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Messaggi del 28/04/2020

I nuovi colleghi di Covid19

Post n°2838 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Virus di 15000 anni fa potrebbero risorgere dallo scioglimento dei ghiacci

Intrappolati nei ghiacci ci sono virus molto antichi e potenzialmente molto pericolosi che ora, a causa dello scioglimento, potrebbero venir liberati dalla trappola di ghiaccio che li ha tenuti isolati per migliaia di anni

Da Valeria Magliani - 22 Gennaio 2020

Intrappolati nei ghiacci ci sono virus molto antichi e potenzialmente molto pericolosi che ora, a causa dello scioglimento, potrebbero venir liberati dalla trappola di ghiaccio che li ha tenuti isolati per migliaia di anni.

 

Virus di 15.000 anni fa intrappolati nei ghiacci del Tibet

A svelare questo terribile scenario è lo studio condotto da un team di ricerca internazionale, una collaborazione tra Cina e Stati Uniti. Per realizzarlo i ricercatori hanno scavato per circa 50 m nei ghiacci dell'Altopiano del Tibet, ricavando così dei campioni di ghiaccio di 15.000 anni fa. I campioni sono stati in seguito analizzati dai ricercatori e ciò che vi hanno trovato li ha lasciati senza parole.

I campioni di ghiaccio nascondevano infatti ben 33 virus diversi di cui 28 sconosciuti, ovvero virus di cui non si conoscono le azioni e gli effetti. E questo era proprio lo scopo delle ricerche, cercare di capire se vi fossero eventuali agenti patogeni intrappolati nei ghiacciai.

Le conseguenze di questa scoperta potrebbero infatti essere molto preoccupanti. Con l'aumento della temperatura media globale aumenta lo scioglimento dei ghiacciai. Molto presto dunque, i virus e gli agenti patogeni che erano sepolti sotto strati di ghiaccio millenario, potrebbero ora venire a contatto con l'atmosfera ed esservi rilasciati.

 

Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacci potrebbero essere quindi molto pericolose

Come afferma Lonnie Thompson, coautore dell'articolo su bioRxiv "questa è una nuova area di ricerca per noi. Il ghiaccio ospita diversi microbi, ma i virus associati e il loro impatto sui microbiomi del ghiaccio sono ancora inesplorati".

Visto il rapido aumento dello scioglimento dei ghiacci, presto potremmo trovarci faccia a faccia con questi nuovi virus, per questo i ricercatori sono molto interessati allo studio di questi virus teoricamente estinti ed rimasti nelle loro trappole di ghiaccio per millenni.

Secondo Scott Rogers, professore della Bowling Green State University, questa eventualità potrebbe avere conseguenze catastrofiche. Come egli stesso afferma "potrebbero scatenarsi epidemie di patologie incurabili che potrebbe compromettere l'esistenza della vita sul pianeta. I pericoli racchiusi nel ghiaccio sono reali e, con gli aumenti dello scioglimento del ghiaccio in tutto il mondo, aumentano anche i rischi derivanti dal rilascio di microbi patogeni nell'ambiente".

 
 
 

Notizie dall'antichità romana.

Post n°2837 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Un villaggio romano riemerge

dagli scavi ai piedi di Castel

Penede

Villaggio romano castel penede

Foto tratta da Montagnando.it

La campagna di scavo sul monte sopra Nago ai piedi di Castel Penede

 (Trento) sta dando frutti inaspettati e sorprendenti.

Dai primi scavi, infatti, sta riemergendo un vero e proprio villaggio

risalente molto probabilmente alla fine del I secolo a.C.

"E' una bomba archeologica quella trovata in questi giorni."

Commenta Morandi, sindaco di Nago Torbole "Più si scava e più

vengono fuori case, spigoli, scalinate e ora ci rendiamo conto che

anche la morfologia del bosco potrebbe seguire linee precise

perché cresciuto sopra un grande insediamento".

Attraverso la campagna di scavo, alla quale sono impegnati gli

studenti dell'Università di Trento in collaborazione con la

Soprintendenza ai Beni Culturali e il Comune, si sta sondando il

terreno del fitto bosco che si estende intorno al castello edificato

intorno al XII secolo.

"Per ora sono stati fatti 3-4 scavi in punti ben precisi e in tutti sono

state trovate tracce di un villaggio con case, stradine, scalinate, muretti.

Stiamo parlando, potenzialmente, di un'area grande circa un ettaro

 quindi potrebbe rivelarsi un insediamento davvero di assoluto

interesse" - prosegue Morandi.

Importanti lavori di restauro interesseranno anche il Castello di Penede,

sotto le cui rovine sono comparse delle scalinate, ma anche stanze e

ambienti che erano stati nascosti da precedenti crolli.

Dagli scavi sono già stati recuperati dei reperti molto interessanti.

