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« SOMMARIO SETTIMANALE 18/...La storia di un giovane ... »

Marco Paolini attore e autore teatrale, regista e drammaturgo, in TV su LA7 il 26 gennaio

Post n°4276 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da cile54

Quella "brava gente" che accettò belando la soppressione dei deboli»

 

"Ausmerzen, Vite indegne di essere vissute". Attorno a questo concetto ruotano ricerche ed esperimenti di eugenetica che portarono nella Germania nazista ad applicare prima la sterilizzazione forzata poi verso la "soluzione finale" contro popoli interi e persone. Una pagina orrenda della storia tedesca che Marco Paolini, uno dei migliori autori e interpreti del teatro di impegno civile italiano, porta il 26 gennaio, sulla Sette, in Tv e in prima serata, peraltro senza interruzioni pubblicitarie.

 

Cosa si prova di fronte a tutto il materiale con cui si tentava di giustificare scientificamente sterilizzazione e eliminazione di massa?

Confesso che lo sgomento più grande non è nato in me quando abbiamo iniziato a studiare molti materiali più o meno scientifici, più o meno propagandistici, che sostenevano le tesi dell'eugenetica. Sono teorie che oggi una larga maggioranza di noi trova allucinanti e che non risultano condivisibili in nessun contesto democratico contemporaneo, ma che pure hanno qualche utile idiota che le caldeggia e che ci serve da promemoria per non dimenticare quelle aberrazioni. Mi ha colpito però profondamente la penetrazione, tutt'altro che coercitiva in senso stretto, che quelle idee hanno avuto nella "brava gente" che le ha fatte proprie. La temperie culturale ha reso normale ogni teoria eugenetica, ha reso accettabile ogni azione destinata ad un fine condiviso. Ecco perché Ausmerzen, perché tanta "brava gente" ha accettato belando che i deboli, i difettati, i diversi fossero accompagnati all'eutanasia perché le loro vite erano "indegne di essere vissute"».

 

La scelta di avvicinarsi alla Giornata della Memoria con un tema difficile appare molto coinvolgente dal punto di vista emotivo. Che lavoro di ricerca c'è stato in questi due anni?

Il lavoro è iniziato su sollecitazione di mio fratello Mario, che da anni lavora come educatore con i portatori di handicap. Lui e lo storico Giovanni De Martis (presidente dell'Associazione Olokaustos di Venezia) hanno raccolto i primi materiali, hanno incontrato psichiatri e testimoni dell'Aktion T4. Poi abbiamo proseguito insieme, costruendo un percorso. L'idea iniziale era di farne un documentario, che non si è mai compiuto. Invece è nato questo racconto, che mette insieme le testimonianze, gli studi, l'approfondimento sul contesto storico. Quello che abbiamo cercato di capire, in fondo, è come sia stato possibile arrivare ad un'operazione così efficace e capillare.

 

La cronaca, la necessità di narrare i temi che ti colpiscono  possono avere una funzione taumaturgica o quanto meno costringere a riflettere?

Non mi passa per la mente l'idea di essere un taumaturgo, sarebbe assurdo quanto e più di ogni visione taumaturgica della scienza, della politica, dell'economia che troppo spesso ci viene somministrata dagli imbonitori di settore. Senza dubbio l'intento è invece quello di riflettere.

 

Ci sono analogie tra quella fase storica e il periodo che stiamo vivendo adesso?

Io non voglio fare il determinista, ma rilevo che oggi come allora ci troviamo nel mezzo di una crisi che ha impoverito quasi tutti e che costringe a fare delle scelte spesso dolorose. Se non ci sono soldi, si può scegliere di diminuire il numero degli insegnanti di sostegno, si può scegliere di investire meno sull'inclusione dei "diversi" e delle fasce deboli. Più ancora della morte, delle camere a gas, credo che questa storia ci debba toccare perché obbliga a guardare negli occhi le scelte che una società compie o non compie.

 

Spesso nei tagli al welfare si parla tranquillamente dell'idea che ad alcune categorie di persone vada riservata al massimo la carità: portatori di handicap, anziani non autosufficienti, rom, senza fissa dimora, immigrati ecc.. Pur nella diversità queste cose hanno a che fare con i temi trattati in "Ausmerzen"?

Certo, ma non ne parlo in questo racconto. Tutti ascoltando questa storia di 70 anni fa sono portati a interrogarsi su chi sono le vittime di altre discriminazioni, senza dimenticare le pulizie etniche ispirate da idee eugenetiche che hanno colpito i Balcani in tempi molto più vicini a noi. Gli esempi sono tanti ma per raccontare una storia non si deve fare un fascio di storie.

 

La parola "eguaglianza" può ancora suggerire un'idea diversa di società, come antidoto a quanto enunciato in precedenza?

