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« Venerdì 11 marzo scioper...Umberto Veronesi («il nu... »

Analisi articolata e particolareggiata dello spazio vissuto nella rete, uno spazio quasi irreale, intimo, di soggettività

Post n°4459 pubblicato il 11 Marzo 2011 da cile54

I tre movimenti di facebook

 

Dalla realtà a facebook

 

Guardando The social network, il film di David Fincher, si ha la strana sensazione che potrebbe durare un tempo imprecisato; e quando poi finisce sembra che accada solo per convenzione e comodità. La sua è una fine di fortuna, casuale: un punto a un certo punto. Pur essendo strutturato come un film di finzione, pare avere la consistenza di qualcosa di reale. Ciò accade perché facebook è presente e attuale come un’ombra umana. Prende i desideri (in potenza) dall’attuale vita off-facebook (che non hanno fine mai) e li rende possibili nella vita on-facebook. Nell’off-facebook non puoi andare in giro con un cartello che dica «single» o «fidanzato», anche se desidereresti farlo (o vederlo fare). L’off-facebook è un costante catalizzatore di iniziative per l’on-facebook, le sue basi poggiano su un’attenta riflessione dell’off-facebook che vada a intercettare, soprattutto, le insoddisfazioni più insopportabili che lo ossessionano. Del resto uno degli elementi più affascinanti è la sua ininterrotta modificabilità: ti dice fin dove riescono a spingersi le sue vive anime creatrici nell’anticipare i nostri desideri in potenza. Per questo motivo facebook riguarda tutti, prima di tutto in quanto esseri desideranti. Perché non si tratta d’altro che dell’intimità dell’animo umano che si traduce in una nuova applicazione.

 

L’esaudimento di desideri che è in gioco comporta, allo stesso tempo, un’edulcorazione. La domanda, qui e là, on e off, è una sola: «Vuoi fare sesso, o non vuoi?». Solo che via via si perfeziona la sua messa in scena. Nella rappresentazione delle relazioni sociali migliorano persino le dinamiche di quella dimensione teatrale che pure rappresenta buona parte della vita off-facebook. A parità d’intenti offre argute strategie, tra le più perverse e trasversali che una mente umana possa desiderare (o prevedere di desiderare). Non esiste rappresentazione (messa in scena) più raffinata della strumentalizzazione del terzo a scopi personali di quella che facebook quotidianamente allestisce. Scrivo sul tuo wall perché voglio che il mio amico veda che ho scritto sul tuo wall, ma io posso legittimamente dichiarare che l’ho fatto senza nessuno scopo altro.

 

Se consideriamo la sua missione più intima, ci accorgiamo che anche qui vige il criterio dell’edulcorazione. Cosa può esserci di meglio, di più eccitante, del farsi gli affari di persone che non conosci? Zuckerberg si ispira alla realtà per una seconda grande intuizione, perché la risposta che si dà è: approfondire la conoscenza di persone che conosci (o che conosci un po’); entrare nello scarto tra ciò che sai e ciò che non sai; mettere insieme gli indizi per capire quanto è stato omesso. A differenza di MySpace che si basa sull’uso del nickname e delle relazioni tra sconosciuti, la rivoluzione di facebook è stata dire al mondo quello che (in potenza) il mondo sapeva già e cioè che ciò che più affascina è il noto, l’intimo quotidiano, il simile, con tutte le sue sbavature nascoste. E in fondo che cosa c’è di più ordinario del cognome, la cui rivincita si fa bandiera di questa rivoluzione? Facebook non vuole essere un’evasione dalla vita «reale», ne vuole essere un approfondimento (edulcorazione). E, ancora di più, ciò che si desiderava era approfondire il noto in maniera ininterrotta: ecco dunque che la Home Page, in quanto continuum magmatico, in quanto scenario senza soluzione di continuità di «persone che fanno cose», diventa la concretizzazione più esplicita di questa sogno.

 

Infine, la sua stessa struttura poggia su un’edulcorazione: la costruzione del punto di vista a partire dal nostro profilo, caratteristica che genera uno sguardo ego-centrato che dà l’illusione del soggetto come perno della rete (di amicizie). Come conseguenza (e contraltare): la confusione di destinatari e d’intenti comunicativi. A dispetto di una comunicazione tendenzialmente mirata, ci troviamo di fronte a una comunicazione onnicomprensiva (che comprende tutti i destinatari) e onnicompresa, perché presa nel flusso omologante della Home Page. A conferma di ciò, la somiglianza estetico-formale tra i profili (a differenza della personalizzazione che offre MySpace) e la scarsa differenza grafica tra profilo privato e pubblico (anche qui, a differenza di MySpace), giocano a favore della confusione (e della con-fusione). Dove finisce il tuo? Il privato del tuo? Dove inizia l’Altro? Il privato dell’Altro? L’indice di fraintendimento gioca le sue carte (o si mette a tacere) nel rimescolamento centripeto della Home Page, nella sua condivisione indistinta dei tuoi pensieri e della tua musica, delle tue parole e delle tue immagini. Ma facebook non si limita a questa operazione d’ispirazione alla realtà con aggiunta di edulcorante perché, contestualmente, trasforma radicalmente la materia dell’esperienza, e la sua natura.

 

Dentro Facebook (o del falso movimento)

 

Adeguandosi alla logica della Pigrizia (regina incontrastata nel connubio tra computer e internet) facebook, regno della frase perfetta, garantisce trasferibilità, velocità, e reperibilità alla sfera sociale. Ciò consente l’apoteosi dell’eccitamento voyeurista, un godimento impeccabile ma privo di spessore, perché l’esperienza stessa che ha come oggetto subisce una trasformazione: l’esperienza diretta lascia il posto alla sua traduzione e al riciclo di esperienza mediatizzata.

