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Flame sperimentale II (prima parte)

Post n°290 pubblicato il 29 Giugno 2008 da falco58dgl
 

Questo racconto è il seguito di un altro testo, pubblicato mesi fa, che trattava delle battaglie virtuali ("flame").  Nel primo racconto, il protagonista  intavolava una lotta interminabile con Giordie32, il suo mentore. Dopo 4 mesi di battaglia, Giordie abbandona il campo, consegnando il protagonista a un futuro di solitudine.

La solitudine è durata poco. Non riesco a stare lontano dai combattimenti quotidiani. Ci provo, ma già alle tre del pomeriggio sento una voglia poderosa che mi prende e quasi mi fa abbandonare il lavoro. E’ come quando vuoi smettere di fumare, solo più intenso
Arrivo a casa e le mani mi tremano, mentre accendo il mio strumento, mi collego al forum e mi scelgo l’avversario del giorno. Mi piace sostenere tante battaglie insieme, simile a un giocatore di scacchi impegnato in trenta partite simultaneee.
Sono diventato piuttosto bravo e riesco a sgominare i miei nemici con facilità. Anche nei flame esiste lo “scacco del barbiere”, vittoria in quattro mosse. Con gli avversari duri mi diverto di più e, a volte, provo un moto di segreto, nascosto affetto verso di loro, sentimento che schiaccio come una vipera velenosa.
Ho un piccolo problema, però, anzi un problema grande. Mi sto innamorando di una delle persone con cui guerreggio.
Si chiama “Eros”. Mi è sembrato facilissimo, all’inizio, distruggerla. Con un nick di questo tipo- ho pensato- la farò sprofondare nel ridicolo, la farò pentire di averlo scelto. Anzi, la costringerò a chiedermi in ginocchio di smettere, la farò strisciare ai miei piedi come un verme, incapace di staccarsi dal gioco. Solo a quel punto l’avrei lasciata andare via, l’avrei scacciata, una volta che la sua dipendenza fosse arrivata al punto di non ritorno.
Tutto questo pensavo e continuo a pensare - il gioco non ha limiti, ti divora dall’interno, ti brucia, fa sentire vivi- e se qualcuno obiettasse che sono diventato un pezzo di merda, una bestia subumana, gli risponderei che è vero e che non me ne frega un cazzo, anzi ne sono felice ed esultante.
Ma “Eros” resiste, passa al contrattacco, mi mette in difficoltà con un atteggiamento che non so definire bene, che non ho mai visto tra i giocatori. E’ come se m’insultasse per finta, come se mi strizzasse l’occhio dicendo “sto solo scherzando, stiamo interpretando una parte, in realtà ti voglio bene”.
Usa molto i trattini - per distinguere e negare in modo sfumato quello che ha appena detto-. Una volta mi scrive : 
" Non sei neanche umano, sei solo un fottuto cyborg, incapace di sensazioni vere, di slanci autentici- ma se io mi sbagliassi e tu riuscissi a dimostrarmi che ho torto ne sarei felice-, mi trasmetti una sensazione di vuoto assoluto, non c’è nulla dietro di te, proprio nulla".

Non riesco a fare breccia in lei, mi sorprendo a pensare sorridendo al suo volto, al corpo, ai suoi seni che m’immagino piccini e delicati.
Forse sto rincoglionendo. O chissà, magari la prolungata astinenza (Non vedo Monica da sei mesi e non faccio l’amore da più di otto), ma temo ci sia dell’altro, qualcosa che striscia come un rettile, pronto a sbucar fuori all’improvviso.
Sarà per questo che raddoppio l’intensità dei miei attacchi. La chiamo con nomi irridenti, la faccio assalire da altri adepti, le scarico addosso tutta la feccia - ed è tanta- che ho nello stomaco.
Poi accade qualcosa di inimmaginabile.
Ricevo una mail firmata “Erosia”. Mi dice :

“Sai benissimo perché ti scrivo. E non sarai neanche tanto stupito di ricevere questa mia, anche se hai messo in piedi un sistema di sicurezza imponente. Ci vogliamo bene -non uso la parola amore perché non rende l’idea-, ci cerchiamo con costanza e tenerezza. Abituata come sono alle battaglie, so riconoscere i sentimenti, anche se sono nascosti da una corazza che appare impenetrabile.
Vediamoci dopodomani alla Stazione Centrale di Milano, in testa al binario 16. Ci vedremo una volta sola e ti porterò dove nessuno ha mai neanche pensato di condurti. Una volta sola, per tutta la vita.
Non rispondere, ti aspetto
.”

Rimango a bocca aperta a guardare il messaggio che interpreta i miei impulsi ancora meglio di come potrei fare io stesso. Sento un lieve umidore sulla coscia sinistra. Mi riscuoto, ma no, non sono venuto. E’ solo un filo di saliva che mi cola dall’angolo della bocca. Mi viene una voglia pazzesca di piangere, dai tempi di Giordie32 non provavo una sensazione così forte. So già che non partirò e questa certezza dilata il mio rammarico, fa esplodere la mia pena.
Quella sera investo Eros con tutta la forza delle mie sensazioni contrastanti. Risponde tranquilla, senza neanche fingere un assalto. Sembra quasi materna nel suo distacco, è già andata via, in testa al binario 16.

(continua...)

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Rispondi al commento:
cateviola
cateviola il 30/06/08 alle 16:14 via WEB
ecco, così va meglio! Ora come farò? Avvisami quando pubblicherai la seconda dose...ops, parte :°)*
 
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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