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Messaggi del 28/03/2020
Post n°2664 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La giornata dei dinosauri scorreva più veloce della nostra Al tempo dei dinosauri, nel Cretaceo superiore, un giorno durava 23 ore e 31 minuti: lo dimostrerebbe (pensate un po') questo fossile di "vongola". Il fossile di un bivalve rudista del Cretaceo. Per i dinosauri del Cretaceo superiore, le ore del giorno non dovevano bastare mai: soprattutto perché non erano 24 ma 23:31 - come sostiene un nuovo studio pubblicato su Paleoceanography and Paleoclimatology. L'analisi dettagliata di un guscio fossilizzato di un bivalve ha permesso di stabilire che, 70 milioni di anni fa, la Terra compiva 372 rotazioni all'anno e non 365, un "dettaglio" che permette di comprendere meglio i giochi di forza e la distanza tra Terra e Luna. CALENDARI FOSSILI. Un gruppo di geochimici della Vrije Universiteit di Bruxelles ha esaminato con dispositivi laser minuscole sezioni del guscio di un gruppo di bivalvi estinti con l'impatto dell'asteroide di Chicxulub, le vongole rudiste. Gli scienziati si sono concentrati su una specie in particolare, la Torreites sanchezi, rinvenuta in Oman: l'animale che viveva nelle acque tropicali cresceva rapidamente espandendo il guscio con anelli di materiale giornalieri, simili nella struttura agli anelli di crescita degli alberi. Insieme all'acqua i molluschi assorbivano le sostanze chimiche presenti nei mari. La loro analisi ha permesso di ricostruire temperatura e composizione delle acque nel Cretaceo superiore, ed associarle ai ritmi stagionali. Le variazioni periodiche delle stagioni registrate nel guscio sono servite a identificare l'età - in anni - dei bivalvi, mentre la conta degli anelli di crescita ha determinato il numero di giorni in un anno. DANZA CELESTE. La lunghezza dell'anno è rimasta costante nella storia della Terra, perché l'orbita della Terra attorno al Sole è rimasta invariata. Gli scienziati hanno contato 372 stratificazioni giornaliere per anno: sono così risaliti alla duranta del giorno, più corta di mezz'ora rispetto a quello odierno. Che in passato i giorni fossero più corti era un fatto noto, ma il dato ottenuto è il più accurato disponibile per il Cretaceo superiore. Da allora il giorno si è allungato per effetto dell'attrito causato dalle maree oceaniche dovute alla gravità lunare, che rallentano la rotazione terrestre. Mano a mano che la Terra rallenta, l'attrazione delle maree allarga l'orbita lunare e spinge il nostro satellite un po' più in là - al momento, la Luna si allontana i 4 cm all'anno, anche se la sua velocità di recessione non è costante. COSTRUTTORI DI FONDALI. Un'altra scoperta riguarda la natura dei bivalvi rudisti, che dovevano svolgere per gli antichi oceani un ruolo simile a quello dei moderni coralli. L'analisi delle stratificazioni del guscio dimostra che esso cresceva più rapidamente di giorno che di notte: così come i polipi dei coralli, la vongola viveva probabilmente in simbios i con un organismo capace di fotosintesi. |
Post n°2663 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Le sorprendenti capacità chirurgiche degli Inca La sorprendente percentuale di successo delle operazioni di perforazione cranica in epoca Inca. Molti teschi rinvenuti in Perù nel corso degli anni mostrano segni di interventi di trapanazione cranica. | Vi sottoporreste a un intervento chirurgico di trapanazione cranica senza anestesia e senza antibiotici? Tranquilli, non c'è chirurgo al mondo che ve lo proporrebbe, oggi, ma in passato le cose andavano diversamente, e non due o trecento anni fa: dagli Inca alla Grecia antica, era una pratica più diffusa di quanto si credesse finora - e in certi periodi con ottimi risultati. Al tempo di quelle antiche civiltà molti sono stati sottoposti a simili interventi e, lo dimostrano i reperti, molti sono sopravvissuti per mesi e anni. Oggi si conoscono centinaia di casi di trapanazioni eseguite dai "medici" Inca con percentuali di successo sorprendentemente alte, fino all'80-90 per cento - un tasso di sopravvivenza di molto superiore ad analoghi interventi eseguiti, per esempio, durante la Guerra Civile americana, circa 400 anni dopo, che non ha mai superato il 50 per cento. Reperti conservati al museo Inca di Cusco.
