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Vista d'interno di un disordinato pomeriggio di una primavera che non vuol uscire.

Post n°395 pubblicato il 12 Aprile 2008 da ipermarco1
 


Sembra un pomeriggio disperatamente triste, come la primavera quando non vuole uscire.

"La quiete prima della tempesta" una calma ventosa prima del disordine elettorale che ci travolgerà tra poco.

Ma non è di politica che voglio parlare e neppure d'amore.

Voglio riempire questo pomeriggio con qualcosa di "positivo e buono", per questo scriverò di disordine, di tristezza e lutto.

Provate a seguirmi se ne avete voglia.

Dicevo che politica ed amore sono argomenti distanti da me in questo momento. Sentimenti in cui ho creduto e per cui ho sofferto, passioni che non rinnego affatto, ma... non sento mie, non mi appartengono adesso... come se fossero misteriosamente ed improvvisamente morte, lasciandomi in quella fase che, i bravi psicoterapeuti, chiamano: "di elaborazione del lutto".

Io che psicoterapeuta non sono, ma solo un piccolo psicotecnologo e per giunta arguto, non mi avventurerò nell'approfondimento tematico di questa esperienza depressiva di gestione dell'emozione. Vi consiglio di cercare e leggere qualcosa a riguardo, vi restituirà di certo positive riflessioni, fidatevi!

Il dolore in quanto tale non fa bene, non è vero che "tempra e che forma"... cazzate! L'esperienza di perdita di qualche cosa di buono che avevamo o in cui credevamo non è un esperienza formativa ma esclusivamente depressiva, non si scappa. Solo la capacità di gestione delle emozioni che rispetta il dolore trasformandolo in una consapevole esperienza, rende questo stato emotivo negativo in un "positivo presupposto".

Si tratta di mettere ordine, non confondere le cose, concentrarsi autorevolmente su se stessi e basta, siamo noi il nostro universo. Non è il dolore di per sé che deve essere annullato, né, tanto meno, lo sono i tentativi di minimizzarlo o metabolizzarlo. Bisogna riconoscere il dolore per quello che è... senza la fretta di rimuoverlo, con consapevolezza. Atteggiamenti del tipo: "Coraggio... ce la farai a dimenticare" o peggio "non ne vale la pena di soffrire"... sono sbagliati e superficiali utili solo a favorire scissioni e mortificazioni di sé, anziché integrazioni. In questo modo, una parte di noi muore con la morte stessa dell'ideale perduto.

Ma io so cosa fare, io devo sempre sapere cosa fare è scritto a chiare lettere nei miei contratti. Non fuggo il dolore ma lo affronto, non mi serve coraggio, tolleranza o perdono ma schiettezza e fiducia nei miei ideali e valori. Non ho paura di trovarmi a contare solo su me stesso. Trasformerò lo smarrimento del disordine nell'accettazione di me e dei miei limiti.

In fondo cosa è un perdita se non la mancanza di un punto certo di riferimento. Può essere politica, può essere amore, può essere amicizia, un ideale qualunque o anche una presenza fisica. Una perdita è uno stato di disordine interiore causato dalla mancanza improvvisa di un riferimento, come quando ti rubano il portafogli... che avvertii? Disordine... mancanza degli strumenti ordinari di sopravvivenza (documenti, carte di credito, foto ricordo e appunti vari), e questo prevale il dispiacere della perdita del denaro. La mancanza di punti fermi: il disordine, è la causa del dolore e se pensiamo che tutta la società contemporanea è fondata sul principio del disordine, la cosa diventa inquietante e di competenza filosofica.

Quello che manca al disordine per essere un valido modello sociale sono i confini netti, le linee di demarcazione, gli spartiacque, le righe diritte.
Il disordine ha i tratti abbozzati di un incompleto. Un cumulo di intenzioni, una catasta di conti aperti che si confondono alterando continuamente le somme. Nel disordine, le divisioni producono moltiplicazioni e le addizioni sottrazioni etiche e morali.
L'elevamento a potenza dell'uguaglianza tra le persone produce sottrazioni di autorevolezza, estrae alla radice l'albero genealogico delle ragioni, delle responsabilità e dei dissensi, delle conseguenze e dei consensi. Altera il tono delle voci, produce una nota lunga che si canta in coro, qualche volta persino nella gaiezza leggera di un girotondo.
Nel disordine, nelle sfumature del disordine, accucciato nelle sue penombre, il dolore ha il pelo rasato e gli artigli ritti .
Nel modello sociale del disordine le sequenze di toni bianchi, neri e rossi perdono i denti e inseguono adattamenti, pur di eseguire melodie senza un'intonazione.