Tra questi resti di pasti, monete, ceramiche, ma anche lamine di bronzo

 e quella che potrebbe essere la punta di un pilum (un giavellotto

utilizzato dall'esercito romano).

Scoperte che fanno credere agli archeologi che il sito sia stato occupato in

maniera stabile nel corso dei secoli.

Forse già in epoca retica e poi successivamente occupato dai romani.

Ci vorrà del tempo per approfondire lo studio dell'insediamento, ma

Morandi fa sapere che verranno inseriti dei pannelli informativi per

rendere l'area fruibile al pubblico sin da subito e che verranno investite

ulteriori risorse per prolungare l'intervento e arrivare così a fare

piena luce sull'insediamento.

La notizia è stata pubblicata a metà maggio su alcune testate

locali e magazine online.

Una notizia che volevamo condividere con voi!

La redazione,

Siti Archeologici d'Italia

 
 
 

Una nuova scoperta archeologica

Post n°2836 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Il "Complesso dei Niccolini" la necropoli riscoperta!

Foto tratta da Arte Magazine

Il Museo archeologico regionale di Lilibeo (Marsala, Trapani)

ha reso noto il recupero di una necropoli paleocristiana, da lungo

tempo in stato di abbandono e nascosta alla vista a causa della

presenza di alti arbusti, erbacce e vegetazione spontanea.

Il "complesso dei Niccolini", questo il nome dell'area ora ripulita

e recuperata, è una vasta area archeologica con arcosoli e catacombe

cristiane sita nei pressi del cimitero di Marsala. 

Anna Maria Parrinello, dirigente regionale del museo, spiega che

 "l'assenza di pulizia per molti anni aveva prodotto lo sviluppo

incontrollato di rovi e di piante di Alianthus altissima (alte fino a 15 metri).

E la fitta vegetazione aveva impedito l'accesso al sito, compromettendo

lo stato di conservazione degli arcosoli cristiani, decorati con pitture ad

affresco, e del pregevole pavimento musivo". 

La notizia, diffusa il 24/11 u.s. è stata ripresa da ANSA.it, Repubblica.

it, Sky Tg24, il Giornale di Sicilia e alcune testate locali.

L'area del Niccolini potrebbe essere presto aperta al pubblico.

Una buona notizia che volevamo condividere!

La redazione,

Siti Archeologici d'Italia

 
 
 

Notizie dal Salento antico.

Post n°2835 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

San Pietro in Bevagna, uno

scatto fotografico rivela al

mondo i "Sarcofagi del Re"

salento, i sarcofagi del re

Foto di Cosimo Truno

Un suggestivo scatto fotografico, realizzato dal fotografo Cosimo Truno,

ha mostrato al mondo un piccolo tesoro archeologico composto da 23

sarcofagi di epoca romana risalenti al III secolo d.C., realizzati in marmo

greco e utilizzati, secondo la tradizione, per raccogliere le spoglie mortali di

importanti uomini dell'antica Roma, da qui l'appellativo di "sarcofagi del Re"

Lo scatto, realizzato utilizzando un drone, mostra i 23 blocchi di marmo posti

sul fondale delle limpide acque del Salento che caratterizzano quel tratto di

costa, a pochi metri di profondità.

Sempre secondo la tradizione, la storia dei sarcofagi è legata al la nave che li

stava trasportando verso la capitale, la nave si sarebbe inabissata circa 1700

anni fa, a un centinaio di metri dalle attuali spiagge di San Pietro in Bevagna,

poco distante dalla foce del fiume Chidro, sulla costa ionica salentina, in

provincia di Taranto.

Normalmente poco visibili, a causa delle mareggiate che li ricoprono di sabbia,

questi straordinari reperti hanno suscitato un certo scalpore, immortalati in

uno scatto oggettivamente suggestivo.

La notizia e l'ormai celeberrima foto, nei giorni scorsi sono state pubblicate

da molte testate locali e nazionali, suscitando attenzione e curiosità, forse

complice l'estate ormai alle porte, la bellezza del mare e la forza

espressiva dello scatto.

Una curiosità che volevamo condividere con voi!

La redazione,

Siti Archeologici d'Italia

 
 
 

Notizie dal Tuscolo

Post n°2834 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Riapre il Tuscolo, il parco

archeologico nel cuore dei

Castelli Romani

parco del tuscolo

Tratto da Artemagazine.it

Dopo quasi un anno di chiusura riapre al pubblico il Parco del Tuscolo.

Nel fine settimana del 13 e 14 aprile è fitto il programma di attività alla

scoperta del parco tra cui visite guidate, laboratori e un concerto.

Tusculum può considerarsi il cuore antico dei Catelli Romani.

L'antica città, secondo la leggenda fu fondata da Telegono, figlio di

Ulisse e della Maga Circe intorno al XV secolo a.C.