| MUSEO INCA CUSCO FINO AL 91%! David Kushner (neurologo, Università di Miami), John Verano (bioarcheologo, Tulane University, New Orleans) e Anne Titelbaum (bioarcheologa, Università dell'Arizona) hanno condotto una ricerca - pubblicata su World Neurosurgery (sommario, in inglese) - sul tasso di successo della chirurgia cranica lungo culture e periodi storici diversi. Spiega Kushner: «È possibile che le trapanazioni siano state inizialmente pensate per ripulire fratture craniche e alleviare la pressione del sangue sul cervello dopo i colpi alla testa», tuttavia non tutti i crani trapanati esaminati dal team mostrano segni di ferite, quindi è possibile che l'intervento chirurgico sia stato utilizzato anche per trattare particolari malattie, come i mal di testa cronici e le malattie mentali. Teschi con vari tipi di trapanazione sono stati rinvenuti in tutto il mondo, ma il Perù, con il suo clima secco e le eccellenti condizioni di conservazione, ne vanta centinaia. Il gruppo di ricercatori ha esaminato 59 teschi provenienti dalla costa meridionale del Perù, datati tra il 400 e il 200 a.C. (I gruppo), 421 reperti provenienti dagli altopiani centrali del Perù, datati dal 1000 al 1400 d.C. (II gruppo), e 160 teschi provenienti dagli altopiani di Cusco, la capitale dell'impero Inca, datati tra gli inizi del 1400 d.C. e la metà del 1500 d.C. (III gruppo).
Una serie di fori prodotti probabilmente per ridurre un'infezione: in questo caso lo stato delle ossa suggerisce che il paziente sopravvisse. DANIELLE KURIN I SOPRAVVISSUTI. L'indizio sul successo o meno dell'intervento lo dà lo stato dell'osso attorno alla trapanazione: se non ci sono evidenti segni di guarigione, il paziente deve essere morto durante o poco dopo l'intervento. Al contrario, un perimetro liscio attorno all'apertura dimostra che il paziente è sopravvissuto per mesi o anni dopo l'intervento. I risultati dello studio sono sorprendenti: solo il 40 per cento del primo gruppo è sopravvissuto all'intervento, ma poi si passa al 53 per cento per il secondo gruppo e all'83 per cento durante il periodo Inca (III gruppo). C'è poi un sorprendente 91 per cento di pazienti soprav- vissuti in un altro campione, per la verità piccolo, di nove crani provenienti dagli altopiani settentrionali, datati tra il 1000 e il 1300 d.C.
Perforazioni su un cranio del periodo Inca. | DANIELLE KURIN SEMPRE MEGLIO. Stando ai ricercatori le tecniche sono migliorare nel tempo: fori più piccoli e meno invasivi, evidentemente per ridurre il rischio di danneggiare la membrana protettiva del cervello. «Abbiamo potuto "vedere" un progressivo affinamento nei metodi di trapanazione in un processo durato un migliaio di anni: quei chirurghi non erano semplicemente fortunati, erano davvero abili! Diversi pazienti sembrano essere sopravvissuti anche a trapanazioni multiple: un cranio di epoca Inca mostra addirittura cinque interventi chirurgici guariti», afferma il ricercatore. SEMPRE PEGGIO. Kushner e Verano hanno poi confrontato i risultati conseguiti dalla medicina Inca con interventi cranici eseguiti con metodi simili sui soldati durante la Guerra Civile americana. Anche i chirurghi di quei campi di battaglia hanno curato le ferite alla testa tagliando le ossa mentre cercavano di non perforare la delicata membrana del cervello. Stando alle cartelle cliniche dell'epoca, però, dal 46 al 56 per cento dei pazienti sono deceduti, rispetto al 17-25 per cento dei pazienti Inca.
