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Messaggi di Gennaio 2019

Cottarelli, l’economia commette un grosso errore. E Di Maio l’ha capito

Post n°4375 pubblicato il 21 Gennaio 2019 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Economia & Lobby | 21 Gennaio 2019 

Vorrei parlare di due persone: il professor Carlo Cottarelli e Aurelio Peccei.

Il professor Cottarelli non abbisogna di presentazione. Persona dalla evidente correttezza e integrità professionale, oltre che competenza, lo stimo moltissimo, così come la grande maggioranza dei nostri connazionali. Aurelio Peccei pochi lo conoscono, ma è stato un grande, grandissimo italiano, un nome da Premio Nobel. Ne parlo anche in relazione a una piccola vicenda personale che mi ha portato nel 1984 a un contatto con lui che mi rimarrà sempre impresso. Fu uno dei più grandi italiani del secolo scorso; una persona poco conosciuta ma grandiosa, che aveva posto l’uomo al centro dell’Universo. Aurelio Peccei, il fondatore del Club di Roma cui si deve il libro I limiti dello sviluppo.

Circa 35 anni fa, quando – giovane 42enne, pieno di impulsi conoscitivi – mi era interessato della sorte dell’oro (bene rifugio per eccellenza), era l’epoca in cui avvenivano dei cambiamenti sensibili nel mondo arabo, a seguito di una forte evoluzione del prezzo del petrolio che faceva affluire oro a palate nelle casse arabe. Avevo scritto un piccolo studio che andavo raccontando in diversi Rotary e diversi Lions club. Ero un ingegnere, non un economista e percepivo qualcosa al di fuori degli schemi in voga: raccoglievo consensi. Ma portavo in me una rilevante incertezza. Pensai di mandare queste mie idee ad Aurelio Peccei, che non avevo mai conosciuto, ma che per me era una figura di grandissimo valore e di grande umanità concreta. Gli chiesi, se possibile, un parere su quelle idee.

Con mia grande sorpresa, nel giro di una settimana mi rispose con una bellissima lettera che conservo gelosamente e il cui contenuto costituisce la ragione di questo mio post sul Fatto Quotidiano. Mi disse:

a) apprezzo e condivido le valutazioni da lei fatte sui problemi dell’oro (e, devo dire, trassi un bel sospiro di sollievo); b) stiamo varando e lanciando una iniziativa di studio macropolitico a Ginevra chiamata Forum Humanun. La invito a prendere contatto e a parteciparvi; c) voi economisti commettete tutti quanti un grosso errore: ritenete che l’economia costituisca il “grosso” della politica. Non è così, l’economia è semplicemente un mezzo per avvicinarci il più possibile alla felicità di tutti, per raggiungere la quale, però, esistono altre tematiche forse più importanti dell’economia, quali la giustizia, la sicurezza, la cultura, l’equità, la qualità della vita, l’utilizzo delle risorse terrestri e umane.

Circa il Forum Humanum dovetti rinunciarci. Avevo da poco abbandonato la carriera manageriale (a 39 anni ero un vicedirettore Fiat) per intraprendere, per mia scelta di vita, quella di consulente indipendente per la direzione aziendale e, con due figli piccoli, dovevo stare molto attento a impostare bene questa scommessa. Ma l’osservazione di cui al punto c) fu per me una vera a propria svolta filosofica. E così torniamo al professor Cottarelli.

La realtà è molto semplice: Cottarelli sta a Peccei come un radiologo sta ad un medico curante. Cottarelli ricopre un ruolo (molto dignitoso e assolutamente necessario, per carità) di formatore professionale delle informazioni e di controllo di ciò che avviene a fronte delle previsioni adottate; Peccei studiava e forma le previsioni. Non solo, mentre Peccei pensava e “prevedeva” esplorando al meglio tutti i settori che compongono la vita politica di un Paese, se togliamo lo scenario puramente “contabile-amministrativo” Cottarelli è sostanzialmente cieco.

