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Messaggi di Marzo 2021

Perché si parla poco del costante calo del quoziente intellettivo della popolazione

Post n°4631 pubblicato il 29 Marzo 2021 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Paolo Ercolani Società - 28 Marzo 2021

 

Uno degli esempi più lampanti di quanto poco la nostra epoca si preoccupi dell’intelligenza è dato dall’hashish. Legalizzarlo sì, legalizzarlo no, un favore alla malavita, però lenisce le sofferenze dei malati terminali (vero), placa l’ansia (vero solo in alcuni casi). Nessuno, però, che si concentri sull’unico effetto accertato: i danni provocati al cervello, in particolare la riduzione del volume della materia grigia orbito-frontale, in molti casi con un riscontrato calo del quoziente intellettivo.

Già, il quoziente intellettivo. Al netto di tutte le critiche legittime sui criteri, e sulla pretesa di misurare un fenomeno così complesso come l’intelligenza, se ci atteniamo ai dati degli ultimi cento anni facciamo una scoperta interessante. Per larga parte del XX secolo e fino al 2009 il livello medio di intelligenza della popolazione è aumentato (fenomeno noto come “effetto Flynn”). Ciò è dovuto a vari fattori, tra cui un ambiente sociale e intellettuale più stimolante, il protrarsi e l’intensificarsi degli studi scolastici, le sfide intellettuali lanciate quotidianamente dalla società (attraverso libri, giornali, inchieste eccetera), i progressi della Scienza dell’educazione e, infine, la maggiore attenzione dei genitori nel curare il livello e la qualità dell’apprendimento dei loro figli.

Insomma, la società lavorava per l’intelligenza della popolazione. Fino alla notizia shock del 2016, a cui stranamente si dette scarsa risonanza. Un nuovo studio condotto da Richard Flynn e da un suo collega mostrò che tra il 1990 e il 2009 il Q.i. aveva cominciato lentamente ma inesorabilmente a calare. Un calo costante che, oggi, è diventato vero e proprio tracollo, se pensiamo alla percentuale di persone afflitte dal cosiddetto analfabetismo funzionale (sanno leggere, ma non capiscono il senso né sono in grado di rielaborarlo e spiegarlo). Le cause di questo tracollo sono molteplici, come sempre, ma una emerge su tutte le altre: la comparsa di nuove tecnologie digitali che, specialmente nel caso dei più giovani, rappresentano un potentissimo e pervasivo elemento di degradazione delle facoltà cognitive, emotive e relazionali.

E dire che l’uomo, fra le creature più deboli fisicamente e povere di istinti di tutto il pianeta, ha un bisogno fondamentale della propria intelligenza, perché è con essa che riesce a sopperire ai limiti di cui sopra e adattarsi alle insidie del mondo esterno. Il processo che consiste nell’immagazzinare dati, creando così la memoria, per poi elaborarli creando un ordine di senso con cui “afferrare” le cose del mondo, si chiama apprendimento. Il fatto che ogni individuo impari il processo di cui sopra in maniera funzionale e singolare, rende possibile la formazione di un pensiero “autonomo e critico”, che significa non meccanicamente generato da dogmi superiori né passivamente omologato alle “leggi” imposte da un regime.

Il guaio è che oggigiorno è l’Intelligenza Artificiale a occuparsi del processo di immagazzinamento, memoria ed elaborazione dei dati, con l’intelligenza umana ridotta a svolgere un ruolo ausiliario e sempre più ininfluente. Ecco cosa scrive a tal proposito il neurobiologo Laurent Alexandre, a pagina 73 del suo La guerra delle intelligenze. Intelligenza artificiale contro intelligenza umana, EDT, Torino 2017: “Laddove il libro favoriva una concentrazione duratura e creativa, Internet incoraggia la rapidità, il campionamento distratto di piccoli frammenti d’informazioni provenienti da fonti diverse. Un’evoluzione che ci rende più che mai dipendenti dalle macchine, assuefatti alla connessione, incapaci di procurarci un’informazione senza l’aiuto di un motore di ricerca, dotati di una memoria difettosa e alla fine più vulnerabili a manipolazioni di ogni sorta”.

