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Fatti non foste a viver come bruti

"... Non vogliate negar l’esperienza
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
"

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120)

 

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Finalmente a casa! riproposta

Post n°214 pubblicato il 10 Aprile 2007 da unamicoincomune
 
Foto di unamicoincomune

Finalmente a casa. Vent’anni sono tanti e lontano da casa non passano mai. La sua passione, trasformata in lavoro, l’aveva portato lontano. Vent’anni in Africa come medico volontario per l’Unicef. Il Dottor Luca Mattei aveva scelto un lavoro massacrante. Un Lavoro massacrante e a contatto con la vera miseria. Case di fango e paglia intorno a lui. Lui che si sentiva un privilegiato perché viveva in una tenda con tutti i comfort. Dalla tenda all’ospedale da campo e viceversa. Un centinaio di metri da percorrere, pochi ma al tempo stesso tanti. I minuti, necessari a percorrerli, gli consentivano una fuga mentale verso la sua terra lontana, la sua città: Cagliari. Nelle sue riflessioni trovava molte similitudini tra la sua terra natale e la Somalia. Ma la sua Sardegna era migliore, anzi, unica. Era povera si ma non come la Somalia, le città erano ordinate, pulite e luminose. Cagliari poi era una perla, bella come il suo centro storico ricco di negozi e vetrine illuminate. Passeggiare per le vie del centro era stato sempre una simpatica abitudine. Parlare con gli amici negozianti era sempre stato un piacevole passatempo e, a volte, una vera via di sfogo e fonte di preziosi consigli. Tutto ciò gli era mancato, anche se considerava importantissimo ciò che stava facendo. Fare il medico era stato il suo sogno di bambino e per realizzare quel sogno si era impegnato tanto. Coniugando lo studio con il lavoro. Aver perso i genitori da adolescente era stato un duro colpo al suo equilibrio interiore. Non aveva parenti e, da subito, si era dovuto trovare un lavoro per mantenersi agli studi. Alberto M., titolare di uno dei tanti negozi del centro e vecchio amico del padre, l’aveva subito preso in simpatia. L’aveva assunto con contratto part- time in modo di permettergli di continuare a studiare. Così, grazie all’amicizia di Alberto e anche alla sua generosità, era riuscito a laurearsi in medicina ed ottenere, successivamente, specializzazione e dottorato di ricerca presso l’Università di Cagliari. Poi, contrastata dalle forti obiezioni di Alberto, la scelta di partire per la Somalia. In quei vent’anni ne aveva viste di cose, la miseria, la disperazione e la fame. Le notizie dalla Sardegna arrivavano raramente, in genere gli auguri per le feste ma niente più. Gli anni erano passati in fretta ma la nostalgia per la sua terra era sempre stata una costante. Finalmente ecco l’occasione che aspettava, dall’Università di Cagliari era arrivata la richiesta di partecipazione ad un convegno su “Medici di frontiera, medici di guerra”. Qualcuno voleva sentire la sua versione, voleva ascoltare le sue idee e conoscere le sue esperienze. Aveva accettato l’invito senza neanche riflettere. All’aeroporto si rendeva conto che uno strano senso di agitazione si era impossessato di lui e non capiva il perché. Forse era l’emozione di rivedere la sua terra, la sua amata città e il suo vecchio amico Alberto. E si, Alberto era sempre stato un punto fermo, un riferimento per lui. Chissà com’era? Sarà invecchiato? E il negozio? Ci saranno sempre quei vecchi banconi in mogano? Durante il volo si era concesso un lusso che non si concedeva da tempo: dormire in orario inusuale. In effetti era stanco. Per poter partire aveva dovuto lavorare anche gran parte delle notti precedenti. Doveva mettere i suoi colleghi nelle condizioni migliori per poter proseguire il suo lavoro.