Si. L'eguaglianza può e dovrebbe accompagnare la Libertà. Le società egualitarie senza libertà sono un parto mostruoso della storia passata, le democrazie piene di libertà ma senza uguaglianza son un problema drammatico del nostro presente.

 

Anche la scelta di rappresentare "Ausmerzen" in un ex ospedale psichiatrico vuole richiamare ad un discorso eterno sulle "differenze inaccettabili"?

Non c'è niente di eterno. I manicomi hanno poco più di un secolo di vita e l'Italia è l'unico Paese che si sia dotato di una riforma coraggiosa per chiuderli e inserire nella società che vi era ricoverato. Il Paolo Pini di Milano è quindi un ex manicomio ed è oggi un luogo aperto, dove vivono ancora alcuni vecchi ospiti del manicomio, ma con i cancelli aperti. Quel luogo ci piaceva, lo conosciamo bene e offrirà un contesto giusto per aiutare chi guarda da casa a inquadrare l'argomento.

 

Per chi ha questi strumenti di rielaborazione, che valore ha la parola memoria?

Ha valore in quanto memoria viva e attiva, in quanto confronto non iconografico con il passato. Ricordare significa in qualche modo allontanare. Per questo non sopporto le ricorrenze e il Giorno della memoria mi ha sempre fatto l'effetto di un santo laico sul calendario. Mi sembra che ogni ricorrenza sia l'excusatio non petita per un momento storico o per un problema che si ha paura di dimenticare. E' questo che non mi piace, l'ammissione di una rimozione possibile. E il bisogno di attaccarsi a delle occasioni per usare il pensiero. Nel racconto di Ausmerzen ci sono troppe cose che suonano come umane, come possibili nel presente. Il rischio era di pensare: «erano nazisti, hanno fatto cose terribili». Invece i protagonisti principali del racconto sono le "brave persone" che nelle loro case facevano vite normali, sono i medici di famiglia che hanno aiutato il pensiero dominante a trasformarsi in azione di sterminio. Questo non ha niente a che fare con una memoria chiusa nei libri, ma convoca l'umanità che è in noi a confrontarsi con la possibilità che nella società le "brave persone" normali possano fare cose terribili».

 

In Germania, i tentativi di fare i conti col passato ci sono stati. Da noi molto meno, dal colonialismo alle leggi razziali. Quanto pesa questo sulla percezione di "sé" che si ha in Italia, sul mito insomma degli "italiani brava gente"?

In Germania il "progetto eugenetico" è iniziato molto prima dell'Olocausto e della "soluzione finale", è iniziato prima della guerra ed è finito dopo che la guerra era finita. E dopo il processo (un filone "minore" del processo di Norimberga) una delle protagoniste, soprannominata "l'angelo della morte", ha fatto la pediatra per tutta la vita. E le condanne al processo sono state lievi, a conferma del fatto che la dimensione della responsabilità personale era stata in parte scavalcata da una responsabilità collettiva e storica.

In realtà i conti con il passato li ha fatti la generazione dopo. Hanno fatto i conti e hanno tirato fuori tutto, senza nascondersi dietro agli alibi. E' stata una presa di coscienza durissima. Questo in Italia mi sembra non sia avvenuto, o almeno non sia avvenuto compiutamente. A me sembra che la mia generazione si sia divisa tra nostagici di qualcosa che non avevano vissuto e partigiani di una lotta che non avevano fatto. Per un periodo si è anche discusso molto, poi basta, come se quel che è successo dopo ci avesse reso più tranquilli, più appagati del presente e meno curiosi anche degli errori del passato.

 

Un tema che nel nostro dibattito ricorre in continuazione è nel nesso fra rimozione della memoria e diminuzione degli spazi democratici. L'autoassoluzione che ci siamo dati corrisponde anche a queste coordinate?

Probabilmente è così, ma credo che la domanda vada posta a uno studioso di sociologia o di filosofia politica. Solo un'osservazione: se la diminuzione degli spazi democratici è una scelta e non un'imposizione, forse c'è un problema più profondo. E forse è vero, può stare nella perdita di memoria e di prospettiva nella valutazione dei rischi.

 

Il nostro giornale parte da una condizione di particolare emergenzialità, rischiamo di essere cancellati dalle logiche di mercato che non accettano voci critiche incompatibili. E' un azzardo affermare che oggi esiste una eugenetica economica per eliminare pluralità, conflitti, dissonanze e produrre un fenotipo umano produttore e consumatore, che richiama per metafora ma non troppo al mito dell'"ariano perfetto"?

Fatico a rispondere perché da un lato mi sembra un azzardo, dall'altro ritengo che l'eugenetica economica esista ma non sia frutto di un progetto premeditato. Non mi piace immaginare una strategia, un regista,…insomma non mi piace la dietrologia, penso invece che sia una specie di danno collaterale: in guerra si fanno delle vittime, e così anche nel mercato.

 

Stefano Galieni

23/01/2011

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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