Spogliati da ogni pregiudizio o istinto reazionario, bisognerebbe riflettere su tutto questo prima di aderire acriticamente alle politiche di diffusione entusiasta delle nuove tecnologie presso i ragazzi. Penso, solo a titolo di esempio, alla recente campagna “Digitali e uguali”, promossa dal gruppo editoriale Gedi, guarda caso in collaborazione con una nota impresa che vende prodotti rigorosamente online. L’iniziativa è eticamente ineccepibile (dotare di un computer ogni ragazzo nell’epoca della Didattica a distanza), ma condotta con finalità economiche più che pedagogiche. Non contesto le ragioni economiche, perché sebbene il comparto delle imprese online sia l’unico che sta facendo riscontrare profitti enormi in questa epoca di lockdown, la cosa è perfettamente legittima.

Quanto piuttosto dovrebbe allarmare l’entusiasmo acritico con cui la nostra società, con tanto di testimonial illustri (le luci della ribalta hanno un prezzo), non si preoccupi per nulla dei danni irreparabili che l’abuso di queste nuove tecnologie provoca sui giovani. Mi può stare anche bene l’idea di un computer a “testa”, ma vorrei che si spendessero energie (e finanze) anche per occuparsi della qualità di quelle “teste”, quando in realtà si spendono cifre astronomiche per potenziare l’Intelligenza Artificiale e quasi più nulla per quella umana. A farlo dovrebbe essere un mondo politico e sociale seriamente interessato alla formazione cognitiva dei propri cittadini, e non appiattita sulla logica finanziaria di chi, per tante ragioni, sembra interessato soltanto a crescere quelli che Charles Wright Mills chiamava i “docili robot”...

 

 

 
 
 

Varoufakis contro Draghi: chiederà alla mafia di riorganizzare la giustizia?

Post n°4630 pubblicato il 21 Marzo 2021 da ninograg1
 

Fonte: WSI 11 Marzo 2021, di Mariangela Tessa

 

Pesante affondo di Yanis Varoufakis sul governo Draghi. In un post pubblicato ieri su Twitter, l’ex ministro delle Finanze greco non ha risparmiato critiche sulla decisione presa dall’esecutivo italiano di coinvolgere la società di consulenza direzionale McKinsey nella redazione del Recovery plan:

“Così prevedibile e così triste: Mario Draghi incarica McKinsey di organizzare la distribuzione dei soldi del Recovery fund. Quale la prossima mossa? Affidare alla mafia la riorganizzazione del ministero di Giustizia?"

Come inevitabile il post ha scatenando un’ondata di critiche tra i follower – ne ha circa un milione – e di molti utenti italiani.

“La prossima cosa da fare sarà quella di assumere Varoufakis come esperto di diritto fallimentare”, osserva ironicamente Salvo Cozzolino.

“Ci dispiace molto che voi non abbiate avuto una persona come Mario Draghi nel 2011 in Grecia”, commenta un altro utente.

“Altro che Mafia. Dopo aver sperimentato Varoufakis & Co. al governo, i greci preferito avere come Primo ministro un ex dirigente di McKinsey come Kyriakos Mitsotakis”, fa notare il giornalista Luciano Capone.

Varoufakis: per il ministro Franco McKinsey avrà un ruolo editoriale

E per spazzare via i dubbi sul ruolo dell’incarico attribuito alla società di consulenza McKinsey, la scorsa settimana, nel corso di audizione parlamentare, il ministro dell’Economia Daniele Franco è tornato sulla vicenda, ribadendo che nessuna società privata avrà alcun ruolo decisionale né accesso ad informazioni privilegiate.

Franco ha ricordato come sia prassi diffusa tra governi ed istituzioni europee ricorrere ai servizi offerti da queste e società e come anche palazzo Chigi abbia in essere da tempo.