Si oppose a lungo alla potenza romana ma poi fu sconfitta da Roma

nel 496 a.C. Divenne residenza estiva di imperatori e senatori, fiorente

centro e la sua fama si mantenne fino al Medioevo quando fu definitiva

distrutta nel 1191.

Da allora tante vicende hanno toccato il territorio di Tusculum che

finì nell'oblio fino a quando la Comunità Montana Castelli Romani

acquisì il parco.

Dagli anni Novanta sono state condotte numerose campagne di scavo e

oggi molte e preziose sono le rovine della città che sono state portate

alla luce.

Il percorso di visita del Parco - zona di riserva integrale - si snoda

attraverso i resti del centro urbano: troviamo il Foro, i resti del tempio

di Mercurio e della Basilica, l'area dei tempietti, la Fontana Arcaica

e il teatro risalente al 75 a. C., simbolo del Parco, con cavea semicircolare.

Seguendo i basolati della Via dei Sepolcri, sono visibili i resti dell'edifico

termale scavato recentemente e del Santuario extraurbano.

Buona festa di riapertura, dunque, a chi vorrà partecipare a questa

bellissima iniziativa!

Per informazioni e orari: www.tuscoloparcoarcheologicoculturale.it

(Parco Archeologico Culturale di Tuscolo, Strada Provinciale 73b,

Monte Porzio Catone).

Una news che volevamo condividere con Voi!

La redazione,

Siti Archeologici d'Italia

 
 
 

Angelitos....un libro da leggere

Post n°2833 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

    Angelitos, la terribile violenza del Guatemala

    Le 'maras' padrone del territorio, la triste storia di un bimbo

     © ANSA-

    Francesco De FilippoTRIESTE26 aprile 2020

    (ANSA) - TRIESTE, 26 APR - MARTINA DEI CAS,

    'ANGELITOS' (Prospettivaeditrice; pag.147; Euro 12) 

    Martina Dei Cas è riuscita nell'intento: pubblicare "Angelitos"

    per far rimbalzare al di qua dell'Oceano Atlantico una vicenda di

    "ordinaria" violenza che altrimenti sarebbe stata dimenticata dopo

    che qualche articolo di giornale fosse scolorito e si fosse estinta

    l'eco di una delle poche commemorazioni.

    Una storia come tante in Guatemala quella di Angelito Escalante

    Pérez, 12 anni, sequestrato da una 'mara' di coetanei per arruolarlo,

    contro la sua volontà, nella banda.

    Il rito d'iniziazione consiste nello sparare a all'autista di un autobus

    carico di persone che procede nella loro direzione.

    Angelito si rifiuta e allora viene buttato giù da un ponte.

    Morirà dopo giorni di agonia in ospedale.

    Una storia quasi banale nella sua semplicità: o fai ciò che ti

    diciamo oppure la pagherai cara; i rapporti nel Centro America

    sono sbrigativi e chiari.

    E' la logica del 'mata o mueres', uccidi o muori. Angelito sognava di

    fare l'architetto e invece è finito per volare giù dal ponte più alto del

    Guatemala, il Belice, 125 metri.

    Non era morto subito, la sua caduta fu attutita da erbe e piante del

    pericolosissimo Barrio Jesus de la Buena Esperanza dove lo trovò suo

    padre, Luis, molte ore dopo, troppo tardi per salvarlo.

    Resistette due settimane in coma all'ospedale San Juan de Dios, poi il

    4 luglio spirò.

    Città del Guatemala è così: povertà, disoccupazione, ignoranza, e poi

    vernici o solventi industriali sniffati dai ragazzini per bloccare la fame

    o scongiurare la paura.

    Senza immaginare le conseguenze devastanti sul sistema nervoso e su

    quello respiratorio.

    Infine sincretismi religiosi incompleti, tra riti propiziatori delle divinità

    maya venerate dai indigeni e santi cattolici di ogni fatta che i criminali

    delle maras, insieme con il nome della banda di appartenenza, la Barrio

    18 o l'antagonista Mara Salvatrucha, si tatuano su qualunque parte del

    corpo, perfino gengive e palpebre..

     Una violenza senza volto né ragione: la mara cui appartenevano i ragazzini

    probabilmente era la Barrio 18.

    Un nome noto anche in Italia.

    Forse erano gli stessi giovani assassini di Angelito quelli che qualche mese

    dopo, alla fermata della metropolitana di Milano Rho, quasi mozzarono

    un braccio con un machete a un ferroviere che aveva chiesto loro di mostrare

    i biglietti.

     Devastato dalle dittature, il Centro America sembra avere regole simboliche e

    il Guatemala è il Paese che ha conosciuto forse il più longevo dei despota, Efraìn

    Rìos Montt: trenta anni di massacri.

