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Un blog creato da alexisdg10 il 01/02/2005

Arrancame la vida!

la realtà, i sogni, la politica, l'amore, la rabbia e l'allegria: la mia vita

 
 

 

AREA PERSONALE

 

       Soft Colors | Colores SuavesCOLORES EN AGUA

 

"Sólo los besos son más placenteros que las palabras" 

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FERMIAMO LA GUERRA

per tutte le infanzie rubate

per i legami strappati

per i fiori recisi

per le andate senza ritorno

per tutti i “progetti-uomo” mai realizzati

per tutte le ferite dell’abbandono

per tutto il freddo

per tutta la paura

per tutto l’odio

per tutta la fame

per tutto il non amore…

 

SOLO LIBERTÀ...E GIUSTIZIA

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ALDA MERINI

E tutti noi costretti dentro
le ombre del vino
non abbiamo parole nè potere
per invogliare altri avventori.
Siamo osti senza domande
riceviamo tutti
solo che abbiano un cuore.
Siamo poeti fatti di vesti pesanti
e intime calure di bosco,
siamo contadini che portano
la terra a Venere
siamo usurai pieni di croci
siamo conventi che non hanno sangue
siamo una fede senza profeti
ma siamo poeti.
Soli come le bestie
buttati per ogni fango
senza una casa libera
nè un sasso per sentimento

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Post N° 500

Post n°500 pubblicato il 24 Giugno 2007 da alexisdg10
Foto di alexisdg10

"Non sappiamo che cosa gli sia successo, speriamo niente di grave, ovviamente. Papà non voleva neanche che ti chiamassimo per non farti preoccupare, ma noi volevamo avvisarti, volevamo dirtelo.”  “ Non era mai successo prima che si allontanasse per tanto tempo senza avvisarci. Abbiamo chiamato i suoi amici per sapere se fosse da qualcuno di loro. Lo abbiamo cercato nei soliti posti che frequenta, ma  niente da fare, non era da nessuna parte.” “ Siamo stati dalla polizia, li abbiamo pregati di cercarlo loro, ma tu sai come funzionano le cose qui. Ci hanno detto che faranno del loro meglio per trovarlo.”  “ Ho persino dato un’occhiata al fiume, ma lui nuota benissimo e non è possibile che gli sia successo qualcosa in acqua. “ “ Sono preoccupato, Alex, non so perché, ma ho paura che gli sia successo qualcosa .” Era Farooq che mi raccontava la  scomparsa di Mimi, oltre 12 anni fa

La mattina prima della partenza avevo fatto qualche telefonata a due o tre amici. Avevo portato il cane da mia madre, avevo abbracciato mio padre che sedeva muto nella sua poltrona di sempre cercando di non sentirmi troppo in colpa per il fatto che lo abbandonavo  alla sua malattia per cercare di guarire me stesso. Nonostante lo vedessi quasi tutti i giorni, quella mattina restai stupito dalla  sua magrezza, dai suoi occhi spenti, dal suo confuso farfugliare parole che ormai nessuno capiva più. Volli portarlo in bagno un’ultima volta. Lo lavai con cura, gli pettinai i capelli radi e lo profumai  per bene come si fa con i bambini mentre lui mi guardava e sorrideva di quel sorriso ebete, attonito e doloroso che solo coloro che hanno varcato la soglia della demenza possiedono, quel sorriso  contorto e deforme che non esprime propriamente disperazione o paura ma  piuttosto incredulità e stupore muto. Lasciai le angosce e tutte le preoccupazioni a mia madre e corsi via.

Quella sera feci una valigia perfetta, una valigia da concorso. Ci infilai dentro la mia vita fatta di libri, di dischi, di cartoline e fotografie, di ritagli di giornale, d’indirizzi e numeri di telefono. Presi pochi vestiti, ma piegai scrupolosamente i pantaloni e le camicie con una cura che non avevo mai avuto prima. Quand’ebbi finito chiusi la lampo, scrissi il mio nome e il mio indirizzo su di un etichetta nuova e ne applicai una più grande su lati della valigia: “ fragile, maneggiare con cura”, si leggeva a chiare lettere, la sintesi di quello che ero io in quel momento della mia vita. Controllai passaporto e biglietto aereo, poi mi misi a letto.

La mattina dopo mi svegliai prestissimo. Chiusi la porta di casa e mi diressi  con  un taxi all’aeroporto. Non mi voltai neppure per guardare indietro.

