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Non si puņ ragionevolmente sostenere che idratazione ed alimentazione non siano trattamenti sanitari

Post n°4456 pubblicato il 10 Marzo 2011 da cile54
Foto di cile54

Fine vita: la posta in gioco è la libertà e la dignità umana

Negli ultimi giorni si è intensificato il dibattito sul disegno di legge sul fine vita, di cui domani riprenderà la discussione in aula alla Camera. Raramente il nesso tra un diffuso senso comune di rifiuto di una legge e la difesa del nostro ordinamento democratico e costituzionale è stato così stringente. Nel testo in discussione, la direttiva anticipata di volontà di chi volesse sottrarsi al mantenimento artificiale in vita qualora venisse a trovarsi in uno stato vegetativo permanente si riduce a dichiarazione di un ‘orientamento' che può - deve, nel caso dell'alimentazione e dell'idratazione artificiali - essere ignorato dal medico. Si compirebbe così la trasformazione della figura medica in guardiana responsabile dell'applicazione delle terapie proclamate per legge come legittime e dovute. Le convinzioni morali di chi è in cura sarebbero respinte nell'irrilevante giuridico e politico. Come già le donne con la legge sulla fecondazione artificiale, ora donne e uomini sarebbero ricondotti a una condizione di minorità giuridica, cancellati dallo statuto della cittadinanza. I loro corpi sarebbero consegnati alla sudditanza in uno Stato che si fa etico. Il testo in discussione sovverte i principi democratici su cui si fonda il nostro ordinamento. Non a caso, si ispira a principi non enunciati nell'ordinamento e nel corpo stesso della legge.

La proposta non enuncia infatti i diritti che si vorrebbero tutelare imponendo obblighi e limiti all'autonomia personale nel governo del corpo, né potrebbe farlo a Costituzione vigente. L'assenza di norme costituzionali che vincolino esplicitamente la libertà personale alle finalità della legge inficia tutte le disposizioni che restingono libertà e diritti costituzionalmente tutelati dagli articoli 2, 13 e 32 e dagli articoli 3 e 7 della Costituzione. Del resto, più d'una sentenza della Corte Costituzionale ha recentemente ricordato al legislatore che deve muoversi entro i limiti invalicabili del rispetto della Costituzione e dell'autodeterminazione sul proprio corpo: la Corte individua nella «scelta informata» la «sintesi di due diritti fondamentali: il diritto all'autodeterminazione e il diritto alla salute». Non solo, ma i trattamenti sanitari obbligatori sono costituzionalmente legittimi se necessari per la tutela della salute dei terzi o della collettività. Al di fuori di tali ipotesi sono volontari: subordinati al consenso informato della persona interessata. Né si può ragionevolmente sostenere che idratazione ed alimentazione non siano trattamenti sanitari: lo sostengono autorevolmente molti medici, e nell'esperienza diffusa sono conosciute come pratiche invasive e di complessa gestione, associata a trattamenti farmacologici. Ma anche se così non fosse, si ricadrebbe dall'ambito di applicazione dell'articolo 32 a quello dell'articolo 13, che vieta limitazioni della libertà personale se non in forza di leggi costituzionalmente legittime. E certamente non lo è una legge che viola il principio di laicità dello Stato e il principio di uguaglianza. La qualificazione della vita umana che ispira la legge corrisponde ad una concezione confessionale della vita, della dignità e del rispetto della persona, della deontologia medica. Né si può dimenticare che il codice di deontologia medica è norma di autoregolamentazione nell'esercizio della professione che si danno tra loro e cui sono impegnati i medici: come può pensare il legislatore di imporre all'intero corpo sociale, a colpi di maggioranza parlamentare, norme di deontologia medica ispirate a una confessione religiosa in uno stato democratico costituzionale? La posta in gioco è alta, per le vite individuali e di relazione come per quella collettiva. Richiede un salto di qualità nella connessione tra lotte per i diritti politici, sociali, e civili: in una parola, delle lotte per la democrazia. Sapendo che quella liberale, in una fase della storia del nostro Paese di cui si parla poco in questo centocinquantenario, ma ancora viva nella memoria di molti e molte, ha spianato la strada all'organizzazione di una statualità autoritaria.

Erminia Emprin Gilardini 

09/03/2011

 
 
 
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