     Nel 2017, quando Martina Dei Cas, il regista Luca Sartori e il fotografo

    Francesco Melchionda preparavano i bagagli per realizzare un servizio sulla

    storia di Angelito, apprendono che i principali interlocutori delle interviste

    che intendevano fare - il procuratore per l'infanzia e l'adolescenza Harod

    Augusto Flores Valenzuela e il difensore civico nazionale per i diritti umani

    di bambini e adolescenti Gloria Patricia Castro Gutierrez, gli stessi che

    avrebbero dovuto indagare sulla morte del piccolo - erano stati rinviati a

    giudizio per omicidio colposo, maltrattamento di minori e inottemperanza

    dei propri doveri d'ufficio.

    L'inchiesta era stata aperta in seguito al rogo di una casa-famiglia, la Hogar

    Seguro Virgen de la Asuncion di San José Pinula dove l'8 marzo 2017 erano

    morte 41 tra bambine e ragazze, chiuse a chiave nelle loro stanze.

    Non un incendio spontaneo: qualcuno lo aveva appiccato perché le piccole

    non denunciassero gli abusi subiti dagli assistenti sociali, quelli che avrebbero

    dovuto prendersi cura di loro.

     Per la morte di Angelito, invece, non fu mai indagato nessuno.

     Suo padre Luis fu invitato perfino a una cerimonia dal Presidente della

    Repubblica, Jimmy Morales, ma questo non cambiò l'iter giudiziario del

    caso. Anzi.

    Nell'estate 2018 Luis Escalante dopo varie minacce lasciò la pericolosissima

    Zona 6 per tornare in Nicaragua - Paese d'origine della famiglia - dove già

    l'anno prima si erano rifugiati la moglie Claribel Pérez e i figli per scampare

    alla morte.

     E' per queste ragioni che il libro ha patrocinio di Amnesty International Italia

    e del Centro per la Cooperazione Internazionale di Trento.

    E vuole essere un sasso lanciato in uno stagno: secondo dati del 2016 del

    ministero dell'istruzione guatemalteco, nella capitale un bambino su due ha

    paura di andare a scuola temendo di essere arruolato a forza dalla mara.

     Un Paese che ha la povertà nel dna: racconta il credo religioso che Dio aveva

    finito la carne proprio prima di impastare il corpo dei popoli indigeni, dunque

    utilizzò mais.

    Fu per questo disagio sociale primitivo che il biochimico guatemalteco Ricardo

    Bressani nel 1959 inventò la incaparina, una miscela di farina di soia e mais,

    vitamine e minerali, utilizzata come integratore alimentare per combattere la

    malnutrizione tra la popolazione centroamericana. (ANSA).

     
     
     

    Notizie dalla notte dei tempi.

    Post n°2832 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    Fonte: articolo riportato dall'Internet

    25 marzo 2020

    E' un piccolo verme l'antenato di tutti gli animali

     Illustrazione di Ikaria wariootia (©Sohail Wasif/UCR) 

    I sedimenti di un sito australiano risalenti a più di 550 milioni di

    anni fa portano i segni fossili della presenza di un verme lungo

    pochi millimetri che potrebbe essere il capostipite di tutti gli animali

    a simmetria bilaterale, dagli insetti agli organismi superiori, compresi

    gli esseri umani.

    Un corpo cilindrico, con due estremità collegate tra loro da un tubo

    digerente.

    È una semplice organizzazione anatomica di base, mantenuta dalla gran

    parte degli animali attuali, dagli insetti agli organismi superiori, compresi

    gli esseri umani.

    Ed è anche quella di un piccolo verme chiamato Ikaria wariootia,

    vissuto più di 550 milioni di anni fa, che si candida a essere il

    capostipite filogenetico di tutti gli animali a simmetria bilaterale, o

    bilateriani.

    Lo affermano Scott Evans e colleghi dell'Università della California a

    Riverside in un articolo su "Proceedings of the National

    Academy of Sciences".

    La scoperta è stata guidata da alcuni modelli e congetture sull'evoluzione

    primordiale della vita animale.

    Gli organismi pluricellulari più antichi, dotati di forme variabili, non

    avevano né bocca né intestino, e non hanno perciò un rapporto di parentela

    diretta con gli animali attuali.

    L'idea è che in qualche epoca, distante da noi centinaia di milioni di anni,

    sia emerso l'antenato di tutti i bilateriani: un piccolo e semplice organismo

    simile a un verme, dotato di organi sensoriali rudimentali, le cui tracce

    fossili si pensava sarebbero state quasi impossibili da rilevare.

    Evans e colleghi hanno concentrato la loro attenzione sulle formazioni

    di Nilpena, in Australia meridionale.

    È qui infatti che si trovano i depositi del periodo Ediacarano (635-542 milioni

    di anni fa), in cui sono presenti numerose strutture interpretate come le tane

    scavate da misteriosi piccoli organismi.

    Lì i ricercatori hanno notato minuscole impronte ovali vicino alle tane.

