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Messaggi di Ottobre 2019

Elezioni Usa: per Moody’s Trump vincerà le Presidenziali 2020

Post n°4513 pubblicato il 17 Ottobre 2019 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 16 Ottobre 2019, di Mariangela Tessa

 

Nonostante il rischio impeachment, il presidente Usa Donald Trump avrebbe al momento tutte le carte in regola per vincere le Elezioni presidenziali del 2020.

Lo dicono tre diverse simulazioni economiche di Moody’s Analytics, secondo cui la vittoria del collegio elettorale dell’inquilino della Casa Bianca sui democratici sarà più schiacciante rispetto a quella del 2016 contro Hillary Clinton (289 voti sopra il punteggio di 304-227 di tre anni fa). ​Unica possibilità per i democratici di ribaltare la la situazione è che si registri un’impennata dell’affluenza al voto.

I tre modelli messi a punto dall’agenzia Usa si basano sulla percezione dei consumatori circa la propria situazione finanziaria, i guadagni ottenuti dal mercato azionario durante il mandato di Trump e le prospettive di disoccupazione, che è scesa ai minimi storici da 50 anni. Si tratta di un sistema testato dagli anni Ottanta. E che ha sempre centrato il risultato finale, tranne che nel 2016.

“Se l’economia tra un anno sarà la stessa di oggi, o più o meno così, dunque il potere dell’incombenza è forte e le probabilità elettorali di Trump sono molto buone, in particolare se i democratici non saranno entusiasti e non voteranno”, ha dichiarato Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics. “Tutto sta nell’affluenza” conclude.

 

 
 
 

Per gli economisti il mercato è infallibile. Peccato ci abbia regalato l’ineguaglianza cronica

Post n°4512 pubblicato il 13 Ottobre 2019 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby - 13 Ottobre 2019 Loretta Napoleoni

 

Non è troppo presto per fare un bilancio spassionato delle teorie economiche che dal Dopoguerra hanno influenzato la politica mondiale. L’economia fino agli anni Sessanta era poco più di un sistema di contabilità e gli economisti erano rilegati nei retrobottega di banche e imprese finanziarie a riempire di numeri tabelle che nessuno si curava di consultare. Tutto è cambiato negli anni Settanta con l’avvento dei Chicago Boys.

Economia ed economisti sono diventati pop, apparivano in televisione, venivano consultati da ministri e premier e facevano notizia. Milton Friedman ristrutturò l’economia cilena per Pinochet e per questo tipo di operato vinse il premio Nobel; Il Nobel venne anche dato ad un altro “luminare” della scuola di Chicago, Robert Lucas, l’uomo che nel 2008, poche settimane prima dello scoppio della maggiore crisi economica e finanziaria dal 1929, dichiarò che l’economia mondiale era sanissima. Altri nomi illustri che hanno rivestito posizioni importantissime a livello economico mondiale e che hanno fatto previsioni altrettanto errate sono: Alan Greenspan, ex governatore della Riserva Federale Americana, e il suo successore Ben Bernanke. Entrambi, fino al crollo della Lehman Brother, ripetevano che non c’era nulla di cui preoccuparsi.

Chi era al timone dell’economia e della finanza mondiale non ha capito nulla della crisi anche dopo il suo scoppio. Mervyn King, governatore della banca d’Inghilterra, era certo che i salari nel Regno Unito e nel resto del ricco Occidente sarebbero cresciuti esponenzialmente, intanto oltreoceano Greenspan annunciava un lungo periodo di inflazione a doppie cifre. Ancora adesso Jay Powell, governatore in carica della Fed, ammette di non capire perché i salari non salgano. Per aiutarlo dovrebbe guardare questo grafico.

Dagli anni Settanta gli economisti predicano la magia del mercato: in altre parole questo è infallibile. I bei risultati del mercato sono visibili nella differenza tra il reddito reale e i salari, una massa immensa di denaro che le élite, un tempo definito capitale, ha intascato. Il liberismo ci ha regalato l’ineguaglianza cronica. Ed ecco perché i salari non aumentano, la ricchezza non viene redistribuita ma investita sul mercato finanziario, dove gli indici non fanno che crescere e generare fiumi di denaro per chi ha la fortuna di poter investire in borsa. E quando le cose vanno male, le banche centrali corrono alle presse e stampano nuova moneta, altri fiumi di denaro che le banche incanalano verso piazza Affari.

