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Messaggi di Ottobre 2018

Spread, ai mercati non conviene far fallire l’Italia ma vorrebbero una patrimoniale

Post n°4328 pubblicato il 23 Ottobre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Zonaeuro | 23 ottobre 2018 

Per uno Stato carico di debiti come quello italiano, è meglio continuare a indebitarsi sempre di più sui mercati finanziari, eventualmente applicare una nuova imposta patrimoniale o invece emettere moneta fiscale? E’ impossibile anticipare l’esito del braccio di ferro tra lo Stato debitore e la grande finanza che specula sul debito. E’ impossibile prevedere quale sarà nel prossimo futuro il valore di mercato dei titoli di Stato, dei Bot e dei BTP, e se lo spread – il differenziale di rendimento con i titoli di debito dello Stato tedesco – scenderà o invece salirà a livelli insostenibili. I mercati finanziari sono, infatti, per loro natura caotici e imprevedibili. Tuttavia c’è sempre una logica nella loro follia.

Il caos ha una natura deterministica; il mercato è imprevedibile ma nulla avviene per caso: tutto accade secondo ragione e necessità. In questo senso voglio azzardare una scommessa basandomi su argomentazioni razionali. I mercati sono spaventati perché credono che la nuova legge di bilancio del governo aumenterà il debito pubblico già troppo alto e non produrrà i tassi di crescita annunciati. Gli investitori chiedono tassi di interesse più alti sul debito italiano perché ritengono che il rischio Italia sia maggiore. Così lo spread cresce, e il debito rischia di aumentare a spirale.

La scommessa che faccio è che – nonostante i downgrade di Moody’s e di S&P e nonostante le bocciature della Ue – i mercati nei prossimi mesi non faranno fallire l’Italia. Posso sbagliarmi, ma se il governo regge, è difficile che nel prossimo futuro lo spread (già troppo alto) si allontani molto dai 300 punti. La previsione è basata su due elementi fondamentali: l’Italia è sicuramente solvibile; e a nessuno conviene fare fallire l’Italia. Infatti l’Italia ha un patrimonio tassabile che (almeno potenzialmente) permette certamente agli investitori e agli speculatori internazionali e nazionali di essere ripagati dei loro crediti. Con oltre 4000 miliardi di ricchezza finanziaria, basterebbe una patrimoniale – quella che tutti in Italia temono – per abbassare drasticamente il debito pubblico. Una tassa sui super-ricchi non è impensabile. In Italia l’1,5% dei cittadini italiani controlla circa 800 miliardi di ricchezza finanziaria. L’Italia è abbastanza ricca per rientrare dai debiti. Del resto una patrimoniale a sorpresa costituisce da sempre l’arma segreta di un governo in forte crisi che però voglia restituire i suoi debiti. E questo gli investitori finanziari lo sanno bene.

C’è poi un altro motivo per cui agli investitori in linea teorica non conviene far crescere lo spread fino a livelli insostenibili. Se lo Stato italiano fosse costretto a fallire – cioè a dichiarare formalmente che non restituisce i suoi debiti – molti operatori nazionali e internazionali registrerebbero forti perdite e si innescherebbe una reazione a catena che, almeno in teoria, non conviene a nessuno. Per gli investitori è meglio “tosare la pecora” che ammazzarla. La montagna del debito pubblico italiano sul mercato (circa 2000 miliardi) rappresenta già da qualche decennio una ghiotta e sicura opportunità di business per i creditori. Il fallimento dell’Italia comporterebbe invece quasi certamente la rottura dell’eurozona. La caduta dell’Euro provocherebbe choc economici e politici che nessuno saprebbe governare.

Da qui la mia (molto azzardata) previsione. Credo che l’Italia sarà costretta a fronteggiare ancora operazioni di logoramento piuttosto che di scontro frontale. Tuttavia, come ho già detto all’inizio, i mercati – fiancheggiati dalle istituzioni Ue – non sono prevedibili, sono caotici, e gli operatori si muovono in ordine sparso e in maniera cieca. Nell’economia di mercato non esiste l’ottimo di Pareto, cioè una soluzione stabile e razionale che conviene a tutti al massimo livello possibile. Cioè che è razionale dal punto di vista collettivo non lo è affatto dal punto di vista individuale. La mossa di un solo investitore può scatenare bruscamente un disastro economico. Un fatto è certo: in queste condizioni per l’Italia non esiste una strada facile e sicura per uscire dalla crisi del debito e rilanciare l’economia. Tuttavia esistono delle soluzioni meno rischiose è più praticabili di altre.