    Usando uno scanner laser tridimensionale, hanno evidenziato una forma

    regolare, compatibile con un animale dal corpo cilindrico, lungo 2-7

    millimetri e largo 1-2,5 millimetri, con testa e coda distinte.

    I segni di spostamento dei sedimenti nelle tane indicano inoltre che

    l'organismo si nutriva di materia organica sepolta: Ikaria probabilmente

    aveva una bocca, un intestino e un ano. Inoltre, le tane mostrano

    caratteristici segni a forma di "V", che indicherebbero che l'animaletto

    si muoveva con una locomozione peristaltica, cioè contraendo

    ritmicamente i muscoli in tutto il corpo. 

    Nonostante la sua forma relativamente semplice, spiegano i ricercatori,

    Ikaria era un organismo complesso rispetto ad altri fossili dello stesso

    periodo.

    Si muoveva scavando attraverso sottili strati di sabbia ben ossigenata sul

    fondo dell'oceano alla ricerca di materia organica, il che indicherebbe

    rudimentali capacità sensoriali. (red)

     
     
     

    Vivere senza emoglobina

    Post n°2831 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    Fonte: articolo riportato dall'Internet.

    03 dicembre 2019Comunicato stampa

    Sequenziato da ricercatori dell'università di Padova il genoma

    del pesce ghiacciolo unico vertebrato capace di vivere senza

    emoglobina

    Università di PadovaChionodraco hamatus
    Wikimedia/Marrabbio2  Il riscaldamento degli oceani mette a

    rischio milioni di anni di evoluzione

    Come si può vivere senza emoglobina in un ambiente ostile come

    quello dell'oceano antartico con temperature costantemente sotto zero?

    I ricercatori dell'Università di Padova hanno cercato la risposta

    sequenziando il genoma del pesce ghiacciolo o "icefish" - l'unico

    vertebrato privo del principale trasportatore di ossigeno,

    l'emoglobina.

    Lo studio è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista «Nature

    - Communications Biology».

    Il lavoro analizza sia il genoma che il trascrittoma muscolare (l'insieme

    di tutti i geni espressi nel muscolo) del pesce ghiacciolo Chionodraco

    myersi confrontandolo con altri pesci provvisti invece di emoglobina

    che vivono sia in aree temperate che nello stesso Oceano Antartico.

    «Gli adattamenti che hanno permesso ai pesci ghiacciolo di vivere

    senza emoglobina in un ambiente così estremo sono molteplici -

    spiega il prof. Tomaso Patarnello, Dipartimento di Biomedicina comparata

    e Alimentazione dell'Università di Padova e responsabile della ricerca -.

    In milioni di anni di evoluzione nell'Oceano Meridionale, con temperature

    costantemente sotto gli 0°C, i pesci ghiacciolo hanno sviluppato un sistema

    circolatorio provvisto di una rete di vasi sanguigni molto più ramificata e

    con diametro dei vasi maggiore delle specie a sangue rosso, cioè con

    emoglobina. 

    Queste modificazioni, come pure la maggiore dimensione del cuore, sono

    adattamenti peculiari dei pesci ghiacciolo per poter trasportare - in assenza

    di emoglobina - l'ossigeno disciolto nel sangue in modo più efficiente.»

    «L'adattamento più sorprendente però è a livello mitocondriale (la centrale

    energetica della cellula) - dice il prof. Luca Bargelloni, primo autore

    dell'articolo -. In questi pesci i mitocondri sono di gran lunga più numerosi

    e più grandi rispetto a qualsiasi specie presa a confronto».

    I risultati della ricerca mostrano come sia evidente un adattamento a livello

    del genoma di questo pesce che nel corso della sua evoluzione sembra

    aver duplicato proprio i geni che riguardano le funzioni mitocondriali

    chiave per sopravvivere alle condizioni dell'Oceano Antartico.

    «Il processo di evoluzione che ha permesso a questi pesci di adattarsi ad

    un ambiente così estremo ha richiesto molti milioni di anni ed è ormai

    irreversibile.

    I pesci ghiacciolo e le altre specie di pesci antartici tollerano variazioni di

    temperatura di pochissimi gradi. Se esposte a temperature anche di poco

    superiori allo zero, muoiono.

    Il riscaldamento globale sta interessando con una rapidità impressionante

    ed in modo significativo molte aree dell'Antartide.

    Rischiamo di spazzare via in pochi decenni milioni di anni di evoluzione»

    commenta il Prof. Patarnello.

     
     
     

    L'economia circolare...

    Post n°2830 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    Fonte: articolo riportato dall'Internet

    Il Sud che fa "girare" l'economia.