Per agevolare il corso del denaro verso i settori finanziari c’è anche la manovra fiscale. Ai livelli dei tassi d’interesse odierni, cioè bassissimi, nazioni come gli Stati Uniti dovrebbero rimodernare tutte le infrastrutture, e cioè lanciare un enorme piano di lavori pubblici pagato con l’erario dello Stato, e invece non succede. Donald Trump piuttosto ha tagliato le tasse per un valore di 1.600 miliardi di dollari ai più ricchi, dichiarando che l’effetto a cascata avrebbe fatto ricadere tale ricchezza sulle classi meno abbienti, un fenomeno che i liberisti continuano ad aspettare con fede messianica come l’avvento del messia.

Sulla base di questo bilancio forse non sarebbe male tornare agli anni Sessanta e restituire agli economisti, e tra questi c’è anche chi scrive, il titolo di semi-contabili e farli giocare nei retrobottega con le loro teorie ad una sorta di Risiko economico: lì di certo non potrebbero più danneggiare nessuno.

 

 

 
 
 

Vajont, 56 anni dalla tragedia. Una profezia sul destino del progresso sfrenato

Post n°4511 pubblicato il 09 Ottobre 2019 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Paolo Martini Ambiente & Veleni - 9 Ottobre 2019

Le grandi tragedie possono insegnare tante cose, eppure sembra che non insegnino nulla. Anche quando se ne parla tanto, e nemmeno troppo a sproposito, come è successo con la diga del Vajont: la lunga voce di Wikipedia Italia contempla persino un “Capitolo 7. Nei media”, con sei paragrafi, dal cinema ai fumetti.

È il sunto specialistico che chiude la dettagliata ricostruzione online della tragica vicenda, dal progetto della gigantesca diga sul torrente Vajont, sotto le Dolomiti tra Veneto e Friuli, al tragico crollo del sovrastante monte Tòc nel bacino artificiale, dove si formò un’onda a tre punte alta 250 metri. Gli esperti paragonarono all’atomica di Hiroshima la bomba d’acqua che causò 1917 morti, la distruzione di Longarone e di varie frazioni dei comuni di Erto e di Casso.

“Di queste case”, per dirla con il Poeta, “non è rimasto che qualche brandello di muro”. E dei tanti che ci corrispondevano? Dal punto di vista giornalistico e della memoria, il Vajont è un paradosso proverbiale del nostro povero Paese. Adesso risulta chiaro a molti il finale di partita della nostra epoca, anche grazie al movimento giovanile dei venerdì per salvare il pianeta. Ma in quegli anni del boom economico, la sensibilità ambientale era ben di là da venire: il Progresso, la Tecnica, lo Sviluppo erano gli angeli del dio Denaro invocati quotidianamente.

Quasi tutti veneravano il sistema che alcuni studiosi, come Jason W. Moore, ora chiamano “Capitalocene” (versione eco-neo-marxista del più neutro Antropocene, vedi l’ultimo numero di Jacobin Italia). Giorgio Bocca, Indro Montanelli, nonché un appassionato di montagne come Dino Buzzati, per prendere i primi tre nomi di “signoroni grandi firme”, celiarono e insultarono l’unica giornalista che ebbe il coraggio di denunciare quel progetto tanto folle in un così fragile ecosistema alpino, l’ex partigiana Tina Merlin, che fu anche autrice di vari libri. Una gran donna, vera e bella, come si vede da Laura Morante che l’ha interpretata nel film di Renzo Martinelli del 2001.

 

Tina era chiamata “la Cassandra del Vajont” dagli illustri colleghi cantori del Capitalocene: scriveva su l’Unità, ancora comunista con la k, in quello scorcio tra seconda metà degli anni Cinquanta e primi Sessanta, quando il capo del Pci era “il Migliore”, Palmiro Togliatti, uno che aveva studiato al Cremlino e parlava tra i primi ai consessi moscoviti. Oggi il caso vuole che l’erede dell’ultimo grande Segretario del Pci, Enrico Berlinguer, abbia ridotto a una macchietta da talk-show Mauro Corona da Erto.

Ma, prima che Bianca Berlinguer lo trasformasse in un tele-orco-oracolante, per rianimare gli ascolti di Raitre, Corona faceva molto bene “solo” lo scrittore, lo scultore e l’alpinista, grazie a un talento che porta le stigmate di quella tragedia in cui si ritrovò appena 13enne, come ha raccontato nelle sue toccanti pagine.

