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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Omaggio a uno scrittore suicida a 89 anni

Post n°395 pubblicato il 04 Maggio 2010 da falco58dgl

libreria

 

Una città grande e caotica, lambita da un mare incolore. Un quartiere di case a tre piani, di mattoni ocra. Un edificio uguale agli altri, con un grande balcone al secondo piano. Un appartamento dai soffitti alti, pieno di tavoli e poltrone ricoperte da drappi scuri. Un soggiorno con un divano a due posti, dal colore incerto. Sul divano un uomo seduto rigidamente, con un oggetto chiuso nel pugno. Nella mano una lettera gualcita e ripiegata in quattro. Nella lettera, parole vergate con una grafia piccola e spigolosa.

***

"Caro James, ti scrivo dopo anni di silenzio. Non ho intenzione di giustificare la mia assenza. So che sarebbe una fatica inutile e che le mie parole ti scivolerebbero addosso, senza scalfire il risentimento accumulato in tanti anni.. A volte il tempo, invece di sciogliere e pacificare, congela e rende stabili i dissidi e le controversie. Non so bene perché abbia messo fine a quasi nove anni di distacco per scriverti. Per molto tempo ti ho odiato ed ho desiderato che tu soffrissi, che ti tormentassi. Il pensiero che tu mi augurassi un destino simile non mi ha consolato, ma non ha neanche reso più aspro il mio sentimento. Ho pensato, in alcune occasioni, che anche questo ci rendeva fratelli. Fratelli divisi, ma affini.
Da quando Julie è morta, il mio odio si è lentamente sgretolato. Ne sono rimasto dispiaciuto, come chi vede una costruzione edificata con fatica andare in pezzi. Ho cercato di preservare la mia avversione, pensando all’inganno che ci avevi teso. Alle tue menzogne. Al tuo insinuarti in casa nostra, diventando il nostro migliore amico e, nel contempo, l’amante di mia moglie. Con Julie vivevo allora un rapporto speciale, di complicità e tenerezza, che assumeva a volte un’intensità insospettabile agli occhi altrui. Ma tu lo capisti fin dal primo momento in cui ci vedesti insieme. Sei sempre stato un osservatore acuto.

 Non me l’hai portata via, è vero. Julie è rimasta con me. Ma, poco per volta, si è svuotata di gioia e di voglia di vivere, si è ridotta a un simulacro di quella che era stata una donna orgogliosa delle sue idee, vivace e leggera. Avrei preferito (ma mentre lo scrivo, qualcosa di forte si ribella dentro di me) sapervi insieme, intenti a vivere il vostro amore, piuttosto che assistere a quella commedia coronata dalla tua fuga e dalla nostra comune paura.

Come sai bene, mi sono vendicato. Sono quasi riuscito a ridurti in rovina, approfittando di alcune tue speculazioni sfortunate, e ti ho obbligato a vivere questi ultimi anni in una condizione di povertà e ristrettezze a cui non sei mai stato abituato. Mi è sempre sembrata meschino e vigliacco questo mio desiderio di vendetta, ma ne avvertivo il sapore acre e pieno, il piacere di fare del male in modo deliberato e ordinato.

Ma ora quel piacere si è estinto. Sentire Julie mormorare il mio nome (e non il tuo) sul suo letto di morte ha lenito, anche se inizialmente in modo impercettibile, il mio senso di perdita.
Adesso ti voglio ritrovare. Ti voglio rivedere, fosse pure per l’ultima volta nelle nostre vite. Ho alcune domande da rivolgerti e spero che tu non voglia sottrarti al nostro incontro. Rispondimi entro due settimane. Se non lo farai, verrò io da te”

 ***

 James sembra scuotersi dal suo torpore. S’alza dal divano, attraversa il soggiorno, s’affaccia al balcone. Scende due piani di scale, lascia dietro di sé la sua casa di mattoni ocra, cammina lungo le strade del suo quartiere, pieno di costruzioni quasi identiche. S’inoltra senza fretta per i corsi della sua città, affollati e pieni di traffico. Arriva sul lungomare. Si ferma e guarda la distesa dal colore incerto. Vorrebbe immergersi in quel mare, attraversarlo ed approdare sull’altra sponda. Si volta per vedere il profilo della sua città che si staglia netto.

 

Un debole sorriso, mentre avanza con passi risoluti sul bagnasciuga.

 

Writer

 

 
Rispondi al commento:
santinove
santinove il 13/05/10 alle 14:51 via WEB
la risolutezza a volte non basta per lenire l'amarezza della distanza
 
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LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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