Lo risvegliò la voce gracchiante del pilota che preannunciava l’avvicinamento all’aeroporto di Cagliari - Elmas. Era novembre ma sembrava una giornata di primavera, la temperatura al suolo era di 24 gradi. Cagliari è sempre Cagliari, pensò. Era partito vent’anni prima e sempre nello stesso periodo: novembre. Dal finestrino poteva vedere la sua città, la Sella del diavolo, la basilica di Bonaria e… lo Stadio? Ma quello non è il vecchio Sant’Elia, pensò. Sembra più un centro commerciale anche se il tappeto verde era inconfondibile. Al centro di quel blocco di cemento e luci c’era lo stadio. Ma il resto che era? Qualcos’altro attirò la sua attenzione. Una struttura avveniristica di vetro, acciaio e cemento. Non riusciva a capire cosa potesse essere.

Finalmente l’aereo atterra. Anche l’aeroporto era cambiato, adesso c’erano i finger e non più quei pullman lenti di un tempo. Non dovette aspettare molto per il bagaglio. Si avviò verso l’uscita, prese un taxi e alla domanda del tassista rispose semplicemente con un “via Berlino 4, grazie”. Il tassista cercò di instaurare un dialogo ma lui non sentiva, era troppo impegnato a guardare fuori dal finestrino. Non riconosceva la sua città, lo stagno di Santa Gilla era nascosto dai palazzi, ecco il porto ma non lo riconosceva. Non sembrava il porto che frequentava da bambino con suo nonno. Le sue prime battute di pesca al vecchio molo sabaudo. Le navi della Tirrenia non c’erano più. Adesso nel porto si vedevano solo Yacht di diverse dimensioni e una grande struttura di vetro che non capiva. Il Palazzaccio della Regione, purtroppo pensò, era sempre lì e sembrava ancor più brutto di come lo ricordava. Si rivolse all’autista per chiedergli di deviare verso il centro città. Era curioso di vedere le strade della sua memoria, le strade dei negozi e magari il vecchio Alberto. All’altezza di Piazza Repubblica si rese conto che qualcosa era veramente cambiato e il suo presentimento era funesto. Il taxi imbocco via Alghero. La strada era buia, di un buio mai visto prima. Le serrande del vecchio bar Europa erano abbassate, deturpate dallo spray degli immancabili graffittari. Però la deturpazione non si fermava alle serrande, proseguiva senza soluzione di continuità sulle facciate, ormai decadenti, dei palazzi. Carcasse d’auto abbandonate erano alloggio di tossici e barboni. Gruppi di ragazzi si divertivano a rompere i pochi vetri integri dei palazzi ormai abbandonati. Era una ferita profonda per lui, una ferita nei suoi ricordi. Perché i negozi erano chiusi? Non riusciva a capire quello stato d’abbandono in cui trovava la sua vecchia via Alghero. Rivolse la domanda all’autista. Questi lo guardò come se fosse un marziano e gli chiese da quanto tempo mancava? Sa, negli ultimi anni ci sono stati notevoli cambiamenti. Di negozi in città ne sono rimasti ben pochi, sono tutti nei centri commerciali. Ai vecchi centri commerciali se ne sono aggiunti altri. Uno, gigantesco, era stato realizzato a Sestu, una struttura imponente con tantissimi negozi e spacci aziendali. Outlet, aperti direttamente dalle aziende per ridurre le giacenze, che hanno causato la chiusura di tantissime attività nel centro urbano. Poi, la concessione ai nuovi proprietari del Cagliari di realizzare una struttura sportivo commerciale per sostenere la squadra. Il colpo finale per il commercio in città e non solo. Vede in che condizioni sono i palazzi, un totale stato d’abbandono. Il buio domina la strada e le confesso che questo è niente rispetto alla sorte che hanno avuto le altre strade del commercio: via Garibaldi e via Manno. Sono diventate terra di nessuno, pensi che neanche la polizia ci passa. Eh si, Cagliari è molto cambiata e non certo in meglio. Il sogno turistico, tanto decantato dalla politica, si è infranto nel momento stesso in cui si cercava di dare un’accelerata alla vocazione turistico commerciale della città. La morte delle attività commerciali del centro ha determinato il fallimento dell’iniziativa turistica. Ormai di turisti non se ne vedono più, si limitano – come un tempo – a sbarcare e passare per le poche strade obbligate per raggiungere le località turistiche. Del resto non gli si può neanche dare torto, Cagliari non ha più niente da mostrare. Il centro storico è in totale abbandono e se penso a quanti investimenti sono stati fatti per conservarlo e renderlo un’attrazione mi girano le palle.