Il ministro è poi sceso più nel dettaglio su quelli che sono i compiti attribuiti a McKinsey con contratto da 25mila euro + Iva. L’incarico, ha detto il ministro

“riguarda aspetti metodologici nella redazione del piano, aspetti più editoriali che di sostanza e senza nessuna intromissione nelle scelte. L’importo è del resto coerente con un lavoro di questo tipo”.

Franco ha infine aggiunto:

“Questo perché le strutture pubbliche a volte hanno bisogno di input specialistici per affrontare alcuni specifici lavori, tipicamente se uno deve fare delle presentazioni di slides a volte ci sono persone molto più efficaci a farlo di quanto possano esserlo dirigenti o funzionari pubblici che hanno altre competenze e qualità”.

 

 
 
 

Recovery plan, i giornali lodano le schede “di Draghi”. Giovannini chiarisce: “Sono quelle del Conte 2.

Post n°4629 pubblicato il 16 Marzo 2021 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  | 16 Marzo 2021

Non, non è il “Recovery plan targato Draghi” come ha scritto qualcuno. Non entra “molto più in profondità nei singoli filoni di spesa”, come ha sostenuto Il Sole 24 Ore. E anche “la proroga del superbonus edilizio al 2023″ è semplicemente una delle ipotesi vagliate dal governo precedente. Perché il documento con le schede tecniche sui progetti del Recovery plan inviato al Parlamento la scorsa settimana è quello scritto dal Conte 2 prima della crisi, come ha spiegato Il Fatto Quotidiano. E come, del resto, aveva chiarito il ministro dell’Economia Daniele Franco, annunciando l’invio alle Camere delle note tecniche “che noi ministri abbiamo ricevuto nel passaggio di consegne”.

Il frutto degli sforzi della nuova cabina di regia del Mef guidata da Carmine Di Nuzzo non si è ancora visto, dunque, e di sicuro non è contenuto in quelle pagine si cui pure molti hanno dato conto come si trattasse di una riscrittura in cui “per la prima volta ci sono obiettivi, tempi, costi e una serie di dettagliatissime tabelle”(Libero Economia).

A fare chiarezza ci ha pensato il ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, che martedì in audizione alle commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera ha dovuto non solo ripetere il concetto – “Il Parlamento ha ricevuto la bozza del Pnrr preparata dal precedente Governo e il ministro Franco ha fatto pervenire al Parlamento le schede tecniche” – ma anche precisare che “quelle schede erano anche antecedenti alla selezione che il precedente governo ha fatto in sede di bozza di Pnrr approvata e trasmessa al Parlamento. E’ importante questa sottolineatura perché avrete visto in quella lista delle opere che in realtà il precedente governo aveva già escluso“. Nota quanto mai necessaria visto che Il Tempo tre giorni fa ha titolato: Funivia Casalotti Boccea, Mario Draghi mette le ali a Virginia Raggi: il progetto pagato dal Governo. Ma quella di finanziare con il Recovery la funivia cara alla sindaca M5s era solo una delle centinaia di richieste planate sulle scrivanie dei ministri durante il Conte 2 e non recepite nella versione del piano approvata in cdm a gennaio.

 

 
 
 

Vaccino Covid, l’Ue predilige i profitti delle multinazionali contro la vita

Post n°4628 pubblicato il 13 Marzo 2021 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Fabio Marcelli Giurista internazionale Mondo - 13 Marzo 2021

Non ci sono parole per definire la prevedibile scelta dell’Unione europea di anteporre i profitti delle multinazionali chimico-farmaceutiche ai diritti alla salute e alla vita dei suoi cittadini e di quelli del pianeta più in generale. Questa infausta presa di posizione segna l’epilogo definitivo di una tristissima vicenda e il naufragio delle speranze malriposte da qualche troppo ingenuo o troppo furbo politicante nei confronti della signora Ursula von der Leyen.