Storia dell'anestesia: dal colpo in testa ai narcotici. | «Queste differenze sono in parte giustificate dalla natura delle lesioni: sui campi di battaglia della Guerra Civile i traumi dovevano essere ben diversi da quelli collezionati al tempo degli Inca», afferma Emanuela Binello, neurochirurgo (Università di Boston), che ha condotto analoghi studi sulle tecniche di trapanazione nell'antica Cina. Molti soldati della Guerra Civile hanno sofferto di ferite da arma da fuoco e da palle di cannone e sono stati trattati in ospedali affollati e drammaticamente sporchi, cosa che ha certamente favorito le infezioni, «ma il tasso di soprav- vivenza alle trapanazioni in Perù ha comunque dell'incredibile», conclude Binello. |
Post n°2662 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportatodall'Internet La telepatia è scientificamente possibile? Non esattamente come nei film, ma qualcosa di simile alla telepatia esiste. E la ricerca fa progressi. | PASIEKA/SCIENCE PHOTO LIBRARY/CORBIS I ricercatori escludono che possa esistere la telepatia in senso stretto, ovvero la possibilità di trasmettere informazioni da una persona a un'altra senza attività sensoriale o strumenti artificiali. La comunicazione tramite il solo pensiero è ancora relegata agli ambiti della parapsicologia e della fantascienza. In termini scientifici, invece, si parla di brain-to-brain communication (comunicazione tra cervelli) e alcuni esperimenti condotti negli ultimi anni dimostrano che è possibile mettere in connessione i cervelli di più individu attraverso un'interfaccia neurale computerizzata, chiamata BCI, dall'inglese brain-computer interface. Questo strumento registra, codifica e decodifica impulsi elettrici, i quali possono essere trasmessi via radio, wi-fi, internet e via dicendo. L'INSTANT MESSAGING DEL PENSIERO. Nel 2014 la rivista PLOS ONE ha pubblicato i risultati di un esperimento condotto dai ricercatori di Starlab Barcelona. Il team, composto da neuroscienziati e ingegneri robotici, si è chiesto se fosse possibile mettere in comunicazione diretta due cervelli a distanza di migliaia di chilometri: utilizzando una BCI basata su elettroencefalogramma e internet hanno veicolato un breve messaggio da un mittente in India a un destinatario in Francia. CHE COSA C'È DI NUOVO? Altri ricercatori sono riusciti a collegare il cervello umano a un computer tramite elettrodi e a decodificare alcuni semplici pensieri, arrivando a muovere per esempio la coda di un ratto o una sedia a rotelle. La novità di questo esperimento è che all'altro capo della "connessione" c'era un altro cervello umano. L'esperimento è stato condotto collegando il cervello del mittente a un computer, che ha tradotto l'elettroencefalogramma in codice binario e ha trasmesso i dati a un secondo computer connesso, sempre in modo non invasivo, al cervello del ricevente. Il messaggio? Un semplice «ciao». Tanto è bastato per dimostrare che la telepatia non è un concetto così lontano dalla realtà, almeno nella sua versione digitale. |
Post n°2661 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet COVID-19: perché così pochi casi in Russia e Africa?Trasporti, controlli, clima, mancanza di trasparenza: tutte le possibili ragioni dell'apparente bassa diffusione della COVID-19 in Russia e in altri Paesi. La COVID-19 non conosce confini: perché allora alcune aree geografiche sembrano esserne immuni, o quasi? Vedi anche : la mappa della diffusione del nuovo coronavirus nel tempo | Come mai diversi Paesi che hanno intense relazioni commerciali o turistiche con la Cina riportano ancora pochissimi casi di COVID-19? Perché in Africa la diffusione del nuovo coronavirus sembra essere per il momento limitata? E quanto è attendibile il dato di soli 63 casi in Russia al 17 marzo? La domanda e le possibili risposte sono al centro di un articolo pubblicato su I CONTI NON TORNANO. Anche