisa dal fratello del violentatore della figlia, che lei ha avuto il coraggio di denunciare mandandolo a scontare quindici anni di galera.

Gli inutili dibattiti che si avvicendano in queste ore addebitano di volta in volta “queste tragedie” alla religione o al gap sociale vissuto dai ‘capifamiglia’ che si trasferiscono in Italia dal Pakistan o dal Marocco che sia, ma chi fra le tante ragazze oggi donne non ricorda le botte prese al ritorno da un concerto, da una festa in un orario non stabilito dal padre, o per aver ballato troppo strette al partner? Era appena ieri, ed era qui. Era Osimo, appunto. Se non è più l’imposizione del matrimonio combinato alla figlia, è la libertà ripresa dalla madre. E’, ancora, la definizione di una propria identità di persona intera, indipendente da lui. Indipendentemente da lui. E’ insopportabile, per lui. E’ un’onta che oscura la mente, che manda il cervello in tilt. Ma si chiama assassinio. E se è tragedia per chi rimane, niente può mitigare l’atto.

Perché è il gesto estremo a dirci quanto, ancora una volta, ancora oggi, la sopraffazione è la regola del vivere incivile del nostro tempo, su quel territorio ancora assediato nel tentativo di essere espugnato, per mettere a tacere le voci libere, quelle che gridano la loro voglia di libertà, quelle che dicono no, quelle che si ergono fiere mostrando il loro profilo di persone intere. Fra tutti gli esiliati, reclusi, abbandonati, umiliati e offesi. Ed è dagli ultimi, sempre, che si misura il livello di libertà o di imbarbarimento della civiltà. C’è anche Sakineh fra loro, chiusa in un carcere, per adulterio e in attesa di una morte che Hamadinejad, come Creonte, ha già dovuto convertire in una ‘morte più mite’, dalla lapidazione all’impiccagione, circondato dalle voci del coro che non spezzano i ruoli sociali, finendo così per partecipare alla farsa. Anche Sakineh probabilmente ha solo tentato di riprendersi la sua vita. Come Nosheen. Come Hina, che ormai non potrà più. Come

Begm e Teresa, che hanno difeso a spada tratta le loro figlie, e con loro, l’integrità, la dignità, la libertà di tutte le donne, e di tutti quelli che combattono per la loro libertà, oggi più di ieri, in un momento in cui sembra molto più difficile questa identificazione, e molto più facile qualificare il gesto semplicemente come quello di una madre, eroico, individuale.

Anna Maria Bruni

04/10/2010

 
 
 
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