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« La lotta di liberazione ...I lavori per la costruzi... »

Similitudini tra i regimi del medioriente e il regime mediovale-affaristico del trio Berlusconi-Bossi-Marchionne

Post n°4315 pubblicato il 05 Febbraio 2011 da cile54

Se «il vecchio muore e il nuovo non può nascere»

"La coda dello scorpione", era il bel titolo di Liberazione di ieri. Si riferiva a Mubarak, che ha scatenato le sue squadracce contro le masse rivoluzionarie egiziane, epicentro di grandi mutamenti in tutto il Medioriente, mutamento che richiede a noi, per inciso, la radicalità di una iniziativa politica euromediterranea contro l'attuale Unione europea. Ma il titolo si può benissimo riferire anche a Berlusconi, non a caso alleato di Mubarak, come lo è stato fino all'ultimo istante del dittatore tunisino.

L'esito del voto nella bicamerale sul federalismo fiscale, molto negativo per il governo Berlusconi-Bossi in quanto ne indebolisce anche l'unità, è il segnale del passaggio dalla fase del declino di Berlusconi a quello della crisi organica. Va cacciato subito; si vada a votare senza bizantinismi, governi più o meno responsabili o irresponsabili, che farebbero sopravvivere l'opacità del dispotismo e la repressione dei conflitti e dei processi di liberazione, che si sono già espressi nelle lotte operaie, dei precari, degli studenti, nelle lotte territoriali, nei comitati per l'acqua bene comune. Il federalismo fiscale, parte decisiva del federalismo liberista e secessionista della Lega, va sconfitto per sempre perché incide molto negativamente contro lo stato sociale e contro l'equità fiscale. Nell'immediato esso riduce i servizi sociali e dilata la tassazione comunale, soprattutto per le famiglie più povere, l'artigianato, il commercio.

Il governo tenta, dopo la batosta di ieri, una manovra regolamentare, proponendosi di ritornare fra un mese alla Camera per avere il voto positivo della maggioranza raccogliticcia che ha lì raccattato. Ma un decreto delegato modificato dal governo in assenza di un parere parlamentare è illegittimo e incostituzionale. Non si dia tregua al governo anche in parlamento; comprendo le difficoltà di Chiamparino, Bersani, Veltroni, Di Pietro, che hanno commesso, fra i tanti errori perpetrati contro l'assetto costituzionale, anche quello di avere sostanzialmente dato via libera ad un federalismo quale quello leghista, che è l'esatto contrario del federalismo democratico storico che è parte del dibattito del movimento operaio. Hanno scambiato Bossi e Calderoli per Mazzini, Cattaneo o, meglio, Carlo Pisacane. Alla bocciatura del federalismo fiscale si aggiunge lo squallore dello scenario giurisdizionale nei confronti del presidenzialismo libertino.

Martedì prossimo la procura di Milano chiederà, per Berlusconi, l'immediato processo per i gravi reati di concussione (che è arroganza del potere, sovversivismo del despota) e sfruttamento del corpo delle donne, organizzazione della prostituzione minorile.

La crisi organica è anche crisi di una politica patriarcale che mercifica l'intero vivente, a partire dal corpo delle donne. La mobilitazione civile e il conflitto sociale uniti possono dimostrare di non essere soffocati da un paese che è, in parte, malato, immerso in una "rivoluzione passiva" indotta dalla subcultura berlusconiana. Si può tentare di rifondare una egemonia democratica a partire dalla civica responsabilità di riappropriarsi della Costituzione come cemento fondamentale del contratto sociale. Non a caso Berlusconi, temendo il voto, già prepara una campagna elettorale quarantottesca, forsennata, contro i comunisti e contro la Costituzione "bolscevica". Non sottovalutiamo il velenoso colpa di coda dello scorpione. Dopo l'attacco alla contrattazione nazionale e allo statuto dei diritti dei lavoratori, dopo l'appoggio alla strategia del ricatto di Marchionne, il governo attacca direttamente, con la proposta di cambiare l'articolo 41 della Costituzione, il sistema sociale disegnato nella Costituzione repubblicana. Attacca, cioè, lo stesso articolo 1 che fonda sul lavoro la nostra statualità collettiva.

La nostra splendida Costituzione non è "cattocomunista"; nasce da un equilibrio storico straordinariamente importante, teso ad evitare derive mercatiste e liberiste. L'attacco all'articolo 41 della Costituzione è, quindi, un atto di populismo simbolico, ideologistico, che forza il compromesso costituzionale verso un neoliberismo totale e totalizzante, che non ammette più contrattazione nazionale sul piano sindacale e autonomia delle strutture intermedie democratiche. La stessa formazione sociale viene atomizzata. La libertà degli imprenditori pretende, oggi, che la contrattazione diventi un drammatico corpo a corpo tra la potenza del padrone e la lavoratrice e il lavoratore che si difendono soli, disperati e a mani nude. Abbattere l'articolo 41 significa urlare in campagna elettorale, che la libertà di impresa non sopporta i fini dell'utilità sociale e della dignità umana imposti dalla Costituzione. E significa una forsennata campagna contro l'intervento pubblico nell'economia nel momento in cui è più che mai necessario, invece, ricominciare ad indicare le priorità di piani per il lavoro, programmazione, socializzazione, beni comuni.

Sono preoccupato che ad una campagna elettorale impiantata da Berlusconi contro l'economia "bolscevica" le forze di sinistra reagiscano con impaccio, spiazzate dalla ideologia liberista egemone anche al loro interno. La vicenda, in queste ore, della tassa patrimoniale, che il partito democratico ritiene una provocazione dell'avversario, è emblematica (e anche un po' grottesca). Così come quella, sempre in queste ore, della tav in Piemonte. Ma questo è il vero nodo che anche noi che ci diciamo anticapitalisti abbiamo davanti: quale programma alternativo? Che cosa, come, per chi produrre? Gramsci, parlando di crisi organica, nei Quaderni scrive: «Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più dirigente, ma unicamente dominante, detentrice della pura forza coercitiva, significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali... La crisi consiste, appunto, nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere». Qui siamo.

 

Giovanni Russo Spena

04/02/2011

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