in caso di pandemia, è normale che alcune aree geografiche siano raggiunte più lentamente dall'onda dei contagi. Tuttavia, la Russia non è meno legata alla Cina di altri Paesi (come Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti) che sono ora alle prese con elevati livelli di trasmissione comunitaria del nuovo coronavirus. Un altro dato significativo è che nei 15 Paesi che confinano via terra o via mare con la Cina, sono stati riportati in totale soltanto 310 casi: solo l'India ne ha dichiarati più di 100, e dieci Paesi ne registrano meno di 5. Inoltre, mentre gli epidemiologi di tutto il mondo temono la diffusione della COVID-19 in Africa, i 54 Paesi africani riferiscono appena 253 casi degli oltre 167 mila mondiali (dati aggiornati al 17 marzo). Perché questi numeri così contenuti? SILENZI IRRESPONSABILI. La prima ragione che viene in mente - e anche la più pericolosa - è la mancanza di test ai casi sospetti, o la scarsa trasparenza nel riferirli. In molti Paesi sono sottoposti a tampone solo i cittadini con una storia di viaggio nelle aree più colpite, o quelli che accusano sintomi già gravi. Ciò determina una sottostima dei casi di contagio destinata a prolungare i tempi di lotta alla pandemia, come ha di recente ricordato In alcuni Paesi mancano le risorse per affrontare campagne di test su larga scala; altri temono le ripercussioni economiche associate alla denuncia dei casi (come la contrazione del turismo) o non vogliono attirare l'attenzione del mondo su sistemi sanitari impreparati all'urto della COVID-19. Questa opacità rischia di creare degli hotspot in cui il nuovo coronavirus continuerà a proliferare anche quando saremo usciti dalla fase più critica. SCAMBI RIDOTTI Alcuni dei Paesi con meno contagi hanno effettivamente scambi molto ridotti con la Cina, amplificati dalle restrizioni introdotte dal Paese con lo scoppio dell'epidemia, che potrebbero aver ritardato la diffu- sione della COVID-19. Se questo fosse vero, i contagi in questi luoghi aumenteranno purtroppo nelle prossime settimane, visti gli elevati contatti con l'Europa, nuovo epicentro dell'epidemia. C'è poi il caso di Paesi come il Giappone o Singapore, che mantengono un intenso scambio di merci e persone con la Cina e nei quali però la COVID-19 sembra procedere più lentamente. Controlli più stringenti alle frontiere nelle prime fasi dell'emergenza potrebbero aver tenuto a bada la trasmissione locale (senza contare il fattore Olimpiadi, che potrebbe riportarci al paragrafo precedente). Se l'ipotesi di una sorveglianza più attiva si rivelasse fondata, quest i Paesi dovrebbero registrare un andamento più lento nella crescita dei contagi. IL FATTORE GEOGRAFICO. La maggior parte dei casi si registra oggi sopra il Tropico del Cancro. A sud di esso si riportano, mentre scriviamo, solo 2.025 casi d i COVID-19. Nei Paesi tropicali o dell'emisfero australe sono concentrati solo l'1,29% dei casi globali. Questo dato potrebbe essere un riflesso di più scarsi legami con la Cina, o piuttosto del tipo di clima preferito dal coronavirus SARS-CoV-2; ma è anche possibile che le altre infezioni diffuse in queste aree geografiche mascherino le infezioni da COVID-19, scambiate per altre malattie. Se la causa fossero i limitati contatti con la Cina (discorso che non tiene, per l'Africa), allora anche in queste zone i casi dovrebbero aumentare nelle prossime due settimane, portati dall'Europa. Se dipende dal clima, dovremmo vedere un cambiamento della situazione con l'estate (nostra) e l'inverno australe; se infine c'entrano le altre infezioni (o i farmaci già presi per arginarle: come gli antimalarici, sperimentati anche contro la COVID-19) il numero di nuovi casi dovrebbe rimanere contenuto. |