La soluzione migliore sarebbe certamente quella di sganciarsi per quanto possibile dalle speculazioni degli investitori, e che lo Stato italiano si riappropri, almeno in parte, della sua sovranità monetaria per finanziare la ripresa dell’economia di cui abbiamo bisogno come dell’aria. La soluzione potrebbe essere che lo stato, nel rispetto delle regole dell’eurozona, emetta autonomamente un titolo facilmente convertibile in euro, ovvero una quasi-moneta (così si chiamano in gergo i titoli molto liquidi, cioè subito convertibili in denaro sonante) nazionale. La soluzione è realmente realizzabile: lo Stato potrebbe infatti emettere dei Titoli di Sconto Fiscale per qualche decina di miliardi di euro senza metterli all’asta sul mercato primario dove le grandi banche d’affari comprano il nostro debito pubblico fissando di volta in volta lo spread. Lo Stato potrebbe, invece, assegnare gratuitamente e direttamente i TSF a famiglie, enti pubblici e imprese. I TSF servirebbero a pagare le tasse, i contributi, multe, tariffe pubbliche ecc, ma, per non generare un immediato buco fiscale, maturerebbero – cioè sarebbero utilizzabili – solo al quarto anno dall’emissione. Questi titoli negoziabili potrebbero però essere subito convertiti in euro, proprio come lo sono i Bot e i Btp.

La nuova liquidità assegnata a famiglie, imprese e enti pubblici ridarebbe ossigeno all’economia. In questa maniera lo Stato eviterebbe lo spread e rilancerebbe direttamente la domanda aggregata (investimenti, consumi, spesa pubblica) e, quindi, la produzione e l’occupazione. In Italia infatti non mancano le capacità produttive. Quello che manca è la moneta per rimetterle in moto. Se la nuova moneta messa in circolazione con l’assegnazione dei TSF fosse spesa bene, grazie al moltiplicatore fiscale e alla crescita dell’inflazione dovuta all’aumento della domanda, in tre anni il Pil crescerebbe in misura tale che al quarto anno – nel momento dell’utilizzo effettivo degli sconti fiscali – ci sarebbero entrate fiscali tali da più che compensare l’emissione iniziale. Lo Stato non ha, quindi, bisogno di indebitarsi con i mercati: può finanziarsi da solo. E può farlo senza uscire dalle (stupide) regole dell’euro: infatti, i TSF non sono moneta, e, come strumento fiscale, sono perfettamente compatibili con il trattato di Maastricht.

Zonaeuro | 23 ottobre 2018

 

 

 
 
 

Italiani popolo di formiche: cosa c’è dietro la crescita dei risparmi

Post n°4327 pubblicato il 22 Ottobre 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 22 ottobre 2018, di Alessandra Caparello

 

Crescono i risparmi delle famiglie italiane che vuoi la crisi politica, vuoi le tensioni finanziarie, decidono di lasciare il loro denaro sui conti con la conseguenza che aumentano le riserve in banca cresciute in 12 mesi di oltre 50 miliardi di euro mentre i c/c arrivano a sfondare il tetto dei mille miliardi.

Questi i dati principali che emergono dalle ricerca del Centro studi di Unimpresa sull’andamento delle riserve delle famiglie e delle imprese italiane, secondo la quale, in totale, negli ultimi 12 mesi nei conti correnti sono stati accumulati 74 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Nel dettaglio, dice il rapporto, le famiglie non spendono e hanno lasciato in banca 26,1 miliardi in un anno (+2,77%), così anche le aziende i cui fondi sono cresciuti di circa 20 miliardi (+7,95%), e di oltre 4 miliardi invece le imprese familiari (+7%).