Ci sono stanze per il fumo, nel disordine; con le finestre semiaperte. Ci sono indulgenze al cioccolato, con aromi dolci, con profumi amari, con un vago senso di arance e miele, con sensi di colpa dentro, fuori e sopra tutto altrove. Si è confuso il senso di responsabilità personale con quello globale nel disordine.

Tra le sfumature del disordine si spalmano discorsi appassionati d'equilibrismo, ostinatamente vili nello sfuggire il fulcro.
E' la Terra del tutto è possibile, del divieto a condizione, del dialogo a oltranza, dell'indeterminazione del limite.
Dell'ipotesi che qualcun altro domani pagherà lo spasimo illimitato del confronto. Ciò che oggi si perde scorrerà ad aspettare a valle.
Nel disordine la notte è un foglio per scrivere le parole che il giorno nasconde dietro le sordine delle condivisioni a termine.

E' la notte che cola i sensi profondi di ribellione. Le mani tese nel buio che porgono le domande disattese e le ipotesi di risposta, che sempre, sottendono la resa alle subdole regole del disordine democratico.

Non ci sono abbracci appassionati, ira funesta, rinunce, coerenza e neppure rispetto ma solo infecondo compromesso. Nel Paese del disordine, filano mille Penelopi che disfano senza posa tele che si intrecciano tra loro. I colori si confondono, si ingarbugliano le trame. Il disordine è anche popolato di tentacoli che cercano un aggancio, un senso, una via di fuga ad un oppiaceo buonismo. Tentacoli che ondeggiando intimiditi ed appesi a domande sussurrate, a rabbia accennata, che ributtiamo in gola come medicine che fa male bere.

C'è un cuneo scuro tra le sfumature del disordine. E molte intercapedini, silenti. Ed interstizi dolenti, stretti e profondi. Sacche di potere assoluto a cui ci rivolgiamo con un sorriso cocciuto miscelato con due gocce sottaciute di pianto.
Il disordine non è il caos dei panni sparpagliati sui divani, non i bicchieri di carta con i fondi sporchi, non i letti disfatti o una scrivania come la mia, stracolme di cartacce e di mozziconi di sigarette. Non è tutte quelle cose che non si trovano, ma tutte quelle altre che si nascondono nei meandri di un torrente fragoroso di parole e di aspettative disattese.

Per questo e molto altro ancora il disordine è il ventre fecondo del disagio e del dolore.

Mi riapproprio dei miei pensieri, prendo le distanze, non ci voglio interloquire col disordine, nessuno mi costringerà a dialogarci, tappo le orecchie alla comune ragione e mi ritrovo in compagnia della mia tristezza.

Amo quel sedimento di tristezza che mi porto dentro.
Non è nostalgia o rimpianto o rabbia ma puro estratto di tristezza.
Lo amo. Come il residuo rubino sul fondo del mio bicchiere di vino.

Amo le cose che forse altri non vedono, come io le vedo.
Amo i miei occhi e le ombre che hanno dentro, rabbuiati dai riflessi dei sorrisi che mi sono stati regalati e tolti.
Amo quello che forse gli altri non hanno capito, quello che hanno scordato, o magari che ho solo immaginato.
Amo le parole che s'arricciano e sembrano volare lontano. Parole che spesso cadono a picco come stella cadente che mi cade in grembo, bruciandomi dentro.
Amo la tristezza quando è roca e profonda, quando ti fa vibrare con una nota lunga, struggente e inutile come un immenso amare. Un suono distante, un canto differito, un riverbero che graffia il cuore e poi svanisce, muore, tace.

Sorridi, piccola. Io questo voglio, che tu sia serena. A me, basta che sei "contenta...".

Ma quanto è consapevolmente triste, questo disordinato pomeriggio di una primavera che non vuol uscire.

P.S. - Se fosse stato bel tempo sarei andato in campagna ad ammirare l'ordine, crudele e senza compromessi, della natura!

 
 
 
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