Arrivati all’altezza del negozio, o di quello che ne restava, di Alberto la ferita nel suo animo diventò uno squarcio. Non c’era più niente, non era rimasta neanche l’insegna. E Alberto, che fine avrà fatto? Senta, disse rivolgendosi all’autista, conosceva il proprietario di quel negozio? Alberto.

Certo, ha chiuso circa 6 anni fa, è stato l’ultimo ad andarsene. Credo abbia raggiunto il figlio in Germania. Non so altro.

Luca scoppiò in lacrime, non era possibile. Non poteva essere vero. La sua città era in rovina, o almeno quella parte della Città che era stata la sua realtà. Quella parte della città che rappresentava il suo passato, i suoi affetti e i suoi ricordi più belli. Ormai era in preda alla disperazione, quel ritorno tanto desiderato si era trasformato nel peggiore degli incubi. L’urlo uscì naturalmente dalla sua bocca, un urlo straziante…

La mano della hostess si posò delicatamente su di lui, e quel contatto lo calmò. Stava sognando, un sogno terribile. Per fortuna, però, solo un sogno. L’aereo iniziava l’avvicinamento al capoluogo sardo, sembrava tutto come l’aveva lasciato, la Sella del diavolo, la basilica di Bonaria e… lo Stadio? Ma quello non è il vecchio Sant’Elia, pensò. Uno strano presentimento e l’angoscia si impossessarono di lui e le lacrime iniziarono a solcargli il viso. Un viso trasformato in una maschera di pietra.

 
 
 
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AL VERO GABBIANO JONATHAN

immagineLa maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov’è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì, invece, non importava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo.Ma a sue spese scoprì che, a pensarla in quel modo, non è facile poi trovare amici, fra gli altri uccelli.

 

SE

 

"Se" Se saprai conservare la testa, quando intorno a te tutti perderanno la loro, e te ne incolperanno; Se crederai in te stesso, quando tutti dubiteranno, ma saprai intendere il loro dubbio; Se saprai aspettare, senza stancarti dell'attesa, ed essere calunniato senza calunniare o essere odiato senza dar sfogo all'odio e, non apparire troppo bello, ne parlare troppo saggio; Se saprai sognare, e non rendere i sogni tuoi padroni; se saprai pensare, e non fare dei pensieri il tuo fine; se saprai incontrare il Trionfo e il Disastro, e trattare questi due impostori nello stesso modo; Se saprai sopportare di sentire quello che hai detto di giusto falsato dai ribaldi per farne trappola ai creduli o vedere le cose per cui hai dato la vita, spezzate e curvarti e ricostruirle con utensili logorati; Se saprai fare un mucchio di tutte le vicende e rischiarlo in un giro di testa e croce; E perdere e ricominciare da capo e non fiatar verbo sulle tue perdite; Se saprai forzare il tuo cuore e i nervi e i tendini per aiutare il tuo volere, anche quando essi sono consumati; e così resistere quando non c'è più nulla in te tranne che la volontà che dice loro: "reggete!" Se saprai parlare con le folle e mantenere le tue virtù e passeggiare con i Re e non perdere la semplicità; Se ne nemici, ne prediletti amici avranno il potere di offenderti, se tutti gli uomini conteranno ma nessuno conterà troppo; se saprai riempire il minuto che non perdona, coprendo una distanza che valga i sessanta secondi; Tuo sarà il mondo e tutto ciò che contiene e, ciò che conta, sarai un uomo,figlio! Rudyard Kipling

 

EINAUDI

"Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi." - Luigi Einaudi

 

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