Ma dove sta il busillis (la difficoltà)? Sta in un vezzo che discende da un’abitudine antica e ingannevole di confondere, specie in Italia, l’economia con la sola componente amministrativa. È un classico: discende da come è impostata la cultura nelle nostre scuole di economia. Qualche sera fa, seguendo la trasmissione di Di Martedì, fui molto colpito dalla tensione quasi rabbiosa fra Giovanni Floris e Cottarelli da un lato e Luigi Di Maio dall’altro. Era straevidente che si assisteva allo scontro fra due mondi che non comunicavano fra di loro. A mio parere Floris e Cottarelli recitavano un ruolo legato a un approccio tradizionale, vecchio, anche se corretto e necessario, sia ben chiaro; ma Di Maio parlava un altro linguaggio, suonava un’altra musica. E Floris e Cottarelli – due ottimi professionisti dalla evidente onestà intellettuale – non lo capivano.

Chissà come andrà il futuro, ma una cosa è sicura. Ed è che questo governo gialloverde ha avviato un approccio del tutto nuovo ed è anche sicuro che io sono dalla sua parte. Ed è pure opportuno che questa strabordante ossessiva presenza della parola “economia” nei problemi di politica (che poi è ormai diventata “finanza” ancor più che “economia”) ha un riscontro pazzesco nella realtà umana: ha concentrato la ricchezza sempre di più su una parte piccolissima della popolazione terrestre e ha dilatato a dismisura la povertà in tutta la restante parte: bingo, dottor Peccei!

Economia & Lobby | 21 Gennaio 2019

 

 

 
 
 

La Groenlandia che si scoglie piu' velocemente che mai

Post n°4374 pubblicato il 18 Gennaio 2019 da ninograg1
 

Fonte: No all'Italia petrolizzata Thursday, December 27, 2018


La Groenlandia si scioglie a ritmi mai visti prima, e vince ogni record per la perdita di massa di ghiaccio che finisce nei nostri mari.

Ogni anno, secondo un recente studio pubblicato su Environmental Research Letters e condotto da un team di scienziati dagli USA, Cile, Canada, Norvegia e Olanda dalla Groenlandia, arriva in oceano l'equivalente un millimetro in piu' di innalzamento dei livelli del mare, solo dalla Groenlandia.

Lo scioglimento delle nevi di questa isolona danese e' piu veloce di piu' di quanto sia mai stato negli scorsi 7,000 anni, i tempi a noi accessibili per studio e paragone.

Ci sono qui in totale 650,000 metri cubi di ghiaccio che si sciolgono a ritmi  50% piu' veloce che in tempi pre-industriali. 

Uno dira': e' solo un millimetro, ma questo vuol dire che in dieci anni avremo un centimetro di innalzamento dei livelli del mare dalla sola Groenlandia.

Ovviamente non c'e' solo la Groenlandia.

Secondo la NASA in totale ogni anno i livelli del mare si innalzano di 3 millimetri in totale. I ghiacciai, dall'Artico, dall'Antartico, si sciolgono e l'acqua allo stato liquido occupa piu volume che allo stato solido.  Il tutto procede a ritmi galoppanti.

La Groenlandia (e l'Artico) sono le regioni piu' fluide, ma anche l'Antartico contribusce. Anzi, e' considerata una bomba inesplosa, nel senso che gli effetti sono piu' lenti, per cui il futuro sara' peggiore del presente.


Per ora i numeri sono i seguenti:

Artico: 447 miliardi di tonnellate di ghiacchio in meno -- 14,000 tonnellate di acqua in piu' per secondo, dal 2005 al 2015, almeno.  Fra il 1986 e il 2005 il tasso era di 5,000 tonnellate al secondo.
Per cui la perdita di ghiaccio dall'Artico si e' triplicata dal 1986.

Antarctico: 219 miliardi di tonnellate di ghiaccio in meno ogni anno dal 2012 al 2017.

In totale: ogni anno perdiamo 666 miliardi di tonnellate di ghiaccio dai poli terrestri.