“Da diversi anni registriamo questo preoccupante andamento dei depositi bancari. A frenare consumi, investimenti e credito sono rispettivamente la paura di nuove tasse e l’assenza di certezze sul futuro, nell’ultimo periodo si è aggiunta anche qualche preoccupazione sul fronte politico per l’instabilità del governo”.

Così il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. Questi dati arrivano mentre la Consob mette in luce come le scelte di investimento degli italiani sono ancora segnate da una scarsa conoscenza dei concetti base della finanza. Nel rapporto  sulle scelte di investimento delle famiglie italiane per il 2018, l’Autorithy  evidenzia che la ricchezza netta delle famiglie rimane stabile sui livelli del 2012 attestandosi a 9 volte il reddito disponibile, sopra la media Ue ma i risparmiatori italiani sono “affetti” da un cronico ritardo in termini di educazione finanziaria. Solo il 50% degli intervistati ha dichiarato di comprendere il significato di nozioni di base  come inflazione, relazione rischio/rendimento, diversificazione, mutui e interesse composto, mentre solo il 20%ha risposto correttamente su temi come relazione prezzo/tassi di interessi delle obbligazioni e rischiosità delle azioni. Solo il 20% degli intervistati infine manifesta la volontà di voler accrescere le proprie competenze, con una maggiore frequenza tra le donne.

 

 
 
 

Il debito pubblico è davvero colpa di socialisti e Dc?

Post n°4326 pubblicato il 20 Ottobre 2018 da ninograg1
 

Fonti: Il Fatto Quotidiano (come indicato nello stesso post) su Economia e Politica Economia & Lobby | 20 ottobre 2018 

di Domenico Moro

I trattati europei e l’euro, imponendo austerità e inibendo l’implementazione di politiche economiche su misura per le necessità dei singoli Paesi, hanno ottenuto il risultato opposto a quello previsto dai decisori politici e dalla dirigenza della Banca d’Italia negli anni 80 e 90: il debito pubblico italiano è aumentato.

Il debito pubblico è in Italia uno dei temi principali, se non il principale, attorno al quale ruotano il dibattito economico e le scelte politiche. Il debito pubblico, giudicato eccessivo, è stata una delle motivazioni per l’adesione all’euro e ai trattati europei, allo scopo di costringere governi e parlamenti a una maggiore disciplina di bilancio, incidendo anche oggi sulle scelte di spesa e di politica economica. La maggior parte del debito pubblico attuale si è formata tra l’inizio degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, raddoppiando dal 59,9% sul Pil del 1981 al 124,9% del 1994. Nonostante i vincoli europei alla spesa pubblica, oggi il debito risulta superiore ai livelli dei primi anni 90, raggiungendo il 131,8% sul Pil contro il 75,7% della media Ue e il 79% della media dell’area euro, ed essendo inferiore in Europa al solo debito greco.

L’obiettivo del presente post è capire perché il debito è raddoppiato tra 1981 e 1994 e perché successivamente non si è riusciti a ridurlo in modo significativo e duraturo.

Fig. 1 – Andamento del debito pubblico di Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Spagna (in % sul Pil; 1861-2017)

Bisogna premettere che l’Italia è caratterizzata storicamente, sin dai primi decenni dopo l’Unità, da un debito pubblico relativamente alto rispetto al Pil, in conseguenza delle ingenti spese sostenute per lunghe guerre d’indipendenza, per la politica coloniale, l’organizzazione di una amministrazione nazionale e il sostegno pubblico dell’accumulazione autoctona di capitale.

Tuttavia, il divario con gli altri grandi Paesi europei non è mai stato né così ampio né così completo come nell’ultima fase storica, compresa tra il 1982 e il 2017 (Fig.1). Ad esempio, nell’ultimo ventennio del XIX secolo il debito pubblico italiano era in linea con quelli spagnolo e francese e, tra 1915 e 1945, nonostante le enormi spese dovute al continuo stato di guerra (Prima e Seconda guerra mondiale, Libia, Etiopia, Spagna) e la socializzazione delle perdite del capitale bancario e industriale durante la Grande crisi degli anni 30, rimase ben al di sotto di quello britannico e francese. Anche tra il 1945 e il 1975 il livello del debito rimase abbastanza basso e non troppo dissimile da quello degli altri Paesi.