    Tante imprese siciliane tra le più virtuose

    Andrea Di Piazza

    Ormai da diversi anni non si fa che parlare di "economia circolare",

    quel modello economico che dovrebbe soppiantare la poco sostenibile

    "economia lineare" (prendi-produci-getta) con un sistema in grado di

    ripensare l'intero ciclo di vita dei prodotti e dei relativi processi,

    minimizzando gli impatti sull'ambiente.

    Non sono solo chiacchiere, come dimostrano le politiche messe in

    atto dall'Unione Europea ma anche dal nostro Paese, ma soprattutto

    come documentato dalle numerose realtà sparse su tutto il territorio

    nazionale che orientano il proprio business seguendo politiche di

    circolarità.

    Con l'obiettivo di mappare tutte le aziende esistenti in Italia che siano

    promotrici della circolarità delle risorse, il Consorzio ECODOM e il

    Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali (CDCA) hanno

    creato il primo Atlante Italiano dell'Economia Circolare: una piattaforma

    web interattiva che censisce e racconta le esperienze delle realtà

    economiche e associative impegnate ad applicare i principi dell'economia

    circolare.

    Strumento di sensibilizzazione, informazione e documentazione è

    aggiornabile continuamente, compilando un'apposita scheda che viene

    validata dal Comitato Tecnico Scientifico (tra cui vi sono, oltre i due

    enti sopramenzionati, la Fondazione Ecosistemi ed il Consorzio del

    Politecnico di Milano Poliedra).

    Vediamo adesso quali sono le esperienze segnalate nella regione più a

    sud d'Italia: la Sicilia.

    Trapani

    Dal 2008, con sede in provincia di Trapani, la Calcestruzzi Ericina Libera

    Società Cooperativa produce e vende aggregati riciclati attraverso l'utilizzo

    dell'impianto di riciclaggio denominato "Recupero Omogeneizzato Scarti

    Edilizia" (R.O.S.E.).

    Si tratta di aggregati di natura inerte (sabbie e pietrisco) generalmente

    destinati ad opere di ingegneria civile come la realizzazione di sottofondi

    stradali, del corpo di rilevati stradali e ferroviari, di riempimenti e colmate

    o ancora di strati fondazione e confezionamento di calcestruzzi.

    Dall'attività di recupero, inoltre, la Cooperativa ottiene diversi sottoprodotti

    che rivende sul mercato.

    Palermo

    Al Revés è una cosiddetta "sartoria sociale" che sin dal luglio 2012 fonda

    la sua mission sull'inclusione socio-lavorativa e sul supporto socio-relazionale

    di persone svantaggiate.

    La sartoria è un laboratorio tessile che sfrutta capi destinati a diventare scarto

    o eccedenza, dopo loro opportuna igienizzazione, per dare vita a nuove creazioni.

    Si organizzano anche corsi di cucito per imparare a recuperare vecchi abiti

    con le proprie mani.

    Gli abiti ricevuti che non possono essere lavorati, inoltre, vengono donati ad

    organizzazioni che si occupano dell'assistenza di persone svantaggiate.

    Emmaus Palermo recupera a domicilio arredamento, oggettistica, vestiti e

    libri di cui i palermitani vogliono disfarsi.

    La merce viene rivalorizzata, ripulita e rivenduta a prezzi popolari all'interno

    di un famoso mercatino; il guadagno che ne deriva viene reinvestito in

    attività di accoglienza ed in azioni di solidarietà.

    Emmaus si dedica inoltre a numerose iniziative di educazione nel campo

    della giustizia ambientale e della povertà educativa.

    Catania

    Specializzata nella realizzazione di strutture in legno ed in particolare con

    sistema "xlam" o telaio, secondo i canoni cardine della bioedilizia, la ditta

    Prefabbricati di Martelli Salvatore & C. S.a.s. opera cercando di ridurre gli

    impatti ambientali su tutto il ciclo di vita del prodotto: dall'approvvigiona-

    mento delle materie prima, alla fase costruttiva fino all'utilizzo dell'edificio

    ed al suo smantellamento.

    La ditta, inoltre, utilizza solo legno proveniente da foreste gestite in maniera

    sostenibile e certificate PEFC o FSC, utilizza fonti rinnovabili per

    l'approvvigionamento energetico e controlla le emissioni di polveri.

    A Valverde, alle falde dell'Etna, si trova la TS Asfalti srl, realtà che opera

    da oltre 30 anni nel campo delle costruzioni e manutenzioni stradali.

    La ditta ricicla l'asfalto direttamente sul luogo della lavorazione, consentendo

    la riduzione del materiale di scarto e un ridotto approvvigionamento di

    materia prima.

    Il recupero del fresato è dunque la politica di circolarità più importante di

    questa realtà catanese che ha acquisito in esclusiva nazionale un macchinario

    per il riciclaggio "in situ" del manto stradale.

    Orange Fiber è un'azienda innovativa che utilizza gli scarti della lavorazione

    industriale degli agrumi (il pastazzo) per realizzare un bio-tessuto impiegato

    nella produzione di vestiti e capi di abbigliamento.