Questi giorni di non lavoro a Torino mi paiono eterni. Mi preoccupa il fatto che io non sappia organizzarmi il tempo quando non lavoro, nonostante la lettura e la musica. Per quanto io faccia il mio pensiero corre sempre là, ai miei amici. In effetti ho un pessimo sociale qua in città. Tranne la mia famiglia, Paolo e la Silvia, non vedo nessuno. Sto diventando pigro. E orso. Sempre più orso. Non sono una di quelle persone che gli altri presentano volentieri alle feste, uno di quelli che ti fanno fare bella figura. Non sono il tipo che piace alla mamme e alla zie. Un tempo, quando bevevo molto, forse per via del grande senso di colpa che mi opprimeva, dovevo compiacere gli altri. La paura di essere inadeguato prevaleva su tutto. Da quando ho smesso di bere ho perso molta gente per strada. Poco male, dopo tutto. Con gli anni e con la sobrietà ho riscoperto il vero me stesso: ruvido, un po’ cinico, non troppo simpatico. Per anni ho tentato di fare tutto quello che facevano gli altri senza riuscirci. Era molto avvilente dover star dietro a tutto. Ora posso permettermi di essere come desidero, senza l’assillo di piacere agli altri. Sono sempre stato strano però. Ha  ragione Silvia, che mi conosce da sempre. Ho pochissimi amici. Ho dei momenti piacevoli, talvolta. Ieri, ad esempio, ho trascorso un’ora al telefono con un amico storico del blog. Un piacere immenso. Con un altro ci sentiamo quasi ogni giorno. E con un’amica speciale faccio delle lunghe conversazioni sulle cose e sulla vita. Esco poco. Quando lo faccio è solo perché mi fido e mi diverto. Ogni tanto mi piacerebbe avere una vita mondana; qualche cosetta in più, dopo tutto, non guasterebbe. Poi, il solo pensiero di spiegarmi, di raccontarmi agli altri, di scoprirmi come facevo a vent’anni mi deprime. Non m’interessa conosce nuova gente, ecco tutto. Non è presunzione la mia. Significa solo risparmiare energie. Le mie energie sono preziose. Voglio bene alla mia gente e ai miei amici, ma gli anni trascorsi all’estero, anche se dolorosi e tragici, mi hanno lasciato una profonda nostalgia per quella vita fatta di emozioni, di colpi al cuore, di profondissime illusioni coltivate con la passione terribile dei sogni, una vita che so essere sì precaria, ma che ormai è la mia e alla quale non rinuncerei per nulla al mondo. A volte mi sento come tagliato fuori dal ritmo quotidiano e usuale delle vite della maggior parte della gente che conosco e tranne pochi amici e qualche compagno di partito al quale sono  ancora particolarmente legato,mi sembra, a volte, di non aver più nulla a che fare con quel mondo nel quale mi ero pur mosso con entusiasmo in passato. Sono sempre stato così, alla perenne ricerca di qualcosa che potesse mutare il corso della mia vita, alla perenne ricerca di qualcosa di magico che avesse potuto mutare il corso della storia, nella perenne attesa dell’inaspettato. In fondo non sono mai cresciuto, sono  sempre un adolescente inquieto e insoddisfatto. Mi relaziono anche molto male, devo dire. E’ la mia maniera di essere. Mi è capitato di recente di andar per negozi per comparare un paio di scarpe. “ Le piacciono queste?” mi ha chiesto la commessa. “No, mi fanno cagare”. Non l’ho fatto apposta, mi è uscito così, spontaneamente. Dopo dieci anni a Davide capita ancora di doversi scusare per me, in certe situazioni. E’ imbarazzante, immagino. Eppure credo di possedere dentro di me un adulto ben strutturato e funzionante. A volte mi sento diverso, non saprei come spiegare. Mio padre era come me, dice mia madre. Un tempo mi sentivo inadeguato, dicevo. Ora non voglio adeguarmi a niente che non mi calzi a pennello. Ricordo che una volta mi trovavo sul treno per Milano dove ero atteso per vedere la mostra di un collega. Sedevo in uno scompartimento vuoto, assorto nei miei pensieri, quando, a Porta Susa, entrò un uomo che in qualche modo mi pareva di aver già visto da qualche parte. Esitammo qualche istante per poi riconoscerci a vicenda subito dopo: era un mio compagno dei tempi del liceo, mi sembra che si chiamasse Michele. Non eravamo proprio amici, lui era un anno avanti a me, mi pare, ma fra noi c’era stata comunque una certa simpatia reciproca. Ci eravamo persi di vista subito dopo la fine degli studi, le nostre vite avevano preso strade diverse ed ora sedevamo  insieme sullo stesso treno a chiacchierare del più e del meno senza poter evitare di cadere nel solito rituale assurdo di rievocare i tempi andati. Mano a mano che la nostra conversazione prendeva forma mi rendevo conto di come fra me e Michele si fosse scavato un abisso incolmabile. Lui aveva raggiunto una certa posizione, aveva un figlio che frequentava le scuole elementari in un collegio privato, un appartamento di 300 metri quadri in centro e una casa sul mare in Liguria. Indossava vestiti e scarpe di Hugo Boss e al polso portava un Omega ultimo modello e malediva il fatto di trovarsi su quel treno, dato che il suo autista quel giorno era malato. Anche lui si era laureato e possedeva quel minimo di cultura adatta per essere introdotto nei circoli bene della città, grazie anche ad una moglie figlia di una famiglia potentissima, dove quelli della sua razza si davano appuntamento una volta ogni tanto per celebrare se stessi in coctktail e cene di gala puntualmente descritte il dopo nella pagina della cronaca mondana del quotidiani locale, pagina della città, sempre e inevitabilmente organizzate per raccogliere fondi per acquistare incubatrici e costosissime apparecchiature mediche da spedire in qualche paese sperduto dell’Africa o dell’Asia dove quelli come lui si sarebbero ben guardati dal recarsi seppur in sogno. Michele continuava a parlare dei problemi della sua vita quotidiana, spiegandomi quanto fosse difficile al giorno d’oggi trovare del personale onesto ed affidabile, quanto gli costasse la manutenzione del giardino della villa al mare aperta un solo mese l’anno, quanto fosse preoccupante l’emigrazione di tutti quegli extracomunitari che arrivavano a casa nostra senza controllo. Se ne stava lì seduto, rigido nel suo abito firmato, con quell’aria da gentiluomo per bene, così assolutamente padrone di se stesso e del mondo da farmi quasi rabbia. Ricordo il suo sguardo di compassione quando gli dissi che vivevo facendo il reporter in giro per il mondo. Ricordo che disse che sarebbe stato felice di farsi ritrarre da me, quando fossi diventato grande. Ecco, a volte mi domando se diventare grandi significhi necessariamente diventare come Michele. Io grande mi sento già. Strano, però, dicevo. Strana questa vita.