Persino Marco Paolini, che nel 1993 mise in scena con Gabriele Vacis Il racconto del Vajont. Orazione civile, uno dei suoi capolavori, si è ormai un po’ perso via. Il maestro, dopo averci regalato due o tre decenni di ottimo teatro di contenuto politico, è ora lì che s’affanna sul palcoscenico in un improbabile divertissement pseudo-omerico (Il calzolaio di Ulisse), per non dire delle ben due “intemerata” sulle generazioni digitali (Tecnò filò e Numero Primo), genere cazziatone battutista ai figli troppo “Sdraiati” sul divano, da Claudio Bisio con Michele Serra.

Amen, niente potrà mai cancellare i grandi meriti di Paolini, con una serie di spettacoli teatrali di vibrante impegno e di rara efficacia, anche su temi ardui come il disastro aereo di Ustica o il programma nazista di sterminio dei minorati. Di sicuro, quella sua Orazione civile in occasione del trentennale della tragedia di Longarone (che fu poi riproposta in tv) ha rilanciato la memoria di una vicenda che, se non fosse accaduta nello stesso Paese dove l’anno scorso è crollato il ponte Morandi, si potrebbe qualificare tuttora come incredibile.

E, per tornare un attimo a noi, al nostro ormai acclarato “inferno planetario del tardo-capitalismo” (Moore), quel disastro di 56 anni fa appare come un’eccezionale tragica profezia sul destino del modello unico dello Sviluppo. Con tanto di forza simbolica della diga, ovvero dell’idea stessa di contenere e asservire l’elemento primordiale, le acque, in una grande massa di cemento (che poi è la sabbia reinventata dal genere umano moderno, grazie alla chimica, per plasmare la Terra: una sorta di rovesciamento del mito religioso sull’origine dell’uomo creato dalla polvere).

È un monito che evoca ancora: la Natura sfregiata dalla presunzione di una Tecnica che domina oltre ogni limite, anche sul sublime delle cime dolomitiche e di un paesaggio immortalato da Giorgione e Tiziano; l’energia motore di un Progresso che non si deve arrestare dinanzi al rischio; il pensiero unico della Crescita come Bene da edificare, ovvero la Verità umanistica degli Illuminati. E, infine, l’arcana avidità dei potenti che si cela dietro tutto questo, con l’impasto informe e oscuro di politica e interessi privati.

E a proposito di quest’ultimo aspetto, un altro paradosso è che il Vajont non ha quasi per nulla pesato sull’immagine politica del ministro dei Lavori pubblici dell’epoca, Benigno Zaccagnini quando 12 anni dopo, nel 1975, al suo volto anziano e sofferente fu affidata la sorte di un impossibile rilancio morale della Democrazia cristiana. Il mite “Zac” fu messo in campo in quanto figura intonsa di cattolico popolare e di sinistra: era stato addirittura partigiano garibaldino a Ravenna.

Ma, forse proprio perché erano state così azzittite le voci critiche come Tina Merlin e dovevano ancora venire il lavoro di Paolini e la fama di Corona, non pesò come un macigno sulla bianca verginità di Zaccagnini, nel quinquennio da numero uno della Dc, la macchia d’essere stato il ministro del Vajont nel governo Fanfani del 1962-63 (il primo centrosinistra), in qualche modo cioè l’autorità decisiva anche su quella maledetta diga, peraltro proprio mentre la società privata che l’aveva costruita era in fase di nazionalizzazione, come tutta l’energia elettrica.

Sembra una parentesi di troppo, ostica e superflua, questa sul vecchio “Zac”. Invece, per la legge dei corsi e ricorsi, è un po’ la stessa storia – guarda caso – del crollo di un famigerato ponte di Genova e di un ministro alle Infrastrutture che non alzò un dito contro Atlantia-Autostrade, Graziano Delrio, politico “mite” che viene dalla cattolicità emiliana di sinistra e dal giro stretto di quel Fanfan-Renzi che fu il leader più potente dell’Italia vivacchiante di ieri. Non resta che sperare che nuove Merlin, nuovi Paolini o Corona, e magari nuovi Fridays for future riportino a tutti la memoria di quali tragedie umane ha prodotto e produce il mantra dello sviluppo senza freni e della libertà dei capitalisti senza controlli.