    È probabilmente uno degli esempi più brillanti e riusciti di economia circolare

    non solo a livello regionale, ma anche nazionale.

    Nel 2017 per l'azienda si sono inoltre spalancate le porte del fashion-system

    con la presentazione della "Orange Fiber Capsule Collection" di Salvatore

    Ferragamo, la prima collezione di moda realizzata con tessuti ricavati

    dai sottoprodotti della lavorazione industriale delle arance siciliane,

    impreziosita dalle stampe di Mario Trimarchi, architetto e designer

    vicintore del Compasso d'Oro 2016.

    A Catania si trova inoltre la Fabbrica Interculturale Ecosostenibile del

    Riuso (Fieri), dove vengono portati oggetti, vestiti e mobili non più

    utilizzati con lo scopo di essere reimmessi in circolo.

    Così, biciclette arrugginite diventano tavolini o panche, vecchi cerchioni

    diventano portabicchieri per banconi da bar e via dicendo; tutti oggetti

    che vengono commercializzati all'interno di circuiti di vendita di

    economia alternativa e distribuiti grazie alla creazione di un marchio

    autoprodotto che identifica e sponsorizza l'impresa e la logica di

    ogni progetto.

    La Cooperativa Guglielmino offre soluzioni ecocompatibili per l'edilizia,

    come per esempio intonaci e battuto di cocciopesto, intonaci di terra

    cruda, tadelakt, calce canapulo e pittura a calce.

    Tutto il cocciopesto delle malte in calce proviene dagli scarti di

    lavorazione del cotto fatto a mano e industriali, mentre tutti gli inerti

    vengono recuperati da svariate cave siciliane: quando si dice

    chiudere il cerchio.

    Il canapulo, inoltre, è ottenuto come sottoprodotto della canapa industriale,

    coltivata da società agricole siciliane. Si può parlare in questo caso

    anche di simbiosi industriale.

    Ragusa

    Mosaici, incisioni, bassorilievi e gioielli, la Società Cooperativa

    PietrAngolare si trova a Comiso, all'interno della Mondial Granit

    S.p.A., che mette a disposizione i propri macchinari.

    Qui si lavora "lo scarto della pietra" della ditta ospitante, che

    altrimenti sarebbe inviato a smaltimento, per realizzare nuove

    opere da vendere al mercato locale o commissionate su richiesta

    da specifici clienti.

    La Cooperativa inoltre adotta una politica fortemente inclusiva,

    offrendo percorsi di crescita lavorativa e formazione professionale

    a soggetti diversamente abili e alle loro famiglie.

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    RIVISTANATURA.COM

     
     
     

    Dalla Sicilia tradizionale

    Post n°2829 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    F0nte: articolo riportato dall'Internet

    IN SICILIA

    Adottare un capra girgentana per salvarla dall'estinzione

    Adottare un capra girgentana per salvarla dall'estinzione

     

    Le origini dell'arrivo della capra girgentana in

    Sicilia risalgono alla colonizzazione greca dell'isola.

    Questo animale, oggi, rappresenta un eccezionale

    esempio di biodiversità del territorio che, però,

    rischia di andare perduto.

    Quindi, l'associazione per la tutela di questo animale

    unico ha lanciato una campagna di adozioni a

    distanza, al fine di salvare gli ultimi 1200 individui

    rimasti.

    Il progetto

    Gli animali adottati sono già una sessantina.

    Le richieste sono arrivate anche da Belgio e Germania.

    Poche, invece, le domande di adozione giunte proprio

    dalla Sicilia, terra di questo magnifico animale.

    Adottare a distanza una capra girgentana costa 50€.

    Oltre all'attestato e alla foto dell'animale, l'adottante

    riceverà anche una caciotta prodotta proprio con il suo

    latte.

    Ma non solo: si potranno ricevere - a scelta - anche

    mezzo chilo di mandorle, due bottiglie di Nero d'Avola,

    miele e antichi grani.

    Insomma, un progetto non solo per salvare una specie

    a rischio, ma per tutelare un intero territorio.

    Simbolo di abbondanza e ricchezza

    La capra, nel mondo antico, rappresentava l'abbondanza.

    Secondo la leggenda, Giove fu nutrito proprio da una

    capra, Amaltea.

     Il corno spiralato della capra girgentana era immaginato

    come un contenitore di ricchezza, prolificità, abbondanza.

    Il late della capra girgentana - come quello d'asina - è

    quello che si avvicina maggiormente alla composizione

    del latte umano e dalla sua lavorazione si ottengono

    ottimi formaggi dal sapore unico.

