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« Dossier Save the childre...Dalla Spagna. Se qualcos... »

Il declino della scienza italiana, Mai coś male negli ultimi trent’anni. In un anno perse dodicimila pubblicazioni.

Post n°5108 pubblicato il 24 Agosto 2011 da cile54

La ricerca è al collasso. In calo studi e scoperte

 

«La scienza italiana ha iniziato il suo declino». Il giudizio impietoso arriva da uno studio, recentemente pubblicato sulla rivista Research Policy, in cui è analizzato il contributo italiano alla produzione scientifica mondiale sin dal 1980. L’anno dell’inversione di rotta è il 2007, a partire dal quale la ricerca italiana incomincia ad annaspare fino ad arrivare, due anni dopo, a bruciare la crescita realizzata nel quinquennio precedente. Nel 2009, infatti, le pubblicazioni italiane su riviste scientifiche sono poco più di 40mila, ben dodicimila in meno rispetto all’anno precedente.

 

 Il “paper”, firmato da Cinzia Daraio dell’Università di Bologna e da Henk Moed dell’Università di Leiden (Paesi Bassi), mette nero su bianco i numeri di una tendenza finora soltanto percepita: per la prima volta in trent’anni la produzione scientifica italiana risulta in stallo evidente.

 

 Poca produzione scritta, ma anche meno collaborazioni internazionali, strettamente connesse alla bassa frequenza con cui si viene citati in altri lavori scientifici. Vi sarebbe, inoltre, «una grande eterogeneità della produttività dei ricercatori» che, avvisa lo studio, si traduce «nell’assenza di correlazione tra il numero dei ricercatori e la qualità e quantità della produzione scientifica». Insomma, se l’Italia contribuisce meno alla crescita del sapere globale è perché ha perso quota sia in termini relativi - abbiamo la metà dei ricercatori della Spagna e un terzo della Gran Bretagna rispetto al totale della popolazione - sia in termini assoluti quanto a sperimentazioni e scoperte.

 

 Scivolati in basso nella classifica europea, minacciati dalle forti economie emergenti. Tra i sei Paesi europei all’avanguardia, l’Italia oggi è penultima; anche India, Brasile Cina hanno superato il nostro range. Soltanto il Colosso asiatico avrebbe, nell’ultimo lustro, quadruplicato le sue prestazioni sorpassando il Belpaese già tempo addietro, alla vigilia del nuovo Millennio. Ma i pesanti tagli agli investimenti pubblici non costituiscono l’unica causa dell’arretramento della ricerca in campo umanistico e scientifico.

 

 Il passaggio al privato non riesce a coprire il contributo tradizionalmente versato dalle casse dello Stato, è vero, ma secondo i due esperti «al necessario incremento dei fondi deve corrispondere una riforma dell’autonomia e della gestione del settore affinché si crei un sistema di controllo della qualità interna e di valorizzazione delle performance».

 

 Anche perché, almeno fino al 2004, il contributo del singolo ricercatore italiano emergeva eccome: per quel meccanismo che i due autori definiscono «effetto di compensazione», infatti, agli scarsi investimenti si riusciva a controbattere con la tenacia e la preparazione dell’individuo. Il bilancio sembrava in attivo e l’isolamento della ricerca italiana rispetto al resto del mondo soltanto uno spettro.

 

Dina Galano

22/08/2011

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