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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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VIAGGIO AD ATITLAN (terza e ultima parte)

Post n°58 pubblicato il 05 Dicembre 2006 da falco58dgl
 
Tag: luoghi

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Mi sveglio verso le otto del mattino e so già che è andata via.
La cerco,  mi reco all’imbarcadero, busso alla porta della sua
stanza, ma è partita presto, mi dice una donna che fa le pulizie.
Trattengo un moto di delusione, pensando che forse la
ritroverò in un altro villaggio. Nel pomeriggio parte la barca per
San Pedro, dall’altra parte della laguna.
 
 
 Passo la mattinata in modo indolente, visitando i negozi
di artigianato e vestiti tipici, chiedendo i prezzi, contrattando.
Alla fine compro solo due orecchini a un prezzo che mi pare
simbolico.

 
Sulla barca c’è un’allegra confusione. Una cinquantina di guatemaltechi
siedono ordinati all’interno dell’imbarcazione, mentre una
ventina di europei  si stravaccano sul ponte superiore. E’ un trionfo
di zaini multicolori, scarpe da tennis  di marca e magliette con l’effigie
di Bob Marley.  Mi  sistemo anch’io sul ponte,  in piedi, e  lascio
che il mio sguardo vada alla ricerca degli anfratti della costa.

 E’ il 24 Dicembre. L’aria è tiepida e il sole che declina proietta strisce
di luce  rossastre sull’ acqua increspata. Navighiamo lenti, fermandoci
nei paesi intermedi che hanno il nome dei dodici apostoli. Arriviamo
all’imbrunire alla nostra meta.

 Un altro vulcano altissimo   domina il  luogo come una gigante  che
sovrasti dei pigmei. Una strada  di pietre che sale ripidamente ci porta
al paese. Guido una comitiva di italiani che sembra arrivata lì per sbaglio
alla ricerca di un hotel. Ne troviamo uno cadente e sporco, ma con una
vista magnifica sul lago.

 La sera ce ne andiamo alla ricerca di una festa. Ci dicono di proseguire
lungo la riva del lago. Entriamo  in una casa composta da un unico
stanzone.Vi sono una quindicina di persone che bevono,  fumano e
urlano  in modo insensato. La musica  che esce  violenta da un vecchio
stereo appare incongrua e fuori posto. Gli AC/DC ci martellano con
le loro sonorità da isteria. Quando ci congediamo, uno svizzero ci chiede
dieci quetzales per la festa. Lo mandiamo a stendere. Esco dalla casa
barcollando, inizio a camminare a caso verso l’hotel, mentre una luna
rossa ed enorme illumina  la scena quasi a giorno. Mormoro “che Natale
da folli”, mi butto sul letto.

*** 

Natale è un giorno tranquillo, passato tra la laguna, il paese e la
contemplazione dei campi che circondano l’hotel. Ma il giorno dopo
progettiamo un’escursione di gruppo a Chichicastenango, il mercato
 
più  conosciuto dell’Alto Guatemala.  

 Chichi è un paese di montagna,  inerpicato a duemila e duecento
metri  di altezza. Le cime della sierra  sembrano a portata di mano,  
appaiono come rilievi bassi e tondeggianti tappezzati da una fitta  
vegetazione.
 Nel paese ferve un’attività tranquilla. Il mercato
occupa la piazza centrale e le quattro strade che vi affluiscono.
Sulle scale di pietra della cattedrale,  un gruppo di indigene vende
fiori variopinti e forma una macchia di colore dalle tonalità cremisi,
gialle e bianche.

L’area è colma di bancarelle che vendono vestiti tradizionali, cinturoni
di  cuoio e stoffa, gioielli di argento, giada e turchese, maschere di
legno, utensili da cucina,  sassi dipinti, spezie, peperoncini rossi e verdi, 
cibo cotto sui comales. Si contratta a lungo, si cerca di ottenere prezzi
tre volte inferiori a quanto viene chiesto, ci si muove in un delirio di
colori, forme e odori che saturano i sensi, mentre il sole del primo
pomeriggio proietta strisce di luce accecanti  negli spazi liberi da tende
e protezioni.

Entriamo all’interno della chiesa e rimaniamo colpiti dal silenzio e dal
freddo. L’ambiente è completamente spoglio, centinaia di candele
accese sul pavimento da fedeli inginocchiati danno al luogo un aspetto
solenne e spettrale, mentre qualcuno fa uscire da incensieri d’argento
nuvole spesse di fumo bianco che s’innalza lentamente e  stordisce.

Sulla strada del ritorno, chiudo gli occhi. Vorrei una tregua, una
sospensione. Ma le immagini del giorno ritornano con forza e
m’impediscono di dormire.

 ***

Quando mi sveglio la mattina dopo, mi reco in riva al lago e mi guardo
intorno.
Sto tre ore buone in silenzio a fissare il gioco delle correnti.
Sono arrivato alla mia meta, alla fine.

 Qui posso riposare, bagnarmi nella laguna, andare in giro in mezzo
a campi di mais dell’altezza di un uomo. Posso ascendere sulle pendici
dei vulcani spenti. Visitare i villaggi indigeni dell’interno e ubriacarmi di
aguardiente in osterie che  assomigliano ad anfratti ricavati nella pietra.

 Posso finalmente lasciare che i giorni passino, che il vecchio anno
ceda  il passo al nuovo, senza l’esigenza di percorrere altre strade,
di spostarmi nuovamente alla ricerca di un’idea.

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falco58dgl
falco58dgl il 06/12/06 alle 14:43 via WEB
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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