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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.
SOLIDARIETÀ CON RED LADY E CON LOCANDA ALMAYER!
« 63 anni fa | Leggendo qui e là... » |
(Cascate di Agua Azul, Chiapas, Messico)
28 Gennaio. Ormai sono passati parecchi anni, più di mezzo secolo, da quando ho dovuto lottare fino al bordo della morte per nascere. Ne porto ancora i segni addosso, nella mente e nel corpo, come se il mio destino fosse stato fin dall’inizio quello di dover combattere per affermare la mia esistenza. Col tempo, ho imparato ad affezionarmi a queste imperfezioni, a queste stimmate che la vita mi ha imposto. Ho appreso a convivere con la rabbia, la frustrazione, il senso di ingiustizia, il desiderio di rivolta e dell’altrove.
L’altrove… la costa scabra occidentale della Scozia, boschi sterminati e laghi a corolla nella regione di Kuopio nella Finlandia centrale, un villaggio minerario del Galles abitato da ombre e squatters, il profilo dell’isola di Leucade che sfuma nel tramonto invernale, Bilbao e una festa di popolo in una città liberata, le mattine nel giardino della casa dell’Ajusco a contemplare un agave fiorente, la costa lussureggiante di Oaxaca e quel feroce desiderio di annullarsi in una natura così bella da sembrare inventata, la medina labirintica di Fez, il deserto del Sinai, i vulcani della Mesoamerica scalati con impazienza e fatica, la sensazione di sentirsi insieme fuori e dentro ai luoghi, ospite temporaneo di bellezze che non mi appartenevano, se non per lo sguardo che le contemplava assorto.
Ho visto sabato sera un film che mi ha commosso, “Into the wild”, forse perché mi ha riportato al periodo in cui andavo girovago per il nord dell’Europa, armato solo di una tenda, uno zaino e di un pollice alzato nel gesto di chiedere un passaggio, forse perché il protagonista cerca senza mediazioni e senza barriere protettive un rapporto con la bellezza e con la libertà, un progetto di vita che non è fondato su rapporti stabili.
Poi il tempo passa e ci consegna a scelte che diventano solchi profondi, da cui è difficile uscire, che continuiamo a seguire per responsabilità, per consuetudine, perché è difficile rimettersi in strada abbandonando le persone care, il lavoro, la città che ti ospita e ti frena.
A volte penso che ogni tempo della vita ha un senso, che c’è un momento per il viaggio e un altro per mettere radici, vorrei che i due tempi non fossero separati dalla linea sottile della stanchezza, dalle illusioni della memoria.
28 Gennaio, il giorno dell’inizio.
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LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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