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E in Italia? Non dobbiamo quindi aspettare che Berlusconi venga cacciato dai giudici o dalle congiure di palazzo

Post n°4393 pubblicato il 24 Febbraio 2011 da cile54

LA RIVOLUZIONE ALLE PORTE

  

La rivoluzione è alle porte d'Europa. O meglio è già dentro l'Europa ma non ce ne eravamo accorti. In molti diranno che gli accadimenti della sponda sud del mediterraneo sono temporanei, altri pensano che le trame e le regie dei poteri economici dell'occidente sono così forti, ben strutturate, che ben presto riordineranno il tavolo da gioco che le giovani generazioni del Maghreb hanno ribaltato. Quello che è però evidente a tutti è che qui ed ora si è aperto un processo rivoluzionario che investe direttamente la dimensione della rappresentanza traendo linfa dalle contraddizioni del governo della crisi economica, sia nella sua dimensione sociale, che in quella economica che istituzionale. Mi pare che ci troviamo di fronte ad un processo rivoluzionario aperto e duraturo, eccedente ai singoli stati e continenti, ma al tempo stesso con una valenza rivendicativa prettamente nazionale. Un processo ancora non politicizzato in senso programmatico, incomprensibile a tratti, ma che mette in comune le rivolte dell'occidente contro l'austerity degli scorsi mesi con le insorgenze dell'area araba. Così come le lotte contro l'austerity hanno identificato i propri avversari nei governi, altrettanto hanno fatto le rivolte nel Maghreb (il fatto che queste ultime hanno assunto una dimensione rivoluzionaria è dato da una crisi più profonda in termini sociali ed economici, e dal fatto che le rivendicazioni si sono legate alla richiesta di democrazia in paesi dove questa non c'era), cambia l'intensità delle mobilitazioni non il dato di fondo. Notiamo quindi soprattutto nella zona euromediterranea delle sintonie e tratti comuni che si manifestano con differenti intensità dovute al ruolo che rivestono i singoli stati nel mercato del lavoro, alla ricchezza procapite, ai livelli di democrazia e welfare, ai tassi di democrazia ed al livello di repressione poliziesca. E' evidente però che disoccupazione di massa, bassi salari, politiche autoritarie nel corpo sociale, corruzione, disuguaglianze, immobilità sociale sono tratti che tendenzialmente stanno accomunando (pur con le notevoli differenze) i paesi periferici dell'Europa con gli stati del Maghreb. Anche i linguaggi e le forme delle rivolte hanno strumenti e pratiche comuni (facebook, twitter, blogger, ma anche lo sciopero generale, la rivolta di piazza, i blocchi ). Infine sono i giovani e gli studenti assieme ai lavoratori e disoccupari i soggetti principali che animano la protesta, assieme alle donne. Piazza Tahirir da questo punto di vista sembra molto simile alle prime forme di democrazia diretta assembleari che hanno preso forma nelle fasi “calde” della storia, e come spesso accade sono le donne in prima linea nella lotta. Se diamo per possibile questa traccia di lettura, ancora abbozzata, e tutta da approfondire nella quale non mancano schematizzazioni, possiamo pensare che riconsiderare il tema della rivoluzione come processo politico possibile e praticabile nella zona euromediterranea sia un tema che riguarda la sinistra del prossimo futuro.

 

Qui infatti non si tratta di esprimere solidarietà al popolo libico, si tratta di capire come sostenere la sua lotta con la nostra. Il nostro paese da questo punto di vista, assieme alla Grecia, al Portogallo, alla Spagna si trova in una situazione particolare, per la sua posizione geografica e per la sua situazione politica ed economica. Prossimamente si potrebbe avere una disponibilità alla mobilitazione che potrebbe assumere il tratto delle rivolte antisitemiche prolungate. Rivolte meticce, giovani, sempre più collegate tra loro. Ieri a Perugia gli studenti libici hanno urlato contro Gheddafi ma anche contro Berlusconi, la stessa cosa è successa in Libia. C'è in fin dei conti un terreno oramai dissodato dai movimenti che in questi mesi si sono battuti contro Berlusconi in Italia e contro l'austerity in Europa, un terreno che vede una disponibilità crescente alla mobilitazione ed alla cooperazione delle lotte, che accomuna istanze che fino a poco tempo fa viaggiavano per compartimenti stagni. Questo terreno è un terreno potenzialmente rivoluzionario se riconsideriamo il termine stesso e lo riqualifichiamo a partire dalle pratiche antisistemiche e antagoniste al sistema dominante. La mia convinzione è che nello spazio costituente della crisi si sia aperto un nuovo orizzonte che lega indissolubilmente democrazia, beni comuni, diritti sociali e libertà (di movimento soprattutto). Processo rivoluzionario quindi e non appiattimento nel presente, queste rivolte che divengono rivoluzioni ci dicono che un potere economico sempre più autoritario che non accetta mediazioni può essere sconfitto nella piazza e mandato a casa qui ed ora. Altro che patto sociale o sante alleanze, questo è il momento in cui esercitare la massima radicalità sia in termini rivendicativi che di pratiche.

 

Non dobbiamo quindi aspettare che Berlusconi venga cacciato dai giudici o dalle congiure di palazzo, perchè cacciato il tiranno avremmo comunque i banchieri tiranni sopra le nostre spalle un minuto dopo. Noi dobbiamo invece iniziare a lavorare per la costruzione di uno sciopero generale politico che abbia un carattere costituente per l'Italia che verrà, uno sciopero che blocchi il paese per davvero, che assuma la presa di piazza del Popolo come luogo simbolico di identificazione di un noi collettivo. A questo punto o cacciamo il tiranno o il tiranno ci porterà a fondo con lui, è solo la mobilitazione popolare che può sconfiggere il populismo e l'antipolitica e toglierci di dosso questa maledizione che ci portiamo addosso da sempre. Il popolo italiano deve fare i conti con se stesso, con il fascismo che porta dentro di sé e contro il quale ha lottato e vinto, non capisco ad esempio perchè la CGIL attenda ancora rispetto alla proclamazione dello sciopero generale politico, fatti i conti storici, tra lo sciopero generale fatto per la cacciata di Tambroni negli anni 60 e l'attendismo di oggi c'è un'abisso enorme.

 

Berlusconi non è il male assoluto impersonificato, ma semplicemente l'emblema in cui una grande parte della borghesia italiana e dei ceti popolari si sono riconosciuti e si riconoscono ancora nella sua idea di società. Cacciare Berlusconi deve pertanto coincidere con la cacciata del berlusconismo senza nessuna mediazione, sconfiggere la destra deve coincidere con la chiusura dello spazio culturale che l'ha resa egemonica, la sovranità  appartiene al popolo non a Berlusconi, né a Marchionne né a Draghi.

 

Piobbichi Francesco

23/02/2011 

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