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Sogno e realtà

Quando è il momento opportuno tutti siamo in grado di realizzare i nostri sogni

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Sugnu sulu stancu

Post n°374 pubblicato il 11 Agosto 2008 da koradgl1
 


Teatro tra le quinte e teatralità a scena aperta, dietro ogni evento c’è una spiegazione
Ho letto tutte i romanzi che narrano le inchieste del commisario vigatese, sono entrata nella psicologia teatrale e oserei dire lirica di un personaggio al di fuori del comune, con le sue lotte contro le convenzioni, e radicato in una realtà geografica che fa da sfondo alle sue storie, con tutta la varia umanità che popola quel luogo “dell’anima” che è Vigàta, ma che è la Sicilia, e che è, per tanti aspetti, l’Italia.
“Il campo del vasaio” mi è sembrato il più compiuto e il più meditato; è come se Camilleri avesse completato un quadro pittorico con gli ultimi impercettibili, ma essenziali ritocchi che ci regalano un  Montalbano di grandissimo spessore. Tra le pieghe sempre più stanche del suo animo scopriamo un uomo meno ripiegato su se stesso come se la vecchiaia incombente lo tradisse rivelando la sua fragilità. Ed ecco un Montalbano che fa le prove di pensionamento, e va a Boccadasse addirittura due volte senza portarsi seco il cellulare.
Abbiamo già conosciuto Salvo Montalbano, come un attento lettore e qui lo ritroviamo a dispensare, spesso con ironia, citazioni letterarie in tutto il racconto, a partire dal Vangelo di Matteo, da cui prendo il titolo il romanzo, fino a all’uso di titoli di Dostoevskij nella magistrale scena tetrale di autodifesa nell’ufficio del questore per trarsi dalla “farfanteria” raccontata e che aveva suscitato la pietà del questore stesso. Ed il tradimento è il punto focale del romanzo, da qui il campo del “critaru” o del vasaio, quello in cui si impiccò Giuda dopo aver tradito, il tradimento di Mimì Augello che non si è fidato di lui al punto di confidargli le sue pene per essere stato ammaliato da Dolores la donna, talmente bella, da aver confuso anche il ligio Catarella, il tradimento che ha scatenato la vicenda, il tradimento falso della famiglia mafiosa che depista l’indagine e il tradimento personale. Quel campo che restituisce il corpo senza vita di Giovanni Alfano dilaniato in trenta pezzi è un campo che contagia i suoi miasmi. Lui resta un puparo che deve tirare i fili e portare ogni cosa al suo posto, lui deve trovare posto al paladino sbandato che porta lo scompiglio nel commissariato, lui deve rimettere ordine nella vita dell’amico di sempre anche resistendo al profumo di cannella di quella donna dalla bellezza di “lioparda” che pare uscita dai dipinti di Guttuso.
E lui anche con la sua stanchezza era riuscito a tirar fuori tutti dal campo tradimentoso, lui che si sentiva un povero puparo.

"Livia una volta gli aviva spiato polemica 'Ma tu ti credi Dio?'
Un Dio di quart'ordine, un Dio minore, aviva pinsato allura. Po' negli anni, si era fatto pirsuaso che non era manco un Dio dell'ultima fila, ma sulo un poviro puparo di 'na mischina opira di pupi. Un puparo che s'assabattava a fari funzionari la rapprisintazioni come meglio putiva e sapiva. E per ogni rappresentazioni che arrinisciva a portare a termini, la faticata si faciva ogni volta cchiù grossa, ogni volta cchiù pisanti. Fino a quanto avrebbe potuto reggiri?”

 
 
 
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