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    CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM

     
     
     

    Altro riciclo

    Post n°2828 pubblicato il 28 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    Fonte: articolo riportato dall'Internet

    Riciclo degli imballaggi in acciaio,

    Italia modello europeo

    Riciclo degli imballaggi in acciaio, Italia modello europeo

    Dal 1997 - anno della nascita del consorzio RICREA

    - in Italia sono state avviate al riciclo 5,6 milioni di

    tonnellate di imballaggi in acciaio.

     Per fare dei paragoni, corrisponde al quantitativo

    necessario a realizzare i 50.700 vagoni di un treno lungo

    da Roma a Parigi o 56.300 km di binari, che equivalgono

    a più del doppio della rete ferroviaria italiana.

    Non solo. Dal 2005 ad oggi, grazie al riciclo degli imballaggi

    in acciaio sono stati risparmiati 350 milioni di Euro di

    materia prima e evitata l'emissione di gas serra per un

    totale di 4 milioni di tonnellate.

    Sono alcuni dei dati contenuti nel Green Economy Report

     "Dall'acciaio all'acciaio: una perfetta storia di economia

    circolare" realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo

    sostenibile e presentati ieri a Milano in un incontro che è

    stata anche l'occasione per festeggiare il ventennale di

    RICREA, il Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo

    degli Imballaggi in Acciaio.

    Un'eccellenza europea

    Con la raccolta e il riciclo di scatole, barattoli, bombolette

    aerosol, latte, fusti e secchielli, tappi e coperchi l'Italia è

    protagonista in Europa di un modello virtuoso che non crea

    rifiuti e risparmia energia, con importanti benefici ambientali

    e socio-economici.

    «In 20 anni di attività abbiamo fatto molta strada, e con

    RICREA in Italia è cresciuto il tasso di avvio a riciclo degli

    imballaggi in acciaio - ha spiegato Domenico Rinaldini,

    Presidente RICREA -.

    Già dal 2002 abbiamo superato l'obiettivo del 50% dell'immesso

    al consumo fissato dalla direttiva europea per il 2008, e dal 2009

    ci siamo attestati su valori superiori al 70%, fino a raggiungere

    lo scorso anno quota 77,5%.

    A livello europeo siamo un'eccellenza, e guardiamo al futuro

    ponendoci nuovi obiettivi, accettando fino in fondo la sfida

    della Circular Economy".

    Grande soddisfazione è stata espressa anche da Giorgio

    Quagliuolo, Presidente di CONAI.

    «Anche grazie all'attività di RICREA, siamo passati in 20

    anni dall'avvio a riciclo di 190mila tonnellate di rifiuti di

    imballaggio a oltre 4 milioni, con un tasso di riciclo che

    ha toccato nel 2016 il 67,1%.

    Numeri particolarmente significativi, che hanno reso l'Italia

    una vera e propria best practice europea».

    Il consorzio Ricrea

    Il Consorzio RICREA è un'organizzazione senza scopo di

    lucro che sotto la supervisione e l'indirizzo di CONAI

    favorisce la raccolta, il riuso e l'avvio a riciclo di tutti i

    rifiuti di imballaggio in acciaio, collaborando con tutti

    gli attori della filiera: dai cittadini ai Comuni, alle piatta-

    forme di selezione, per arrivare agli operatori del rottame

    e infine alle acciaierie e fonderie.

    Oggi RICREA conta 281 consorziati e incentiva la crescita

    della raccolta differenziata attivando delle Convenzioni

    attraverso le quali chi aderisce, sulla base della qualità

    dei rifiuti di imballaggio in acciaio raccolti, riceve un

    corrispettivo economico.


    Attualmente sono attive 376 Convenzioni per un totale di

    5.621 Comuni coinvolti, il 70% dei Comuni italiani.

    La quota della popolazione servita nel 2016 è stata l'80%.

    Migliorata sensibilmente dal 2000 la copertura territoriale,

    in particolare al Sud: le convenzioni nel 2000 coprivano il

    25% dei residenti nelle regioni meridionali, mentre nel

    2016 la copertura è arrivata al 72%.

    Guardando al 2030

    «Negli ultimi 20 anni, con la nascita del sistema CONAI,

    l'introduzione del contributo ambientale e la garanzia del

    ritiro dei rifiuti di imballaggio raccolti in maniera

    differenziata, la gestione dei rifiuti urbani in Italia è

    profondamente cambiata, con l'80% dei rifiuti urbani

    che prima del 1997 finivano in discarica, contro l'attuale

    26%» ha spiegato Edo Ronchi, Presidente della

    Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile».

    Tuttavia, per raggiungere gli obiettivi europei di riciclo

    fissati per il 2030 occorrà fare di più, aumentando la

    parte riutilizzabile e riutilizzata degli imballaggi, migliorando

    ulteriormente la qualità delle raccolte e dei pretrattamenti,

    al fine di ridurre gli scarti e aumentare il riciclo effettivo

    nelle acciaierie.

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    E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM

     
     
     

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