Post n°2660 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Chirurgia: l'uomo del Neolitico si esercitava sui bovini? Un teschio di mucca di 5.000 anni fa presenta un foro simile a quelli degli interventi di trapanazione su crani umani: un momento di compassione o un esempio di sperimentazione animale? Gli interventi veterinari del Neolitico: a beneficio degli animali, o dei successivi pazienti umani? Un foro grande come un biscotto trovato in un teschio bovino dell'Età della pietra ha lasciato sorpresi gli archeologi, che si chiedono se rappresenti uno dei primi esempi noti di pratica chirurgica veterinaria o al contrario di speri- mentazione su animali. FATTI CON LO STAMPINO Il reperto, che risale almeno al 3000 a.C. ed è stato trovato nel sito neolitico di Champ-Durand, in Francia, presenta le stesse caratteristiche strutturali dei fori ottenuti con la trapanazione del cranio, un tipo di intervento praticato su "pazienti" umani già 10 mila anni fa. La tecnica usata è apparentemente la medesima, come raccont a un articolo pubblicato su Scientific Reports. Il procedimento che prevedeva di praticare un foro nella parte superiore del cranio, asportando parte delle ossa, era diffuso e - contrariamente a quanto si potrebbe pensare - in molti casi efficace: poteva alleviare gli effetti di traumi o emorragie, e le ossa rimarginate visibili su alcuni teschi umani indicano che in molti casi si sopravviveva. Finora però un simile intervento non era ancora stato osservato su reperti animali.
Ricostruzione in 3D del teschio di mucca del Neolitico, con il foro visibile dall'esterno (a sinistra) e dall'interno (a destra). La barra bianca di lato corrisponde a 10 cm di lunghezza. | FERNANDO RAMIREZ ROZZI NESSUNA CAPOCCIATA. Fernando Ramirez Rozzi, archeologo del Centre national de la recherche scientifique di Parigi, racconta di aver scartato l'ipotesi iniziale di un foro provocato dal combattimento con un'altra mucca. Il buco, largo 6,4 cm, non presentava intorno alcuna frattura o scheggiatura, né c'erano i segni di un'infezione o di un tumore. Piuttosto, mostrava sui bordi la raschiatura tipica degli interventi di trapanazione (come si vede nell'immagine qui sopra). SFORTUNATA. In questo caso però, la paziente non sopravvisse: sul teschio della mucca non ci sono segni di guarigione ossea. Può darsi che l'intervento sia avvenuto sull'animale in fin di vita nel tentativo di salvarlo, oppure su una mucca già morta, per esercitarsi sull'animale senza danneggiare esseri umani ancora vivi. La prima ipotesi appare più improbabile: dopo tutto, di bovini ci si nutriva. Perché salvarne uno per ucciderne altri? Se valesse invece l'ipotesi di una "prova generale" prima di operare crani umani, si tratterebbe forse della più antica prova archeologica di sperimentazione su animali. |
Post n°2659 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Quale fu la prima merce di scambio globalizzata? Un manufatto complesso da produrre, e bello da vedere. Un'arma. Il primo manufatto da "mercato unico" fu probabilmente un'ascia, quella che oggi chiamiamo amigdala (uno strumento di pietra a forma di grossa mandorla), secondo gli esperti della American Association for the Questo strumento appare quasi standardizzato nella maggior parte delle comunità preistoriche, anche molto lontane fra loro, già centinaia di migliaia di anni fa: perciò gli archeologi hanno ipotizzato che potesse essere una sorta moneta di scambio. TECNOLOGIA E STILE. A differenza dei chopper, ricavati dal distacco di una parte di un sasso, o delle lame di pietra, le amigdale richiedevano molto lavoro e la tecnica veniva tramandata, ed erano anche "belle" da vedere. L'invenzione dell'amigdala e il suo uso diffuso furono uno dei motivi di acquisizione della capacità di astrazione, utile allo sviluppo del cervello e del pensiero "tecnologico". 23 MARZO 2020 |