Lo scioglimento continua anche nei mesi invernali perche' le onde dell'oceano Atlantico, dovute a forti venti invernali, sono in realta' calde abbastanza da far sciogliere il ghiaccio. Le acque calde entrano cosi' nei fiordi e vicino ai ghiacciai sciogliendo anche le nevi in profondita'.  

E questo e' solo l'inizio. Ovviamente non sappiamo niente delle dinamiche future: se tutto questo scioglimento attuale accellerera' ancora quelli futuri, se ci saranno effetti domino e se tutto procedera' a ritmi ancora piu' devastanti.

Intanto, il resto del pianeta sembra non preoccuparsene, finche' un giorno sara' troppo tardi.

 

 
 
 

Germania: estrema destra rompe tabù e minaccia la Dexit

Post n°4373 pubblicato il 15 Gennaio 2019 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 15 gennaio 2019, di Alessandra Caparello

 

L’estrema destra populista tedesca, AfD (Alternative für Deutschland) rompe un tabù e minaccia l’uscita della Germania dall’euro se Bruxelles non accetterà un pacchetto di riforme shock che prevede tra le altre cose l’eliminazione del parlamento europeo.

Mentre il parlamento britannico si prepara al voto cruciale sulla Brexit oggi, l’estrema destra della Germania lancia la Dexit, Deutschland exit. Nel corso di un congresso tenutosi  a Riesa in Sassonia, i delegati del partito hanno votato un manifesto elettorale per le europee 2019 che prevede di fare campagna per il divorzio tra Berlino e la Ue solo “come ultima risorsa” se Bruxelles non esegue riforme fondamentali “in tempi adeguati”. E la prima volta nella storia tedesca del dopoguerra che un partito politico ha osato suggerire di far saltare in aria l’adesione della nazione all’UE.

Il manifesto di AfD prevede alcuni punti di rottura tra cui quello più eclatante l’abolizione del Parlamento europeo, indicato come un organismo di 751 membri privilegiati che si intromette nel potere legislativo, competenza esclusiva degli stati membri. La destra tedesca però non mette in discussione né la valuta unica né il disegno di integrazione economica che la sostiene. Joerg Meuthen, unico deputato Afd attualmente presente al Bundestag, “uscire dalla Ue non è lo scopo dell’Afd”.

Ma diciamo: è l’ultima opzione. Se le nostre fondamentali proposte di riforma non dovessero essere realizzate in un periodo di tempo ragionevole, allora consideriamo l’uscita della Germania dalla Ue come un’opzione necessaria”.

Fortemente critico il leader del Ppe, Manfred Weber:

Alternative fuer Deutschland ha rivelato la sua vera identità, è il partito della brexit tedesca ed è a tutti chiaro quanto caos e instabilità siano provocati dall’uscita di Londra dall’Ue, soprattutto alla Gran Bretagna. Chi non vuole questo caos e questa instabilità non deve votarli.

 

 
 
 

Eurozona, aumenta paura recessione in Italia e Germania

Post n°4372 pubblicato il 14 Gennaio 2019 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 14 gennaio 2019, di Daniele Chicca

 

In Eurozona aumentano i timori di una recessione dopo che gli ultimi dati macro hanno evidenziato una contrazione inaspettatamente accentuata della produzione industriale. L’indice relativo è sceso dell’’1,7% a novembre su base mensile, a fronte di un calo dell’’1,5% previsto dagli analisti.

La rilevazione di ottobre è stata rivista leggermente al ribasso a +0,1% dal +0,2% inizialmente comunicato. La variazione su base annua è risultata negativa del 3,3%, contro un consensus del -2,1%. La rilevazione di ottobre indicava invece un rialzo dell’’1,2%.

I numeri aumentano le possibilità che Italia e Germania abbiano attraversato una fase di recessione tecnica – ossia due trimestri consecutivi di contrazione dell’attività economica – a fine 2018. Sia Berlino sia Roma hanno subito cali del Pil nel terzo trimestre (dello 0,2% e dello 0,1% rispettivamente), pertanto si trovano già a metà dell’opera.