 

 
 
 

Le parole di Mustier aprono un fronte di crisi con i correntisti

Post n°4510 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 5 Ottobre 2019, di Leopoldo Gasbarro

I risparmiatori italiani rischiano di ritrovarsi ancora sotto scacco. Privi dei riferimenti e delle certezze del passato ora rischiano, dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi di Mustier di vedersi addebitare i costi dei tassi negativi.

Quando ho postato sui social il rilancio della notizia che riportava la dichiarazione del numero uno di Unicredit Jean Pierre Mustier, ci sono state reazioni molto contrastanti. Non le riporto, ma questo è il link che vi condurrà direttamente sulla mia pagina Linkedin dove potrete leggerle e farvi un’idea della varietà di posizioni: Reazione sui social

Comunque sia, l’idea che si mettano nuovamente le mani nelle tasche dei correntisti ha scatenato l’ira di molti. Mustier, lo ricordiamo ha detto che : “I costi dei tassi negativi? Vanno trasferiti ai clienti che lasciano somme importanti parcheggiate in conto corrente”.

Le dichiarazioni di Mustier

Il motivo è legato al fatto che anche in Italia i tassi negativi cominciano a mettere sotto pressione i bilanci delle banche.

Così applicare costi ai conti correnti, con saldi superiori ai 100mila euro, porterebbe all’attivazione di un meccanismo di trasmissione che in qualche modo imporrebbe ai risparmiatori di evitare i parcheggi in conto corrente che sono diventati un peso per banche e Paese, ma anche per i risparmiatori stessi. 

Ma cerchiamo di capire meglio.

Se una banca europea deposita liquidità presso la BCE, (la banca centrale europea), questa le applicherà un tasso del -0,50%. Quindi in pratica un costo pari allo 0,50. In pratica depositare 100mila euro in BCE, per una banca come Unicredit significa riprenderne 99mila e 500 un gran bell’affare.

Il risparmiatore

Se invece un risparmiatore lascia i soldi in conto corrente, pur andando incontro alle spese di tenuta conto ed ai costi per operazione, non si vedrà applicare, almeno per ora, nessun tasso negativo sulle somme depositate. Da qui le difficoltà delle banche e la richiesta dell’AD di Unicredit.

La richiesta di Mustier

In pratica Mustier sta chiedendo l’autorizzazione di applicare alla clientela ciò che viene applicato dalla BCE alle banche europee.

Il numero uno di Unicredit non è il primo a pensarla così in Italia. Da notizie a nostra disposizione anche altre banche si starebbero muovendo in quella direzione, anzi avrebbero già pronte le lettere da spedire ai clienti che hanno saldi importanti  in conto. Mustier però è il primo a parlarne così apertamente, seguendo una linea già ben nota soprattutto nei paesi di lingua tedesca, dove la levata di scudi contro Draghi e le sue politiche è sempre più forte, una protesta ed una pressione psicologica che adesso subirà la sua sostituta alla guida delle BCE: Christine Lagarde. 

Banchieri centrali contro Draghi

In Germania, nelle settimane scorse, Allianz ha dichiarato, per protesta, di non voler comprare più titoli di stato tedeschi, mentre la Sparkasse di Monaco, una delle più grandi a livello nazionale, ha già applicato un tasso negativo ai conti sopra i 100 mila euro. Ma la protesta arriva anche dalla Francia dove alcune banche hanno annunciato di voler seguire l’esempio già applicato in Baviera.

Non solo le banche. 

Anche le assicurazioni. In Francia, Generali e poi anche Allianz hanno deciso di chiudere i Fonds en Euros perché incompatibili con la situazione di mercato dettata dai tassi negativi ed ora si pensa addirittura che potrebbero non essere più in grado di garantire anche il capitale depositato. 

Insomma, le parole di Mustier, che tra l’altro dirige la Banca più internazionalizzata del nostro paese, arrivano in un contesto generale che sta spingendo o per un cambio di politiche da parte delle banche centrali o verso un coinvolgimento sempre più forte dei risparmiatori che, non avendo più garanzie di mantenere neanche il capitale versato in conto, dovrebbero eventualmente provare ad orientarsi verso differenti forme di investimento.

Come vedranno i risparmiatori quest’ulteriore atto di forza nei loro confronti? Quanti spiegano loro che utilizzare i conti correnti oggi non è proprio il massimo della salute per gestire i propri capitali? Ma “spingere” in questo modo la gente lontano dai conti correnti potrebbe rappresentare un ulteriore elemento fortemente negativo nella ricostruzione di un rapporto di fiducia che, dopo la crisi ed il fallimento di tante banche, non è mai stato davvero risanato.