Post n°2658 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte; articolo riportato dall'Internet I rimedi del passato contro il mal di testaSucco di millepiedi, salassi e pomate di pesce siluro: così gli antichi provavano a curare la cefalea. Con i risultati che potete immaginare. Per secoli le cause del mal di testa sono rimaste oscure e anche i più grandi medici del passato hanno brancolato nel buio avanzando congetture curiose per dare una spiegazione a un malessere apparentemente incurabile. Così sono fioriti rimedi fantasiosi, di rado utili, spesso schifos i e a volte sadici. Oggi le cose vanno molto meglio, ma il mal di testa non è ancora stato del tutto compreso e sconfitto. Statua di Zeus. Anche lui soffriva di mal di testa. Secondo il mito chiese a Efesto di aprirgli la testa con un colpo d'ascia: da lì uscì Atena, dea della sapienza e delle arti. | Millenni fa si pensava che la causa del mal di testa fossero gli dèi. Molti testi assiro-babilonesi datati attorno al 1500 a.C. non a caso maledicevano il "demone della testa". Per guarire, gli antichi Egizi, usavano invece esorcismi e formule magiche. Nei casi più gravi arrivavano alla trapanazione del cranio, praticata affinché gli "spiriti maligni" uscissero dalla testa del poveretto. C'erano anche rimedi più fantasiosi, come legare sulla testa del paziente un piccolo coccodrillo di argilla con in bocca del grano sacro, oppure pronunciare fras i scaramantiche cospargendosi di pomate miracolose. Il Papiro medico di Ebers (ca. 1550 a.C.). consigliava di cuocere nell'olio un cranio di pesce siluro, spalmando sulla testa l'unguento così ottenuto per quattro giorni. UNA VISIONE DEL FUTURO. Il medico Ippocrate di Kos (V secolo a.C.), nell'antica Grecia, è stato il primo a descrivere i disturbi visivi che talvolta precedono un attacco di emicrania. Suggerì, come rimedio, l'uso di una polvere amara estratta dalla corteccia del salice. L'intuizione in questo caso era buona: molti secoli dopo, in farmacologia, si parlerà dei salicilati (farmaci antinfiammatori), precusrsori della moderna aspirina.
Pratica del salasso. Era una degli interventi medici più diffusi nell'antichità: consisteva nel prelevare una considerevole quantità di sangue dal paziente per riequilibrarne gli umori. | CHE SALASSO! A provocare l'emicrania si pensava fosse l'eccesso di bile gialla o nera che si accumulava nel fegato, nel sangue e nello stomaco . Per curarlo si consigliavano lassativi che liberavano stomaco e intestino dagli "umori" biliari in eccesso, oppure salassi che "alleggerivano" fegato e sangue della bile accumulata.
Estrazione della pietra della follia in un dipinto di Hieronymus Bosch. Nel Rinascimento si parlava di "pietra della follia" per indicare l'osteoma, una formazione ossea benigna che si pensava causasse violenti mal di testa al punto che c'erano barbieri- chirurghi che non esitavano ad estrarlo. | SUCCO DI MILLEPIEDI? Come ha raccontato Clauda Giammatteo in un articol uscito su Focus Storia (n. 40, febbraio 2010), nel Seicento l'anatomista inglese Thomas Willis (1621-1675) intuì che il mal di testa nasceva da un "ingorgo" dei vasi sanguigni cerebrali, che era provocato dalle più svariate cause (il freddo, il troppo sole, le abbuffate) e che era associato a sintomi quali una fame "imperiosa", nausea e vomito, poliuria (un'urina acquosa e abbondante). Di conseguenza, vietava ai sofferenti "il vino, le carni speziate, i bagni, i rapporti sessuali", ma anche le "turbe violente della mente e del corpo" mentre raccomandava poco invitanti "clisteri, salassi, decotti" e persino un succo di millepiedi e di tarme ben mescolato. E OGGI? Con l'avvento della biochimica e con i progressi nella conoscenza del sistema nervoso le cose sono per fortuna cambiate e la medicina ha ottenuto significativi successi nella guerra contro l'emicrania. Nel 1988 la Società internazionale di mal di testa (Ihs) ha pubblicato una classifica- zione dei molti tipi possibili di cefalea (identificando 12 categorie). E non mancano studi volti a capire come arginarla. Eppure ancora oggi nessuno è ancora riuscito a decifrare del tutto le cause che la scatenano e a sconfiggerla completamente. |