 

Su facebook, impero del dicibile, stai come dici di stare, fai quello che dici di fare, sei come dici di essere, pensi quello che dici di pensare, ascolti la musica che dici di ascoltare, vedi il film che dici di vedere, sei fan di quella cosa di cui dici di essere fan, sei fidanzato con quella persona con cui dici di essere fidanzato, sei amico di chi dici di essere amico, vai a quell’evento dove dici di andare (del quale, a volte, hai le foto che dicono di testimoniare). In questo mare magnum di «detto senza audio», ciò di cui più si sente il vuoto è la voce. Perché la voce, la grande assente, sarebbe il primo indizio della presenza vera, materia della carne, non traducibile in niente, lasciata intradotta finanche da milioni di parole.

 

Tramite il meccanismo del linkaggio comprendi su facebook quello che c’è di esterno: claustrofobicamente rimastichi dentro i link ai quotidiani, o qualsiasi altro materiale linkabile (quindi già mediatizzato). Ma si tratta solo di un passaggio di condivisione, una questione di share, un «ok all’invio». Veloce. Proseguendo la sua opera edulcorante, facebook offre la possibilità di sostituire lo sforzo dell’azione con la sua traduzione a parole e, quando non si sa neanche più cosa tradurre (perché non si agisce), si può riciclare l’esperienza di esperienze già rimasticate altrove (i link), l’esperienza di esperienze sedentarie, mediatizzate. Perché – distorcendo lievemente Coupland – puoi dare informazioni su di te o puoi avere una vita, ma non tutte e due le cose insieme. Di più, fare un’esperienza con l’unico obiettivo di tradurla su facebook equivarrebbe a dichiarare che la nostra presenza nel mondo è solo apparente: il momento dell’esperienza e il suo tempo lento soccombono di fronte all’urgenza della sua comunicazione.

 

Da facebook alla realtà

 

I riverberi dell’edulcorazione operata nell’on-facebook raggiungono l’off-facebook. A differenza dei programmi di instant messaging (Msn, Skype) che occupano una piccola porzione dello schermo, la modalità full screen di facebook permette un’omologazione degli scenari: io e il mio amico siamo nella stessa posizione (verso il computer), con uno schermo che ha gli stessi colori, la stessa suddivisione in layer, lo stesso formato, la stessa grafica. La conseguenza è che sembriamo tutti inquilini di una stessa casa, cioè siamo tutti più vicini, reciprocamente presenti. Quantomeno nei nostri pensieri, che risultano occupati dal pensiero degli altri. Questo riflesso indiretto dell’on-facebook sull’off-facebook sembra farsi responsabile della trasformazione dell’essere-in-relazione-sociale. In maniera non spontanea, ma indotta dal ritmo propulsore della Home Page, ti ritrovi a pensare a persone cui prima non pensavi mai perché, prive di una visualizzazione, risiedevano in quegli angoli della memoria che visiti raramente. Pare dunque che facebook sia andato a toccare (e a modificare) i concetti di memoria e fantasia, assenza ed emozione (stupore).

 

Ora, su facebook ci sono (grosso modo) tre tipi di amicizie, che corrispondono a tre operazioni possibili:

Interagire con gli amici di sempre che frequenti regolarmente anche nella vita off-facebook.

Aggiungere persone del tuo presente, che conosci da poco, e con le quali c’è la possibilità di vedersi nella vita off-facebook.

Recuperare persone del tuo passato perse di vista da tempo o, più in generale, persone con cui non condividi la possibilità di un rapporto nel presente.

Per quanto riguarda il primo caso facebook riesce a esplicare tutta il suo potere di «strumento di contatto». Il secondo caso presenta una situazione verosimile di questo tipo. Una sera esci, conosci una persona nuova, vi scambiate il contatto facebook, l’indomani siete amici su facebook. Scopri che è stata in Thailandia e in Palestina, perché c’è scritto nelle informazioni del suo profilo; guardando le foto puoi sapere qual è il suo stile in generale. Presumibilmente la persona avrà fatto la stessa ispezione del tuo profilo. Quando vi rincontrerete saprete già una marea di cose di voi. E che vi dite? Di cosa vi stupite? Se neanche il vedervi arrivare vestiti in un modo diverso rispetto alla volta precedente può meravigliarvi? Due le conseguenze: oltre al modo di intendere la nostra esperienza, cambia – simmetricamente – anche il modo in cui fruiamo dell’esperienza altrui; c’è bisogno di inventarsi nuove cose da scoprire, nuovi elementi per cui stupirsi. Per quanto riguarda il terzo caso, viene meno il ricordo e sopraggiunge la quotidianità.

 

Ma non era forse sano che il ricordo rimanesse tale? Non è forse contro natura portarsi dietro persone che appartengono, per forza di cose, a epoche e situazioni diverse da quelle attuali? Non suona forse strano crescere e trasformarsi quotidianamente sotto gli occhi di tutti (anche di gente che non vedi da vent’anni) in quell’immenso calderone che è la Home Page, decidere di rivedersi dopo tre anni e avere l’impressione di essersi visti il giorno prima? Che fine fa il potere immaginativo della memoria? Dove finisce quell’assenza grazie alla quale il mio pensiero si spinge oltre e comincia a fantasticare? Che fine fa il concetto tradizionale di ricordo? Nello stesso momento in cui abbiamo deciso di cedere alla fame di vicinanza impiegando un’applicazione in grado di mettere ai nostri problemi di solitudine e di lontananza, abbiamo perso qualcos’altro.

 

Martina Federico

10/03/2011 1

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Roma, 12 maggio 1977

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