Il punto decisivo è stato la scelta di respingere la proposta formulata da India, Sudafrica, Venezuela ed altri Stati di derogare, di fronte al dilagare della pandemia Covid e delle sue micidiali varianti, al regime di difesa rigida della proprietà intellettuale delle multinazionali che possiedono i brevetti relativi ai vaccini da impiegare contro il Covid. La proposta era stata formulata in seno all’Organizzazione mondiale del commercio ed è stata respinta coi voti di tutto l’Occidente capitalistico, Stati Uniti e Unione europea in prima fila, che hanno goduto dell’appoggio determinante del presidente brasiliano Bolsonaro, deferito alla Corte penale internazionale qualche tempo fa per l’effetto genocida delle sue deliberate e scellerate politiche di minimizzazione del rischio rappresentato dalla pandemia in corso, che sta mietendo milioni di vittime in tutto il pianeta e ne ha provocate, ad oggi, oltre 270mila nel suo Paese.

E’ evidente come l’ostacolo rappresentato dai brevetti impedisca la produzione del vaccino in tutto il mondo e quindi una risposta adeguata specialmente da parte dei Paesi più poveri e bisognosi, dato che i vaccini sono concentrati nelle aree più ricche del pianeta. Dato il carattere contagioso del virus, si tratta non solo di un attacco alla vita e alla salute altrui ma anche a quelle proprie.

La Commissione europea aveva del resto da tempo dimostrato la propria totale subalternità alle lobby farmaceutiche, concludendo accordi fallimentari e per di più secretati in loro clausole essenziali, colle multinazionali attive nel settore, che avevano poi deciso e continuano a decidere di dirottare i propri prodotti, comunque insufficienti rispetto agli enormi bisogni esistenti, su offerenti migliori e disposti a pagare prezzi più elevati. Per non parlare delle davvero allarmanti notizie relative alla stessa sicurezza dei vaccini, su cui hanno aperto da ultimo delle inchieste alcune Procure italiane.

Come da tempo denunciato, siamo completamente in balia di organizzazioni guidate dall’esclusivo proposito di aumentare i propri già enormi profitti e non già da quello di debellare il virus in nome del bene comune e del diritto alla salute e alla vita di tutti gli abitanti del pianeta. Esistono già oggi alternative praticabili, come i vaccini cinesi, cubani e russi, ma il bieco servilismo atlantico dei governi europei e di quello guidato da Mario Draghi in particolare impedisce di ricorrervi.

E’ infatti evidente come il governo Draghi, che ha enunciato l’atlantismo e l'”europeismo” (alla von der Leyen & C.) come fari ispiratori della propria politica estera, si asterrà dall’intraprendere cooperazioni indispensabili nel campo della ricerca e della produzione di vaccini ed altri presidi sanitari necessari a combattere la pandemia colla Cina, colla Russia e con Cuba, salvo poi permettere che determinate proprie appendici stremate ricorrano alle brigate mediche cubane, com’è avvenuto in Lombardia e Piemonte in primavera, ma già ce ne siamo dimenticati.

Nei tragici attuali frangenti del dilagare della pandemia si conferma l’irriducibile antinomia fra il capitalismo, specie quello delle rendite, sia finanziarie sia legate alle privative industriali e alla proprietà intellettuale, da un lato e la vita dall’altro. La Commissione europea continua a scegliere di privilegiare il capitalismo contro la vita, dato il peso delle lobby che da tempo immemorabile infiltrano le istituzioni di Bruxelles e ne condizionano l’agire quotidiano, nonché quello del credo neoliberista che pervade fino al midollo i leader di quest’Europa, con in testa la von der Leyen, Macron, Merkel e Draghi. Camicie di forza asfissianti che vanno distrutte al più presto, prima che distruggano la nostra vita e la nostra salute.

Capitalismo ed atlantismo vanno superati, derogando ai brevetti e instaurando una vera e propria cooperazione globale affinché tutte le energie del pianeta siano dedicate a sconfiggere il virus, come richiesto del resto dall’Organizzazione mondiale della sanità. Non è questa a quanto pare l’opinione di lorsignori, interessati più a contare i quattrini che entrano in tasca a Big Pharma che le vittime che continuano a morire come mosche in tutto il mondo ogni giorno.