Post n°2657 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Quando è nato il terrapiattismo? Non nel Medioevo, come molti pensano, ma molto tempo dopo. Tutta colpa di un certo Samuel Birley Rowbotham, come spiega Gianluca Ranzini, astrofisico e giornalista di Focus, nel suo nuovo libro. Nell'era di Internet e delle stazioni spaziali, degli smartphone e del Gps, che cosa ci fanno in giro i terrapiattisti? Come è possibile che qualcuno pensi davvero che la Terra sia fatta come un frisbee o come una pizza? Si tratta di un ritorno alle credenze del passato? No, perché a parte le visioni che ci vengono da alcuni popoli antichi, come gli Egizi e i Babilonesi, che immaginavano il mondo come un luogo piatto, già nel IV secolo a.C. era chiaro che la Terra fosse un globo. Il terrapiattismo nasce in realtà nell'Inghilterra del XIX secolo. E negli ultimi anni sta avendo un successo crescente. Le ragioni sono diverse. Da un lato ci sono i moderni mezzi digitali che consentono di portare le proprie idee, anche le più strampalate, a una platea mondiale. E questo è un bene, un segno di democrazia. Ma allo stesso tempo è diventato troppo facile confondere la popolarità con l'autorevolezza. Ecco allora che se una persona famosa (uno sportivo, un attore, un cantante) dice la sua su qualsiasi argomento, i suoi fan lo prendono in parola.
"Perché dicono che la terra è piatta. Il nuovo fenomeno dei terrapiattisti spiegato in 20 punti " è il libro da cui è estratto questo capitolo. È disponibile in libreria e anche su Amazon. Giovedì 6 febbraio alle 18.00 verrà presentato alla libreria Hoepli di Milano. | Nel caso del terrapiattismo americano, è capitato di recente con la star dell'NBA Kyrie Irving (che poi ha "ritrattato") e con il rapper B.o.B, che ha iniziato un crowdfunding di scarso successo per raccogliere il denaro necessario a inviare un satellite nello spazio, per verificare la forma della Terra. Come se di satelliti non ce ne fossero già migliaia. Della forma della Terra si può anche sorridere; ma il terrapiat- tismo è in realtà la manifestazione più stravagante di un disagio sempre più diffuso nei confronti della scienza ma anche delle istituzioni, di qualsiasi tipo siano. Per questo, è interessante capire come nascano questi fenomeni e come si alimentino ai giorni nostri.
piatta (Centauria Libri, 2019), scritto da Gianluca Ranzini, astrofisico e giornalista di Focus, del quale pubblichiamo qui di seguito il capitolo che riguarda la nascita del terrapiattismo. IL RITORNO DEI TERRAPIATTISTI Rowbotham, Carpenter e gli altri che posero le basi della Flat Earth Society La teoria della Terra piatta riprende vigore nel XIX secolo grazie a Samuel Birley Rowbotham, personaggio poliedrico e controverso. Nato in Inghilterra nel 1816, lo troviamo poco più che ventenne come segretario in una comune socialista radicale. Sono gli anni in cui inizia a indagare la forma della Terra studiando quella della superficie dell'acqua. Ha a disposizione un tratto rettilineo del Bedford Canal, un canale artificiale realizzato nel Seicento nella contea di Cambridge. L'idea di Rowbotham, concettualmente corretta, è che se la Terra è curva anche la superficie delle acque deve incurvarsi seguendo la forma del pianeta. Il suo primo esperimento è del 1838: entra a un capo del canale con un telescopio, tenuto a 20 centimetri dal pelo dell'acqua, e guarda verso il capo opposto. Nello strumento, sostiene di vedere le persone che fanno il bagno a sei miglia di distanza, e di constatare che una barca che si allontana rimane visibile nella sua interezza; se la Terra fosse sferica, la parte più bassa del panorama (bagnanti e scafo della barca) finirebbe sotto l'orizzonte. Quindi non c'è curvatura: la Terra è piatta.
