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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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L'uomo invisibile

Post n°126 pubblicato il 14 Aprile 2007 da falco58dgl
 

Posto un breve testo, una parabola sui rapporti umani e la loro mancanza.
Buon week end a tutti.

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Nessuno riesce a vedermi, ormai da tempo. Cammino per le strade e nessuno mi guarda, in autobus si siedono sopra di me e si ritraggono spaventati pensando di essere in  preda ad allucinazioni. Sul lavoro non esiste un cartellino timbrato a mio nome. Mi aggiro per le stanze e posso assistere ai colloqui dei miei colleghi  con i  clienti senza che loro se ne accorgano.

Poi mi sistemo in un angolo e cerco di dare meno fastidio possibile. Ma tanto, anche se strepitassi, nessuno ci farebbe caso.

Da bambino ero visibile, anche se a stento. Non mi passavano mai la palla quando si giocava a football, ma lo facevano apposta. A scuola, mi ero sistemato nell'ultimo banco  e, di tanto in tanto, un mio compagno mi insultava. Ed io rispondevo tutto contento "Ma dai", mi faceva piacere che mi notassero.

Con le donne non sono mai esistito. Anche se forse esagero. Ricordo Angela che mi stava simpatica e una sera l'ho anche invitata a uscire insieme. Appuntamento in piazza Maggiore alle 21. Ma lei non mi ha riconosciuto. M'agitavo, la chiamavo e lei camminava nervosamente su e giù per l'elecante lastricato, guardando l'orologio. "Angela, sono qui, Angela, voltati". Stavo per posarle una mano sulla spalla, ma non l'ho fatto. Sono sempre stato molto timido. L'ho vista allontanarsi a passi lenti e non sono neanche riuscito a richiamarla.

Poi, a 22 anni, sono diventato invisibile. Completamente. Avevo trovato lavoro da sei mesi in una ditta di articoli informatici, e il capoufficio mi cercava sbraitando "Dove si è cacciato Michele?". Ma alla fine mi trovava, mi dava qualche compito, mi rimproverava chiamandomi "zero" o "inetto". Poi, più nulla. Era come se fossi scomparso. Entravo il mattino, timbravo (poi è scomparso anche il tesserino magnetico), mi sedevo su una sedia libera, facendo attenzione che qualche collega non la volesse occupare, usavo uno dei computer liberi, arrivavo a sera, andavo a casa.

Non mi lamento della mia condizione. Ormai ci sono abituato. Certo, esistono anche gli inconvenienti. Ho ricevuto l'ordine di sfratto. Avevo smesso di pagare l'affitto da quando mi hanno sospeso lo stipendio. Ora condivido il mio appartamento con i nuovi inquilini, una simpatica coppia di quarantenni senza figli. Mi tocca muovermi con estrema discrezione in bagno e in cucina per non spaventarli troppo. Ma sono riuscito a collocare le mie cose giù in cantina e non è difficile farsi il bagno  o ascoltare della buona musica quando loro escono. Sono di abitudini frugali e mangio molto poco, poi lavo subito i piatti e lascio tutto in ordine. Non si possono proprio lamentare di me.

Un altro vantaggio è non dover pagare le tasse. Sono scomparso anche dall'anagrafe, è come se non fossi mai esistito. Non ricevo bollette del telefono, della luce, del gas, preventivi o consuntivi del riscaldamento, estratti conto della banca,  pubblicità.

Mi dispiace un po', invece, non riuscire mai a scambiare due chiacchiere con nessuno. Esisto solo al telefono, anzi esisto solo via modem. Posso inviare o ricevere messaggi di posta elettronica, con l' account  "invisibile(et)libero.it" e frequento chat e gruppi di discussione, tra cui prediligo it. discussioni.leggende.metropolitane, di cui sono un frequentatore abituale. Ma mai per più di un'ora al giorno. Passati  sessanta minuti, strano a dirsi,  i miei interlocutori non mi “vedono” più.  Come se mi fossi volatilizzato anche dalla rete.

 

In un certo senso, sono il prototipo dell'uomo nuovo del terzo millennio: poco visibile, anonimo, virtuale.

Sono un modello, un'avanguardia.

Tra pochi anni saranno tutti come me e nessuno si accorgerà più di nulla. 

Writer

http://www.writer-racconti.org/

 
Rispondi al commento:
fenicenera1968
fenicenera1968 il 15/04/07 alle 17:59 via WEB
:-( x me nn sei invisibile tanto è vero che nei giorni in cui il mio pc era defunto sei stato u no dei pochi che veramente i è mancato...un bacio Fenn
 
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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