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Invitiamo tutti gli Amministratori delle ASL e i responsabili dei Consultori a non fare alcuna convenzione

Post n°4047 pubblicato il 22 Novembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Piemonte, Cota all’attacco della legge 194

 

E’ difficile la libertà: ogni giorno bisogna confrontarsi con lei, desiderarla, difenderla, nell’interesse di tutti. La legge 194 rappresenta la libertà dal rischio di morire per setticemia, di finire nei canali dello sfruttamento economico, la libertà di godere del diritto alla salute, quando ci si trova di fronte ad una decisione che può essere solo della donna riconosciuta come persona, dotata di intelligenza e libero arbitrio, cittadina dello Stato, dal quale deve essere rispettata e difesa nei suoi diritti, che non possono essere svenduti agli integralismi di qualsiasi fede.

 

La lotta per la 194 è stata fondamentale nella storia delle donne e fu difesa anche con un Referendum popolare. Ricordo nei tempi precedenti la legge, i Consultori CISA (Consultori Italiani Sterilizzazione Aborto) che con Adelaide Aglietta, Emma Bonino e tante altre donne consapevoli della gravità della piaga dell’aborto clandestino svolgevamo a Torino, presso il Partito radicale. Ricordo i comizi fatti in difesa della legge in centinaia di paesini, dove le donne ci ascoltavano, sovente nascoste in casa, ma ben presenti poi al momento del voto referendario. Così come ricordo donne e ragazzine che, prima di essere tutelate, giungevano in Ospedale, dopo trattamenti disastrosi e crudeli, fatti da persone che le legavano in modo omertoso al silenzio e procuravano loro la morte o danni permanenti, estorcendo loro denaro od abusandole.

 

Tutto ciò, purtroppo, non appartiene definitivamente al passato: ancora oggi, per le straniere soprattutto, c’è un mercato che viola la 194. Occorre perciò facilitare l’accesso al Consultorio, offrire maggiori informazioni e tutele, specie alle giovani donne e a chi presenta condizioni di maggiore fragilità sociale.

E invece la Giunta della Regione Piemonte, in data 15 Ottobre 2010 con delibera n. 21-807, ha approvato un “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza”, rendendo molto più arduo ricorrere alla tutela della legge.

 

Infatti, mentre la 194 si pone a salvaguardia della dignità della donna, per garantirne le condizioni di rispetto della scelta, che è riconosciuta in capo solo a lei ed eventualmente, se lei lo decide, al partner, ponendola in rapporto solo col medico, sia di fiducia, sia del Consultorio, sia della struttura sanitaria pubblica, il “Protocollo” viola la privacy della donna, tende ad esautorarla dalla scelta, trattandola come “minus habens”, portandola addirittura davanti ad una specie di commissione, cui partecipano “il mediatore culturale e/o l’operatore del volontariato e del privato sociale, coinvolti nel percorso” dove deve essere interrogata (o inquisita?) rispetto ad alcuni punti precisi:

 

“a. circostanze che inducono alla richiesta di IVG

b. quadro attuale della situazione individuale, familiare e sociale della richiedente

c. consapevolezza della donna relativamente all’intervento abortivo

d. motivazioni indicate dalla legge per la richiesta di IVG: serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, o in relazione alle sue condizioni economiche, o sociali, o familiari , o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsione di anomalie o a malformazioni del concepito

e. comportamento contraccettivo e precedenti interventi di IVG

f. analisi e ricerca delle soluzioni alternative all’IVG nella valorizzazione delle risorse della donna

g. intervento di counselling di sostegno alla maternità a cura degli operatori del Consultorio e/o del volontariato e del privato sociale convenzionati e coinvolti nel percorso”

 

E’ evidente la violazione della 194 nello spirito e nella sostanza.

Infatti scompare il ruolo del medico come interlocutore principale della donna, sostituito nel primo approccio, nonché eventualmente anche successivamente, da figure che non hanno alcuna competenza istituzionale né professionale per entrare in contatto con la persona che richiede ai sensi di legge una prestazione sanitaria. Riteniamo che la procedura indicata dal Protocollo in oggetto configuri una violazione della 194 ed una violenza psicologica sulla donna, tanto più se fragile per età, per cultura, per l’essere straniera.

 

Con l’introduzione delle figure di volontariato (ed è prevedibile quale orientamento avranno) all’interno del Consultorio, lo stesso viene ad essere snaturato nella sua funzione sanitaria, rivolta a tutte le persone, con compiti di informazione complementari a quelli che la 194 all’art.14 pone in carico al medico che ha effettuato l’IVG, il quale “è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna”.

 

Il Consultorio deve disporre di Kit per l’accertamento gratuito dello stato di gravidanza e deve esser in grado di espletare direttamente le pratiche burocratiche necessarie per la realizzazione degli interventi previsti dalla 194. (non “dovrebbe” come indica il “Protocollo”)

 

Si sottolinea poi che la stessa legge all’art.21 richiama autorevolmente all’obbligo del rispetto del segreto professionale, la cui violazione è punita a norma dell’art.622 del Codice Penale. Come si può pensare di introdurre convenzioni con chi, non avendo professionalità specifiche, non è tenuto al segreto? Dove sta il rispetto della privacy e della dignità della donna? Si deduce, dall’insieme delle procedure indicate, che il percorso, per la donna che ha deciso per l’IVG, viene reso più arduo e meno protetto, mettendo a rischio le finalità positive della legge 194.

 

Ed occorre aggiungere che ci si sarebbe atteso di meglio da un Governatore esperto di diritto: almeno un approccio alla situazione che - tenendo conto delle indicazioni stesse della legge 194, in particolare del contenuto dell’art. 8, comma 3, che prevede che l’intervento possa anche essere effettuato “presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla Regione” e dell’art. 15: “Le Regioni (...) promuovono l’aggiornamento del personale (...) sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza” - orientasse all’uso , finalmente!, della RU 486, da oltre venti anni utilizzata in tutta Europa. Tale scelta sarebbe risultata utile per un risparmio economico, vista la situazione in cui versa la Sanità pubblica, ma soprattutto avrebbe soddisfatto le indicazioni della 194, nella tutela della salute delle donne, limitando al massimo il ricorso ad interventi clandestini e rischiosi. Non possiamo ritenere di scarso peso l’omissione della Regione Piemonte in ordine a questo suo obbligo di legge, né passare sotto silenzio il tentativo di coercire ancora una volta le donne a passare sotto le forche caudine del volontariato clericale.

 

Invitiamo pertanto ad una attenta riflessione il Governatore e tutti gli Amministratori delle ASL e i responsabili dei Consultori e chiediamo loro di non fare alcuna convenzione, ritenendo improponibile in una società civile il “percorso assistenziale per la donna che richiede l’IVG” previsto dal “Protocollo” deliberato dalla Giunta Regionale Piemontese.

Difendiamo la 194 e la salute delle donne e la loro libertà consapevole.

Gemma Macagno

laboratorio politico "Donne per la Città - Città per le donne"

(11 novembre 2010)

 
 
 
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