Samuel Birley Rowbotham (1816 - 1884) è stato un inventore e scrittore britannico noto con lo pseudonimo di Parallax. | Rowbotham pubblica i risultati dei suoi esperimenti nel 1849 con lo pseudonimo di Parallax in un fascicolo di 16 pagine intitolato Zetetic Astronomy: A Description of Several Experiments which Prove that the Surface of the Sea is a Perfect Plane, and that the Earth is not a Globe, che nel 1865 diventerà un volume di oltre 200 pagine. Dopo il breve periodo nella comune, si reinventa medico da un lato e conferenziere itinerante dall'altro. Sul primo fronte, anche se non ci sono prove certe che si sia mai laureato in medicina, pratica in diverse città inglese come Dr. Birley Ph.D. Il suo campo di maggiore interesse è come prolungare la vita umana a migliaia di anni o, meglio ancora, come diventare immortali. Sul secondo, comincia a promuovere le sue idee sulla Terra piatta, che da un lato contengono tracce di una visione biblica radicale, dall'altro sono proposte come strumento per le menti libere contro i dogmi della scienza tradizionale. È un ottimo oratore, di modi cortesi, e ha il gusto della polemica. Nelle sue prima uscite pubbliche a volte si trova in difficoltà, ma con il tempo acquisisce sicurezza. E impara a cavarsela d'impaccio nei momenti più delicati svicolando davanti alle domande più insidiose o ribaltando a proprio favore alcune osservazioni che sembrano contraddirlo. Dopo la morte di Rowbotham, le sue idee vengono portate avanti da alcuni seguaci, che nel 1892 trasformano in Universal Zetetic Society la Zetetic Society fondata da Parallax poco prima di morire. L'obiettivo è «la divulgazione della conoscenza relativa alla Cosmogonia Naturale a conferma delle Sacre Scritture, basata sull'indagine pratica». Le idee di Rowbotham intanto arrivano anche negli Stati Uniti, dove si trasferisce uno dei suoi adepti più motivati, lo stampatore William Carpenter. Che insegna stenografia ed è un seguace del mesmerismo, cioè la cura delle malattie attraverso l'applicazione di calamite. Nel 1885, a Baltimora, pubblica il libro One Hundred Proofs the Earth is Not a Globe (Cento prove che la Terra non è un globo).
(1830 - 1896) fu lo stampatore che promosse e diffuse le idee terrapiattiste di Rowbotham negli Stati Uniti. | Nel 1956 Samuel Shenton, inglese, di professione pittore di insegne, s'innamora, poco più che ventenne, delle idee di Parallax imbattendosi nel suo libro mentre studia un aeromobile che può rimanere fermo a mezz'aria in attesa che la Terra ruoti sotto di esso fino a portare i passeggeri alla meta desiderata. E fonda la Flat Earth Research Society, naturale evoluzione della Zetetic Society ma con una connotazione religiosa meno accentuata. Alla sua morte, nel 1971, ne prende le redini l'americano Charles K. Johnson; all'epoca, la società tocca il record di circa 3000 membri. Ma quando anche Johnson muore, nel 2001, il terrapiattismo sembra essere un po' passato di moda. Tuttavia, Johnson ha il tempo di togliersi una soddisfazione: in un'intervista del 1980 sottolinea infatti che il logo delle Nazioni Unite (una rappresentazione del globo terrestre in proiezione azimutale equidistante) sembra esattamente la mappa della Terra piatta disegnata da Rowbotham. E dichiara: «Lo zio Joe [Stalin], Churchill e Roosevelt posero il piano generale per una New Age sotto l'egida delle Nazioni Unite. [...] Dopo la guerra, il mondo sarebbe stato dichiarato piatto e Roosevelt sarebbe stato eletto primo presidente del mondo. Quando la Carta delle Nazioni Unite fu redatta a San Francisco, presero la mappa della Terra piatta come loro simbolo».
Pubblicato su licenza di Centauria Libri, Milano 5 FEBBRAIO 2020
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