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Gli agricoltori della tenuta di Acquafredda (Roma) e gli appetiti del mattone

Post n°4317 pubblicato il 06 Febbraio 2011 da cile54

Benedetto XVI, perché sfratti i contadini?

 

«Sua Santità, i contadini della tenuta di Acquafredda, in Roma, Le chiedono di intercedere presso il Capitolo di San Pietro, proprietario della tenuta, affinché non si abbia a perpetrare quella che secondo noi è una grande ingiustizia sia sotto il profilo umano che morale». Inizia così la lettera aperta che i contadini di via dell'Acquafredda, periferia nord della capitale, hanno scritto al Papa per denunciare una storia che ha dell'incredibile.

«Benedetto XVI perché ci sfratti»? Chi passa per via dell'Acquafredda non può non notare questo striscione, scritta nera su lenzuolo bianco. All'ingresso della tenuta, la bandiera dell'Unione Inquilini «a dimostrazione che la nostra lotta non è solo per difendere ciò di cui viviamo, la "nostra" terra - ci spiega Franco Ruggeri, uno dei dieci contadini sotto sfratto dal Vaticano - ma anche la nostra casa». Il prossimo 15 febbraio, infatti, il rischio che dieci famiglie si vedano buttate in mezzo a una strada è forte. Per quella data le forze politiche e sociali di Roma nord, dai comitati territoriali ai partiti della sinistra, Rifondazione Comunista e Verdi in prima fila, hanno organizzato un picchetto antisfratto dalle prime ore del mattino. «E siccome siamo ottimisti, e non possiamo che esserlo visto che qui è in gioco il nostro futuro - scherza Franco mentre ci porge un bicchiere di rosso fatto in casa - offriremo a tutti anche una bella colazione a base di bruschetta e vino».

Ma quando ci racconta la storia della sua famiglia, che da quattro generazione vive e lavora nella tenuta di Acquafredda, oggi peraltro Riserva Naturale Regionale a destinazione agricola, il volto di Franco si fa serio. «Queste terre sono di proprietà, da sempre per quanto mi riguarda, del Capitolo di San Pietro. Io le ho ereditate da mio padre, Bernardino, che a sua le ha ricevute da suo padre, mio nonno. Noi Ruggeri viviamo e lavoriamo qui dal 1932, mentre altre famiglie anche da oltre cento anni. Oggi, dopo la diaspora dovuta alla determinazione con cui, dai primi anni novanta, il Capitolo di San Pietro ha iniziato a vedere in queste terre un elemento di guadagno, siamo rimasti in dieci nuclei a difendere l'Acquafredda dalla speculazione».

Nessuno lo dice, ma guardando i nuovi palazzoni che si intravedono volgendo lo sguardo a Roma, è forte il timore che qualcuno abbia interesse a trasformare questi oltre cento ettari di campi in nuovi quartieri residenziali. «Oggi siamo a tutti gli effetti occupanti, paghiamo un'indennità di quattrocento euro al mese visto che il contratto non ci è stato rinnovato. E' da molti anni, a memoria dal 1996, che stiamo chiedendo al Capitolo di San Pietro un incontro per capire cosa ne sarà della nostra vita ma non abbiamo mai ricevuto risposta». Mentre ci racconta anni di speculazioni, riuscite o tentate, su queste terre, Franco ci accompagna a vedere di cosa vive: tra una piantagione di finocchi ghiacciati, quello che definisce «un tentativo di radicchio» e ciò che resta dell'insalata riccia, fino ad arrivare a quaranta querce da sughero «cresciute spontaneamente», ci racconta che tutte le mattine, e con lui le altre nove famiglie di contadini, va a vendere i suoi prodotti al mercato Trionfale di via Andrea Doria. Non solo. «Abbiamo aderito al progetto Mercato Interattivo (il primo mercato d'Europa: www.almercato.net) con vendita online e recapito gratuito per anziani over 70 e disabili. In più - a dimostrazione del valore sociale di queste terre e del suo lavoro - siamo noi contadini che curiamo i sentieri del percorso Roma Natura, che accompagniamo le scolaresche in gita a scoprire cosa cresce dalla terra a pochi passi dai loro quartieri, a far si che a Roma nord non si perda la tradizione agricola». Certo, vivere "della terra" a pochi passi dal centro di Roma non è facile, «vuoi per i cambiamenti climatici che ogni anno ci costringono a reinventarci, vuoi per la "moda" che ormai ha conquistato anche la nostra alimentazione». Perché oggi, per un contadino, è più importante essere «fortunato che bravo: devi azzeccare la coltura giusta prevedendo non solo il tempo che farà in quella stagione, ma anche quali ricette andranno per la maggiore nei programmi televisivi». Restiamo lì, cercando di capire se sta scherzando o parla seriamente. «Effetti della Clerici…». Giù risate.

Ma quando ci invita, a pochi passi da una sorgente d'acqua in cui i bambini in visita guidata hanno buttato dei pesci rossi diventati grandi come trote, a guardare in alto, ci rendiamo conto di come potrebbe diventare questo terreno e del perché qualcuno, "in alto", vuole rientrarne in possesso liberandosi di questi contadini. Da una parte, nuove case. Dall'altra, un Holiday Inn e l'Aurelia Hospital. Il centro commerciale Panorama a poche centinaia di metri. Il Grande raccordo anulare a due minuti di automobile. Il che, in una città tutta rendita del mattone come Roma, significa gran valore per queste aree «che eppure» sottolinea Claudio Ortale, consigliere municipale Prc-Fds in XIX, «sono ancora a destinazione agricola secondo il nuovo piano regolatore di Roma. Ma c'è un precedente storico a farci pensar male».

Il riferimento è al 1993. Mentre Claudio parla, Franco ci mostra una fotocopia di un articolo uscito su L'Espresso del 5 settembre 1993 dal titolo «No, Eminenza: c'è Mani pulite». Nel sommario si legge: «Bonifaci (costruttore, proprietario de Il Tempo, ndr) offre 120 miliardi per un terreno che ne vale la metà. Perché? Poi ci ripensa. Perché? Storia di un affare sfumato. E di dieci miliardi che non tornano al mittente». In poche parole, come ricostruito dai Verdi in un dossier, per queste terre alla fine del 1992 Domenico Bonifaci ha staccato al Cardinale Castillo Lara, presidente dell'Aspa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) un assegno da 10 miliardi di lire a titolo di anticipo per l'acquisto di tutta la tenuta promettendo al cardinale anche 32 appartamenti in costruzione nella vicina zona di Val Cannuta. Grazie a Mani pulite l'affare saltò e i dieci contadini sono ancora qui a coltivare le terre dell'Acquafredda. Il prossimo 15 febbraio, però, la forza pubblica potrebbe toglier loro terra e casa.

«Per questo - è l'appello lanciato da Claudio Ortale e da tutto il Prc - chiediamo la mobilitazione di tutta la cittadinanza che ritiene ancora valido il vecchio motto "La terra a chi la lavora"». Obiettivo: rimettersi in fila, nel prossimo maggio, sul ciglio di questa strada che unisce l'Aurelia con la Boccea per continuare ad acquistare le famose fave di Acquafredda.

 

Daniele Nalbone

05/02/2011

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