ING: “Bagno di realtà crudele per gli economisti”

Bert Colijn, senior economist per l’area euro presso la banca olandese ING, ha la sensazione che alcune delle principali economie della regione possano presto effettivamente sprofondare in recessione. Il calo della produzione industriale sotterra definitivamente le speranze di vedere una ripresa a fine anno.

“I timori di una recessione tecnica nelle economie principali dell’area euro stanno crescendo, facendo fare un bagno di realtà crudele agli economisti“.

Il rallentamento del terzo trimestre è evidente, ma dopo il magro +0,2% di espansione dell’attività si sperava in una ripresa nell’ultimo quarto dell’anno. Le ultime rilevazioni macro dimostrano che è altamente improbabile che questo avvenga.

Quasi tutti gli ultimi sondaggi macro del quarto trimestre sono stati deludenti e i dati sulla produzione confermano questo trend poco incoraggiante per l’economia dell’Eurozona. Non è solo produzione industriale a preoccupare e l’unico spiraglio di luce sembra venire dai consumi, che potrebbero essere stati migliori delle attese.

La paura di una recessione dopo la pubblicazione dei dati macro odierni deprime il sentiment di mercato. Le Borse europee accelerano in rosso dopo i dati deludenti sulla produzione industriale in area euro che alimentano i timori di una recessione nel continente. Il paniere inglese FTSE 100 perde 66 punti (quasi l’1%) mentre il listino italiano FTSE MIB lascia sul campo l’1,25% e il DAX tedesco lo 0,75%.

 

 
 
 

Chi sono i gilet gialli e cosa possono fare alle europee: l'analisi di Alain De Benoist

Post n°4371 pubblicato il 13 Gennaio 2019 da ninograg1
 

Fonte: Informazione consapevole.

Intervista di Francesco Boezi a Alain De Benoist

Di Francesco Boezi
http://www.occhidellaguerra.it

Alain de Benoist, nell’ultima intervista rilasciataci, aveva pronosticato che il populismo, nonostante le battute d’arresto, avrebbe continuato a far parlare di sé. A sei mesi dalle elezioni europee, abbiamo intervistato di nuovo il politologo e saggista francese. 

Alain de Benoist, lei ha teorizzato in tempi non sospetti che il raggio d’azione del populismo fosse destinato a proseguire nel tempo. I gilet gialli rappresentano questa continuazione?
 
“Sì, evidentemente. Il politologo Vincente Coussedière parla di ‘populismo del popolo’ per designare una forma d’azione e di rivendicazione spontanea diversa da quella dei partiti e dei movimenti abitualmente definiti ‘populisti’. Questa espressione si applica in modo esemplare ai gilet gialli, la cui caratteristica principale è di essere apparsi quando nessuno se l’aspettava e tenendosi sdegnosamente lontani da sindacati e partiti. La continuità del movimento, la sua natura ‘sotterranea’, inafferrabile, il ruolo di primo piano che giocano le donne, il suo carattere contemporaneamente sociale e patriottico sono alcuni altri tratti che lo distinguono da tutti i movimenti sociali precedenti”.

Se lei dovesse inquadrare i gilet gialli all’interno di un movimento politico, li accosterebbe al Front National oppure ritiene che possa esistere pure una certa simpatia provata nei confronti di Mélenchon?


“Secondo i sondaggi, è il Rassemblement di Marine Le Pen che dovrebbe beneficiare del maggior numero dei voti dei gilet gialli alle prossime elezioni, ma la Francia ‘renitente’ di J.-L M. dovrebbe, allo stesso modo, trarne beneficio. Detto questo, non bisogna dimenticare che la grande maggioranza dei gilet gialli non aveva, fino ad oggi, mai conosciuto un impegno politico. La maggior parte di loro manifesta per la prima volta. Alcuni di poro potrebbero avere la tentazione di presentare una lista indipendente alle prossime elezioni europee ma a mio avviso sarebbe un errore. Il solo risultato sarebbe dividere l’opposizione”.