L’interpretazione prevalente, ormai radicata nel senso comune, attribuisce il raddoppio del debito pubblico all’eccesso di spesa da parte dei governi socialisti e democristiani degli anni 80, dovuta in particolare alla corruzione e al clientelismo. Un’altra interpretazione riconduce l’accumulo del debito al saldo negativo del rapporto entrate/spese, quindi a un eccesso di spesa relativamente alla scarsità di entrate, dovuta alla bassa pressione fiscale e/o alla evasione ed elusione fiscale.

Fenomeni di corruzione e di clientelismo si sono verificati e hanno inciso sull’efficienza e sulla redistribuzione della spesa pubblica tra le classi sociali, ma non sono stati determinanti per la crescita del debito in rapporto al Pil.

Continua su Economia e Politica

Economia & Lobby | 20 ottobre 2018

P.S.

Vi suggerisco caldamente di leggere la seconda parte... quella più gustosa che sfata miti, leggende, e... caxxate dette e scritte in questi anni

 

 
 
 

Italiani euroscettici? Buttiamo via gli ideali e ci teniamo pure l’acqua sporca

Post n°4325 pubblicato il 18 Ottobre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Zonaeuro | 18 ottobre 2018 

 

 

Beni, bravi, bis. Ci stanno riuscendo, ci sono riusciti. Con una variazione, buttare via il bambino e tenersi l’acqua sporca. Lo sancisce il sondaggio che ci restituisce l’immagine di un’Italia legata alla moneta e scollegata dai valori. Davvero una specie di appendice dei paesi di Visegrad. Legata dalla paura per i propri risparmi e per il proprio tenore di vita ad una moneta, ritenuta sbagliata dalla gran parte della meglio economia, ad una congerie di numerini e parametri ritenuti stupidi dagli stessi ideatori, o sbagliati dagli stessi elaboratori.

Ma una moneta, ma parametri che ci vengono ogni giorno ribaditi come irreversibili, indispensabili, inalterabili, con un martellamento propagandistico a base di titoloni sullo spread se sale e titolini sullo spread se scende. Una moneta talismano da avere in tasca anche se la misura della saccoccia si fa più stretta di anno in anno, chissà cosa potrebbe accadere dovessimo perderla. Ma talmente stufa di come ha vissuto questi vent’anni, che ci erano stati spacciati come il bengodi, da essere pronta a rinunciare alla costruzione complessiva. Altro che generazione Erasmus!

Così come siamo riusciti a buttare il bambino della idealità comunista, gli uomini son tutti uguali, insieme all’acqua lurida di sangue dei suoi realizzatori, adesso siamo pronti a buttare il bambino che ci unisce di fronte a una chiesa cistercense, a una cantata del protestante Bach in una chiesa cattolica, a un romanzo pietroburghese o a una tragedia del Bardo, alle colonne doriche da Agrigento a Paestum ad Atene, ai semicerchi dei teatri da Merida a Trieste. A buttare l’Europa, questo faticoso, sanguinoso, esperimento di cultura comune in mezzo alle guerre e alle rovine che sempre sa riallacciarsi rinnovandosi. Ma a tenerci l’acqua sporca di una moneta che a creare tutto questo non ha contribuito, semplicemente perché non c’era e non se sentiva il bisogno.

Cioè qualcuno sapeva perfettamente a cosa sarebbe servita, e ce lo ha pure detto. Eccoci quindi qui pronti. Guardate che può succedere. E’ già successo tra i nostri cugini al di là della cortina di ferro, riapprodati alla democrazia ma incapaci di apprezzarla fino in fondo. Grandi privazioni ti privano di ogni senso di comunanza. Pronti al 60%. Senza riflettere sulla scelta. E come se fossimo pronti a ripudiare chi disse lasciate che i bimbi vengano a me perché lo sbocco sono talvolta le distopie di Gilead e Pillon, talvolta gli orchi in tonaca, invece di limitarci a respingere i disegni di legge e incarcerare gli orchi.

E quindi che facciamo? Continuiamo a tenerci cara la moneta, e a buttare tutto il mondo in cui siamo cresciuti. Oppure ci liberiamo del bubbone e proviamo a curare il resto del corpo. Che volete fare?