Oltretutto, privi della rete di protezione del mondo bancario, i capitali privati potrebbero rischiare di andare incontro a forme di investimenti attrattive e pericolose, così come già accaduto in passato.

Attraverso consulenze specifiche e preparate si potrebbe e dovrebbe far comprendere al mondo del risparmio che guardare verso altre forme d’investimento più remunerative, ma anche più volatili, ma pur sempre gestite entro i parametri di un sistema “normato”, potrebbe rappresentare un’opportunità e non un male.

Vedremo alla resa dei conti. Mai come ora ci sarebbe bisogno di far cultura per evitare, prima polemiche sterili e dannose, e poi scelte ancora più insane da parte di chi ha fatto sacrifici enormi per mettere da parte qualcosa.

Vedremo…ma il rischio caos, a nostro avviso, resta molto alto.

Leopoldo.Gasbarro@triboo.it

 
 
 

Dazi, la decisione del Wto rende felice solo Trump e il suo tornaconto personale

Post n°4509 pubblicato il 04 Ottobre 2019 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Mondo - 3 Ottobre 2019 Sostenitore

di Andreina Fidanza

Ha esultato come se i suoi New York Yankees si fossero aggiudicati per la 28esima volta nella storia il titolo delle World Series. Donald Trump, a seguito della decisione dell’organizzazione mondiale del commercio (Wto) che ha stabilito che gli Usa potranno imporre dazi ai prodotti europei per gli aiuti illegali concessi al consorzio aeronautico Airbus, ha evidenziato che i 7,5 miliardi di dollari (equivalenti a 6,8 miliardi di euro) di compensazione siano stati una vittoria di tutta l’America nei confronti del mondo intero (“it was a big win for the United States”), esclamando a pieni polmoni: not bad.

Affermazioni, durante la conferenza stampa nella East Room della Casa Bianca, che si sono scontrate con la risposta immediata dei mercati finanziari, che da Londra a Milano passando per New York hanno letteralmente rifiutato la decisione presa dall’organizzazione internazionale con sede a Ginevra: Londra -2,6%, Parigi -2,2%, Francoforte -1,8%, Madrid e Milano –2,8%, Dow Jones -1,14%, Nasdaq -1,19%, S&P 500 -1,18%

A questi si sono aggiunti – dodici ore dopo – i numeri espressi dalle borse asiatiche (Cina esclusa per il 70esimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare), anch’essi in territorio decisamente negativo (Tokyo -2%) e soprattutto le dichiarazioni giunte da ogni parte del globo terracqueo sulla complicatissima condizione che si è venuta a creare.

La conferma di eventuali ripercussioni made in Europe, poche ore prima del verdetto, è arrivata dalla portavoce capo della Commissione, Mina Andreeva: “Abbiamo continuato a dire agli Usa che siamo pronti a lavorare con loro a una soluzione equa ed equilibrata per le rispettive industrie aeronautiche. Siamo tuttora pronti e disponibili a trovare un accordo equo, ma se gli Usa decideranno di applicare contromisure autorizzate, l’Ue farà la stessa cosa“.

In pratica l’unico che ha espresso soddisfazione per quanto avvenuto è stato colui che, infischiandosene dell’attuale situazione economica planetaria, ha pensato ancora una volta, per l’ennesima volta, al proprio tornaconto personale, ponendo lo sguardo verso l’obiettivo delle elezioni negli Stati Uniti del 2020 e cercando di distogliere l’attenzione mediatica dallo scandalo Kievgate, quest’ultimo sottolineato dal Washington Post: “le agenzie federali sono sempre più costrette a perseguire i suoi interessi politici, investigare sui suoi nemici e legittimare le sue teorie sulle elezioni del 2016″.

Cosa accadrà da qui al 18 ottobre, data in cui dovrebbero diventare applicativi i dazi, non è dato sapere: a oggi rimane però la certezza che mercati finanziari e leader mondiali non abbiano preso bene né la decisione della Wto né le affermazioni di Donald Trump, con l’inquilino della Casa Bianca sempre più arroccato a quella filosofia sovranista che in America come in Europa non ha fatto altro che alzare muri, chiudere porti, isolare le economie e creare, a prescindere dal luogo, il “Salvini” di turno.

 

 
 
 

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