http://www.youtube.com/watch?v=-7SDJVpZMgQ

 oggi libero fa cagare....mi taglia le ultime sillabe...Boh, adesso sembra che funzioni. Va un po' come me libero, a singhiozzo.

 

 
 
 
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Questo blog è nato come  luogo di svago, come luogo di scambio di opinioni e  di idee, come luogo di confronto,  un posto dove ascoltare un pò di musica e leggere qualcosa . Magari, a volte, qualcosa di stimolante e persino d' interessante. 
E non necessariamente perchè lo scrivo io. 
Un luogo dove poter interagire liberamente. Tutti possono entrare, leggere e commentare purchè si esprima un 'opinione senza offendere chi la pensa diversamente. La libertà di ognuno di noi  cessa  nel momento in cui lede quella di un altro.  La maggior parte delle foto e degli scritti in questo blog  sono  miei, ma alcuni sono anche tratti dal web. Dove possibile sono citati gli autori e le fonti. Se  per disattenzione o perchè non disponibili,  accadesse  che in qualche modo qualcuno di sentisse leso, può tranquillamente scrivermi e la foto o il post verranno rimossi. In questo blog è lecito parlare di tutto. Ed è lecito dissentire. Come è pure  lecito e auspicabile costruire. Il dissenso è legittimo quando è finalizzato alla costruzione e non alla mera distruzione fine a se stessa. Nessun commento sarà mai rimosso o censurato.

 

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PER I VOSTRI VIAGGI CONSAPEVOLI

 Non dorme nessuno nel cielo. Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
I bambini della luna fiutano e aggirano le loro capanne.
Verranno le iguane vive a mordere gli uomini che non sognano
e colui che fugge col cuore spezzato troverà alle cantonate
l'incredibile coccodrillo tranquillo sotto la tenera protesta degli astri. 
Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
C'è un morto nel cimitero più lontano
che si lamenta da tre anni
perché ha un paesaggio secco nel ginocchio;
e il fanciullo che hanno seppellito stamane piangeva tanto
che fu necessario chiamare i cani per farlo tacere 
Non è sogno la vita. All'erta! All'erta! All'erta!
Precipitiamo dalle scale per mangiare la terra bagnata
o saliamo al margine della neve con il coro delle dalie morte.
Ma non c'è oblio né sonno:
carne viva. I baci legano le bocche
in un groviglio di vene recenti
e, a chi gli duole, il suo dolore gli dorrà senza tregua
e, chi teme la morte, se la porterà sulle spalle. 
 Un giorno
i cavalli vivranno nelle taverne
e le formiche infuriate
aggrediranno i cieli gialli che si rifugiano negli occhi delle vacche. 
Un altro giorno
vedremo la resurrezione delle farfalle dissecate
e andando in un paesaggio di spugne grigie e di navi mute
vedremo brillare il nostro anello e scaturire farfalle dalla nostra lingua.
All'erta! All'erta! All'erta!
Quelli macchiati ancora di fanghiglia e acquazzone,
quel ragazzo che piange perché non sa l'invenzione del ponte
o quel morto cui rimane soltanto la testa e una scarpa,
bisogna portarli al muro dove stanno in attesa iguane e serpenti,
dove aspetta la dentatura dell'orso,
dove aspetta la mano mummificata del bambino
e la pelle del cammello s'arriccia con un violento brivido azzurro. 
Non dorme nessuno nel cielo. Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
Ma se qualcuno chiude gli occhi,
frustatelo, figli miei, frustatelo!
Permanga un panorama di occhi aperti
e amare piaghe accese.
Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno, nessuno.
Ve l'ho detto.
Non dorme nessuno.
Ma se qualcuno nella notte ha troppo musco alle tempie,
aprite le botole affinché veda sotto la luna
i bicchieri falsi, il veleno e il teschio dei teatri.

Federico Garcia Lorca

 sul comodino ( ma anche per terra e sotto il letto)

 

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