La presidenza Macron è destinata a durare? 


“È protetto dalle istituzioni della V repubblica ma in questa situazione per lui sarà molto difficile continuare a governare. Ci sarà un ‘prima’ e un ‘dopo’ gilet gialli, tanto più che le cause della rivolta sono ancora là. Emmanuel Macron è stato collocato a capo dello Stato con il sostegno attivo dei mercati finanziari e degli oligarchi, che si aspettano da lui che imponga le ‘riforme’ che dovrebbero adattare la società francese alle esigenze dell’Unione europea. Questo programma implica inevitabili misure di austerità delle quali le classi popolari e la parte di classe media che, al giorno d’oggi, è sulla via del declassamento, e persino della sparizione, non vogliono più sentire parlare”.

I gilet gialli influenzeranno anche altre nazioni d’Europa? Se sì, come e quali?


“Si è immediatamente constatato un effetto di contagio: subito in Belgio e nei Paesi Bassi, poi in Portogallo, in Romania, in Bulgaria e persino in Iraq. Ho visto, di recente, che il governo italiano ha egli stesso manifestato la sua simpatia nei confronti dei gilet gialli. Ma, nell’immediato, si tratta soprattutto di iniziative imitative. Anche le condizioni particolari di ciascun paese esercitano un ruolo”.

Come sta il populismo in Europa? 


“Il populismo in Europa (e altrove) è il fenomeno politico più innovativo degli ultimi trenta anni. È una modalità di articolazione della domanda politica e sociale che parte dalla base e, in una prospettiva contro-egemonica, si indirizza contro delle élite considerate separate dal popolo e sollecite soltanto dei loro privilegi. L’insorgenza dei populismi s’accompagna dappertutto al declino dei vecchi partiti istituzionali, che erano i vettori della divisione destra-sinistra, cui succederanno divisioni nuove. Non è ancora venuto il momento di tracciare un bilancio di questa ondata di populismo, ma è chiaro che è chiamata ad amplificarsi ancora nei prossimi anni”.

Gli analisti sostengono che l’asse franco-tedesca sia entrata in crisi. Lo ritiene corretto? Verso quali cambiamenti stiamo andando incontro in termini geopolitici?


“A parte rare eccezioni recenti, l’asse franco-tedesco è sempre stato in crisi. In passato, è stato dominato dalla Francia perché la Germania, divenuta un gigante economico, rimaneva un nano politico. Dalla caduta del sistema sovietico e la riunificazione, è il contrario. La Germania ha imposto le modalità di adozione dell’euro. Si rende conto che la Francia non riesce a realizzare le riforme e che è sempre più isolata nello scenario internazionale. Questa situazione suscita nella Germania la tentazione di porsi come principale alleato degli Stati Uniti. Ma, nello stesso tempo, l’indirizzo politico tedesco si evolve, lentamente come sempre in quel Paese. Angela Merkel si appresta a lasciare il potere e nessuno sa ancora per davvero chi le succederà”.

Le elezioni di medio-termine hanno sancito una parziale tenuta di Donald Trump. Pensa che il Tycoon possa confermarsi nel 2020?


“È difficile da dire. Trump, che è un personaggio imprevedibile, ha contro di lui dei poteri considerevoli, tutti più o meno legati all’establishment di Washington e ai rappresentanti dell’ideologia dominante. Ma vanta anche importanti riserve di voti nell’ “America profonda”. Non ha affatto deluso i suoi elettori, malgrado il suo stile spesso stravagante e i suoi ripensamenti inattesi. Sul piano economico e sociale, ha invece ristabilito la situazione. I suoi orientamenti in politica estera sono più criticabili, ma questo non interessa il suo elettorato. Inoltre, sul fronte democratico, non si vede chi potrebbe opporsi a Trump. Bisogna aspettare di saperne di più”.

Articolo completo su Occhi della guerra


 
 
 

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