Zonaeuro | 18 ottobre 2018

 

 

 

 
 
 

Una proposta alternativa per abbattere il debito

Post n°4324 pubblicato il 17 Ottobre 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 16 ottobre 2018, di Daniele Chicca

 

L’idea originale per abbattere la montagna di debito pubblico italiano, superiore al 130 del Pil, si poggia su due fondamenta principali: allungare la vita media del debito, incrementando i Btp a tasso fisso, per approfittare dei tassi di interesse ancora (per poco) storicamente molto bassi, e aumentare le riserve auree per “incominciare la produzione di un supercarrier di ultima classe”.

L’ha avanzata l’imprenditore e investitore Marco Venti sul suo profilo sul social media Quora nel rispondere a una domanda sul come mai in Italia nessun partito abbia mai proposto di usare una parte delle riserve auree per ridurre il debiti. Un’altra opzione per risparmiare è quella di smettere di fare hedging con gli Interest Rate Swap (IRS), una strategia che come si può vedere “ha comportato perdite per €38miliardi, ora scese a ‘soli’ 32″.

“Oppure potremmo comprare HMS Queen Elizabeth (R08) o HMS Prince of Wales (R09) dagli inglesi, visto che pare che stiano avendo problemi con il budget della difesa e la Brexit sembra rivelarsi una scelta infelice”: tutto ciò comporterebbe un grosso deficit, ma anche molta occupazione.

L’inflazione abbatterebbe così il peso del debito e “si spera che con la ripartenza dell’economia si intravedano aumenti di salari reali. “Se qualche folle volesse poi uscire dall’euro, a questo punto avremmo molto debito detenuto in mano agli italiani, una buona difesa grazie al supercarrier – sarebbe lì solo per scena, come a dire, con gli italiani non si scherza – e le maggiori riserve auree a cui eventualmente ancorare parzialmente la moneta per non avere carta straccia”.

Allungare la vita media del debito pubblico

Si tratta di fantapolitica, chiaramente, ma con il secondo debito più alto dell’area euro, i margini di manovra e negoziazione con Bruxelles sono ridotti al lumicino come scopriremo nelle prossime due settimane in cui la legge di bilancio appena approvata passerà al vaglio della Commissione Europea. Le cose devono cambiare se l’Italia vuole ambire a qualcosa di più di una crescita del Pil dell’1% circa.

Allungandone le scadenze si può consentire al governo di spendere di più ora e meno in futuro, quando diventerà più caro il costo del denaro. Farei passare una legge secondo la quale i BTP a scadenza più elevata vengano tassati allo 0,0 o niente se si è cittadino italiano e si porta il titolo a scadenza, oppure al 50% se vendi entro 2 anni, al 35% se si vende prima di 5 anni, al 25% se si vende prima di 7, al 18% prima di 10″.

In questo modo, scrive sempre Venti, “sia i fondi pensione che i risparmiatori avrebbero incentivi a tenere i titoli più a lungo e a supportare il nostro Paese, mentre gli speculatori che giocano sul nostro debito si vedrebbero dimezzati i potenziali guadagni”.

Riserve auree per costruire infrastrutture

La terza economia dell’area euro ha un enorme debito pubblico, per finanziare il quale spende più di 70 miliardi di euro l’anno. In compenso ha immense riserve auree (le quarte al mondo), pari a 2.451 tonnellate d’oro, ossia 100 miliardi di euro.

Il problema è che le riserve auree sono una voce di stato patrimoniale in attivo, quindi andare ad attingere da quelle risorse per pagare la spesa su interessi permetterebbe di conservare 30 miliardi su 100, ma non contribuirebbe a ridurre lo stock del debito, voce di stato patrimoniale in passivo, che rimarrebbe perfettamente invariato.

Le spese per interessi sono una voce di conto economico, quindi ricorrente al contrario di quelle patrimoniali, in passivo. I €100miliardi di riserve auree potrebbero invece, suggerisce Venti, “essere utilizzati per pagare il debito ma che puoi usare per costruire strade, ospedali” e altre infrastrutture. “Potresti semplicemente cedere riserve auree e poi costruire queste opere”.

 

 
 
 

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