 
 
 

“In un anno arretrata la speranza di vita guadagnata in un decennio”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano | 10 Marzo 2021

 

I 100mila morti per Covid in Italia all’8 marzo sono la fotografia dello tsunami che il coronavirus ha scatenato sulle nostre vite. Un’onda travolgente che ha investito anche il futuro. La pandemia “ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio. È un arretramento che richiederà parecchio tempo per essere pienamente recuperato”, afferma il decimo Rapporto Bes dell’Istat sul benessere equo e sostenibile, rilevando che nel 2010 la speranza di vita alla nascita era di 81,7 anni, nel 2019 di 83,2 e nel 2020 il dato è sceso a 82,3. Gli indicatori hanno registrato impatti particolarmente violenti su alcuni progressi raggiunti in dieci anni sulla salute, annullati in un solo anno” ha detto il presidente Istat, Gian Carlo Blangiardo. Del resto i morti per il virus il doppio di quelli di Aids, 34 volte quelli del terremoto dell’Irpinia, 50 volte quelli del Vajont, 300 volte quelli de l’Aquila. Solo per far un paragone con eventi che sono impressi nella memoria collettiva.

Nel 2020 il 44,5% della popolazione esprime un voto tra 8 e 10 sulla soddisfazione della propria vita, in leggero aumento rispetto all’anno precedente (43,2%). Si mantengono le differenze territoriali, con una maggiore percentuale di soddisfatti al Nord (48,4%), quasi quattro punti percentuali in più della media nazionale, e livelli più bassi al Centro e nel Mezzogiorno (43% e 40%). Nel nostro Paese la soddisfazione per la vita rimane diseguale non solo tra territori ma anche per titolo di studio conseguito, età e, sia pure in misura minore, tra uomini e donne.

E nel periodo in cui l’emergenza provocata dalla pandemia ha costretto alla chiusura delle scuole di ogni ordine nelle zone rosse non può non preoccupare la riflessione sui dati che mostrano le diseguaglianze nello studio: “In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un’educazione adeguata. Il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere – prosegue – dipende ancora in larga misura dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive. La pandemia del 2020, con la conseguente chiusura degli istituti scolastici e universitari e lo spostamento verso la didattica a distanza, o integrata, ha acuito le disuguaglianze”.

L’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza. Tale quota sale al 23% tra gli alunni con disabilità. Del resto un terzo delle famiglie in Italia non dispone di un accesso ad internet da casa e di almeno un computer. Il rapporto descrive comunque come “notevolmente migliorata” la situazione della transizione digitale dell’Italia nell’ultimo decennio: la percentuale di famiglie con accesso alla banda larga è passata dal 10% del 2011 all’88,9% del 2019. “Nonostante i progressi – spiega il rapporto -, l’Italia si trova però ancora leggermente al di sotto della media europea. L’infrastruttura per la banda larga non è più sufficiente a coprire le esigenze di connessione attuali, cosicché si è ritenuto necessario investire su una connessione più veloce, cioè la banda ultralarga”.

In generale il “divario con l’Europa sull’istruzione continua ad ampliarsi: nel secondo trimestre 2020 il 62,6% delle persone di 25-64 anni ha almeno il diploma superiore (54,8% nel 2010); tale quota è inferiore alla media europea di 16 punti percentuali. Tra i giovani di 30-34 anni il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27″, sottolinea l’istituto di statistica.

Nel secondo trimestre 2020 sale poi al 23,9% la quota di giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano (Neet), dopo alcuni anni di diminuzioni (21,2% nel secondo trimestre 2019). Incide particolarmente la componente dovuta all’inattività, specie nelle regioni del Centro-nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia. In Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa, accrescendo ulteriormente la distanza (+6 punti percentuali nel secondo trimestre del 2010, +10 punti nel 2020). Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). Nel secondo trimestre 2020, in Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni, valore in netto calo rispetto al 2010 ma pressoché stabile dal 2017.

 

 

 
 
 

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