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VIAGGIO AD ATITLAN (seconda parte)

Post n°57 pubblicato il 04 Dicembre 2006 da falco58dgl
 
Tag: luoghi

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                                      (interno della chiesa di Santiago Atitlàn)

Su Santiago incombe un vulcano alto più di tremila e cinquecento metri, separato dall’abitato da un’insenatura del lago. Il paese è povero, ma decoroso. Dalle case di mattoni e legno, immerse in una vegetazione lussureggiante di banani e caffé, viene su un filo di fumo, alimentato dai camini.

Grappoli di bambini e bambine, vestite con i loro costumi multicolori, stazionano davanti alle porte, s’inseguono per strada, ma al mio passaggio tacciono e mi guardano fissi, come se fossi un alieno disceso sul villaggio.
Scendo verso il lago, di tonalità cangianti di azzurro e mi siedo sull’erba, mentre alcune donne, nei loro huipiles, lavano i panni sulla riva del lago e alcuni ragazzi giocano a pallone in uno spiazzo erboso. Sto lì a guardare le barche, l’acqua attraversata da una debole corrente, il profilo, insieme aspro e dolce, delle montagne che circondano il lago. Fumo e cerco di abolire i pensieri, anche se si ripresentano tenaci. Mi stendo e fisso il cielo solcato da nubi, che sembrano mosse da una mano invisibile.

Rimango disteso un tempo imprecisato, poi la fame ha la meglio e mi spinge a cercare un ristorante. Detesto mangiare da solo, ma il digiuno mi sembra un’alternativa peggiore. Risalgo la strada, m’inoltro nel paese.
Entro in una bettola con 4 tavoli e lunghe panche di legno. Mi faccio servire carne, fagioli, tortillas e salsa piccante. Penso che sono solo le sei del pomeriggio, mi si spalanca una serata vuota e lunga.

Dal tavolo vicino, vedo tre uomini ed una donna che scherzano e ridono forte. Gli uomini corteggiano la donna, che lascia fare, ma senza offrire eccessiva confidenza. Sento uno degli uomini parlare di “Adamo ed Eva, che furono scacciati dal paradiso terrestre perché vollero assaporare il frutto del peccato”. Chissà perché, m’intrometto e dico che furono espulsi perché vollero assaggiare il frutto della conoscenza, non quello del peccato. Uno degli uomini mi guarda incuriosito, m’invita a sedere con loro. Il tavolo si riempie di birre, le risate salgono d’intensità, mentre si parla di cose di cui ho smarrito il ricordo. Guardo di sottecchi la donna. Non è bella, ma sembra avere una forte personalità. Un volto da mestiza, labbra grandi e carnose, pelle olivastra, fianchi grandi ed un cappello che le incornicia il volto e le dà un’aria malandrina. Quando uno degli uomini s’avvicina per darle un bacio sulla guancia, lo tiene a distanza mormorando parole cortesi ma definitive. Vive negli Stati Uniti, lavora in Wisconsin da almeno otto anni. Anche lei sta tornando a casa per le feste di Natale.

Quando qualcuno propone di scendere al lago, per “vedere la luna”, lei si alza e torna al suo hotel. Mi ritrovo sul bordo del lago a chiacchierare delle comunità locali e del grosso lavoro che occorre realizzare per garantirne lo sviluppo. Qualcuno mi passa una canna, con estrema prudenza. Fumo e mi congedo dai tre, salutato da vigorose strette di mano.

Torno in hotel, mi siedo su una sdraio del cortile interno. Si apre una porta e appare un volto. E’ lei, la donna del ristorante, che mi guarda sorridente e interrogativa. Le chiedo se posso entrare e mi ritrovo su una seggiola di legno malferma, mentre lei si siede sul letto.

Mi sembra un segno del destino così sfacciato che decido di forzare il corso degli eventi. Mormoro “se ti do fastidio, dimmelo” e mi siedo accanto a lei.
Ci guardiamo un attimo, entrambi stupiti, poi mi chino su di lei e la bacio.
Me lo restituisce con forza, lascia che le mie mani accarezzino i suoi seni, ma quando faccio per spogliarmi, mi ferma e dice “non sono preparata, non ho portato nessun contraccettivo”. Un ultimo bacio e sono fuori dalla sua stanza, con una contentezza che m’assale come il sapore di questa terra forte e addolorata.

(fine seconda parte)

Writer

http://www.writer-racconti.org/

 
Rispondi al commento:
falco58dgl
falco58dgl il 05/12/06 alle 17:31 via WEB
Ehm, Margie, il protagonista evidentemente non aveva pensato di incontrare una possibile partner a Santiago Atitlan... :) Writer.
 
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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